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La strana coppia che può battere Obama

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Scegliendo Paul Ryan come vice, Mitt Romney ha deciso che ciò che conta adesso è galvanizzare la “base” del partito

La strana coppia che può battere Obama

“There’s an energy, there’s a chemistry”. Non sembra avere dubbi Matt Rhoades, campaign manager repubblicano: all’alba della delicata fase delle convention, il duo Romney-Ryan funziona alla grande. Con il giovane running mate al suo fianco, il legnoso candidato sfidante è apparso più coinvolgente, a suo agio, e sembra aver allontanato quella sensazione di isolamento che molti gli associavano. Queste novità di immagine costituiscono però solo una piccola parte dei cambiamenti che hanno caratterizzato le presidenziali a seguito della scelta di Ryan, con la quale Romney ha fatto una scommessa decisiva sulla corsa che vuole condurre d’ora in avanti. Nella rosa che aveva a sua disposizione, in cui non mancavano i rappresentati di minoranze etniche (Marco Rubio) e le donne (per un po’, nei mesi scorsi, è circolato anche il nome di Condoleeza Rice), il candidato presidente ha scelto un uomo, bianco, che ha scalato le gerarchie del partito distinguendosi per il suo radicalismo fiscale.

S&D

Niente più tentativi di rosicchiare voti fra gli indipendenti o nei tradizionali “feudi” democratici, quindi. I tempi in cui Romney andava a prendersi i fischi alla National Association for the Advancement of Colored People, cercando di convincere gli afroamericani di costituire la migliore alternativa anche per loro, appaiono più lontani che mai. L’obiettivo, da metà agosto, è divenuto ricompattare le base. Questa nuova impostazione ha certamente un senso, specie considerando che dall’altra parte Obama ha più di qualche problema a tenere alto il morale dei suoi. Anche se i sondaggi, nel loro complesso, continuano a dare i Democratici in lieve vantaggio, la crisi economica che ancora imperversa ha verosimilmente eroso una bella fetta dell’entusiasmo cavalcato dal presidente nel 2008.

I Democratici celebri che hanno voltato le spalle al presidente uscente non mancano. Mortimer Zuckerman ad esempio, potentissimo direttore di “U.S News & World Report”, da mesi va ripetendo (anche su “L’Espresso” di questa settimana) di essersi pentito di aver dato il suo voto a Obama nelle precedenti elezioni, e di ritenere che Romney abbia dalla sua un background e delle ricette migliori per far scendere il tasso di disoccupazione. In questo contesto di disillusione, in cui, per usare le parole di Zuckerman, “il nuovo sogno americano è trovare un lavoro”, parte della base democratica si dimostrerà probabilmente meno entusiasta nell’andare al voto rispetto a quattro anni fa. Per Romney, quindi, disporre di uno zoccolo duro galvanizzato dal taglio intransigente assunto dal ticket con Ryan a bordo potrebbe fare la differenza.

La scelta del deputato del Wisconsin, universalmente associato alla lotta feroce al government spending, ha anche l’obiettivo di spostare l’attenzione del pubblico dai candidati alle policy proposte, alleggerendo in particolare il fuoco democratico sulla questione delle (poche) tasse pagate da Romney negli anni passati. Questa logica è stata recentemente esplicitata in conferenza stampa dallo stesso candidato presidente del Gop: “Given the challenges that America faces, the fascination with taxes I’ve paid I find to be very small-minded”. Questa strategia sta in parte funzionando: l’offensiva democratica sull’argomento continua, ma secondo un recente sondaggio del gruppo Public Notice la maggioranza dell’elettorato condanna gli attacchi personali (inclusi quelli a Romney sul suo reddito) come negative “distrazioni” della campagna dai temi che contano veramente, tra cui proprio la questione del debito pubblico.

La nuova piega presa dalla corsa, però, è scivolosissima per i Repubblicani. Come si prevedeva, i Democratici stanno cercando di sfruttare i punti più critici del piano di riduzione della spesa ideato da Ryan. Appena poche ore dopo la nomina del vice, il campaign manager di Obama, Jim Messina, ha inviato a milioni di americani una mail per spiegare loro ciò che avevano «bisogno di sapere» sul nuovo acquisto della competizione: «Con il supporto di Romney, Ryan porrebbe fine a Medicare (il programma sanitario destinato agli anziani, ndr) come lo conosciamo». Medicare, per il quale Ryan ha previsto in effetti un forte ridimensionamento, è rapidamente divenuto una delle issues principali del confronto elettorale. Romney si trova in una posizione delicata, dovendo riuscire a porsi come intransigente ma schivando le accuse di macelleria sociale. Una proposta di taglio radicale al budget può avere successo nel mobilitare i Repubblicani, ma la prospettiva di uno smembramento dell’assistenza sanitaria agli over 65, per come il Paese l’ha conosciuta negli ultimi 50 anni, può spaventare proprio quei bianchi anziani che dovrebbero costituire la riserva di voti più sicura per il Gop.

Gli animi si sono scaldati non poco sulla questione. Un gruppo liberale indipendente ha addirittura diffuso uno spot in cui un uomo incravattato, implicitamente identificabile come Paul Ryan, spinge una dolce vecchietta in sedia a rotelle fino a un dirupo, per poi gettarla impietosamente di sotto. In questo clima rovente, i Repubblicani si sono però difesi meglio di come si sarebbe potuto prevedere, minimizzando i cambiamenti (sostanziali, così come le probabilità di un aumento dei costi per i privati) che Medicare subirebbe nei prossimi anni secondo il loro progetto e puntando il dito sui tagli a cui lo stesso Obama avrebbe sottoposto il programma, per rendere finanziariamente sostenibile la sua più ampia riforma della sanità.

Anche se i Democratici hanno risposto che i presunti “tagli” sono in realtà risparmi derivanti da una razionalizzazione del sistema, questi dibattiti hanno avuto l’effetto di rendere complessivamente meno chiare le distinzioni fra i due schieramenti sull’argomento. Una circostanza da cui l’Elefante non può che trarre vantaggio. Tradizionalmente infatti i Democratici ispirano nell’elettorato molta più fiducia dei loro avversari a proposito della gestione del welfare; per quanto riguarda Medicare però i sondaggi parlano ora di un gap che va assottigliandosi. Insomma, la scommessa giocata da Romney con la scelta del suo vice, forse la più importante della sua carriera politica, per ora ha sostanzialmente pagato. Il candidato repubblicano ha voluto dare una scossa alla base e portare il dibattito sulla spesa. E ha accettato in cambio i rischi connessi all’inevitabile scontro su uno dei pochi pilastri irrinunciabili delle politiche assistenziali statunitensi.

È il genere di scommessa che si fa quando si ha molto da guadagnare e poco da perdere: secondo il NY Times, tale decisione rivela quanto Romney sentisse che, senza una svolta decisiva, la sua corsa alla presidenza avrebbe preso una brutta piega. Per il momento, l’effetto desiderato è stato in buona parte ottenuto, senza che i Democratici siano riusciti a sfruttare fino in fondo le nuove carte che si sono ritrovati in mano. La campagna, però, è ancora lunga.

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