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Gli ultraortodossi e l’esercito

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Yair Lapid, la vera sorpresa delle elezioni israeliane, ha fatto dell'arruolamento degli haredim uno dei suoi cavalli di battaglia

Gli ultraortodossi e l’esercito

È passato ormai più di un mese dalle elezioni israeliane del 22 gennaio 2013 e il primo ministro Benjamin Netanyahu, conosciuto in Israele come Bibi, non si è ancora deciso a formare una coalizione di governo. La maggioranza alquanto risicata ottenuta insieme all’alleato Avigdor Lieberman, leader del partito ‘Israele, casa nostra’, lo sta costringendo a logoranti trattative in particolare con il ‘Focolare Ebraico’ di Naftali Bennet e il ‘C’è un futuro’ della grande sorpresa Yair Lapid.

S&D

“Netanyahu la sta tirando molto per le lunghe perché probabilmente ancora non si è accorto che questa volta non ha più 40 seggi abbondanti ma solo 31”, commenta ironica Manuela Dviri, giornalista italo-israeliana, facendo riferimento alle elezioni del 2009. Ma su che cosa si sono incagliati i negoziati per la formazione del nuovo governo di Bibi? Ad allungare i tempi non è né la questione iraniana, seppur lo spettro di un secondo olocausto atomico per mano del presidente ‘matto’ Ahmadinejād venga spesso sbandierato da Netanyahu, e neppure la questione palestinese o quella sociale scoppiata con le proteste di ‘Rothschild boulevard’ nel luglio 2011, e che qualche commentatore fantasioso già inseriva nelle dinamiche della Primavera Araba.

I riflettori sono puntati sulla questione della coscrizione nelle file di Tsahal, l’esercito israeliano. Israele è uno dei pochi Paesi che tuttora mantiene il servizio di leva obbligatorio, tre anni per gli uomini e due per le donne, ma non proprio tutti vengono arruolati. Quando Ben Gurion varò la legge che stabiliva la coscrizione universale obbligatoria agli ortodossi fu concesso di esentare le donne dalla leva, mentre gli ultraortodossi (haredim) ottennero un’esenzione completa, principalmente perché gli fu riconosciuto il diritto di dedicarsi a tempo pieno agli studi religiosi nelle ‘yeshivot’. Questa decisione, da molti vissuta come una profonda ingiustizia, aprì una ferita nel rapporto tra religiosi e ‘hilonim’ (i laici) che ancora oggi è ben lungi dall’essere rimarginata.

L’ex star televisiva Yair Lapid, leader di ‘C’è un futuro’, ha fatto dell’inclusione degli ultraortodossi nell’esercito il cavallo di battaglia della campagna elettorale che lo ha portato a ottenere 19 seggi alla Knesset, secondo solo alla coppia Netanyahu-Lieberman, ora messa alle strette su questo tema. Durante la campagna elettorale Lapid ha messo in evidenza in particolare la forte crescita demografica della popolazione haredi, che secondo lui renderebbe la questione della “condivisione del fardello” estremamente urgente.

“Ci tengo a ricordarvi che quando Ben Gurion stabilì l’esenzione degli studenti delle yeshivot si trattava di 700 studenti. Questa sarebbe dovuta restare la popolazione delle yeshivot, 700 persone. Oggi soltanto nella yeshiva Mir ci sono 3.500 studenti” ha affermato Lapid davanti a un pubblico di haredim durante un comizio. “Oggi voi siete i signori della terra di Israele. Potete dunque forse ancora sostenere che solo i laici devono andare nell’esercito perché non è una cosa che vi riguarda?”.

Nel programma televisivo del giornalista Nissim Mishal su Channel 2 Lapid ha affrontato la questione con Aryeh Deri, paladino del diritto all’esenzione tornato alla guida del partito ultraortodosso sefardita Shas, dopo aver scontato in carcere una condanna per corruzione. Deri ha perorato la causa haredi sciorinando il ritornello noto a tutti gli israeliani della fondamentale importanza del mantenimento della tradizione ebraica, che gli ultraortodossi garantirebbero studiando nelle yeshivot, arrivando ad affermare che tale servizio è “di molto più importante di quello svolto da voi nell’esercito”. Questa affermazione ha alterato profondamente Lapid, che ha ribattuto infervorato: “Ti risulta che si venga ammazzati studiando nelle yeshivot? Non si muore nelle yeshivot, non si muore nelle yeshivot!”.

Sempre nel programma di Nissim Mishal ha dato spettacolo l’altra spina nel fianco di Bibi Netanyahu, pedina fondamentale nelle trattative di coalizione in virtù dei 12 seggi ottenuti alla Knesset: Naftali Bennet. Giovane rivelazione del partito nazionalista oltranzista ‘Il Focolare Ebraico’, che si dichiara apertamente contrario allo Stato palestinese e favorevole all’annessione dell’area C della Cisgiordania (equivalente al 60 per cento dei territori), Bennet ha dichiarato in trasmissione che se da soldato gli venisse ordinato di partecipare a una operazione di smantellamento di colonie israeliane nei Territori si rifiuterebbe di eseguire l’ordine. Anche Bennet è a favore della coscrizione degli ultraortodossi, seppur attribuendole minor importanza.

L’arruolamento degli haredim è in realtà più una guerra ideologica che una impellente necessità per lo Stato israeliano. Per quanto in fortissima crescita, gli ultraortodossi sono una minoranza stimabile tra il 5 e il 10 per cento della popolazione israeliana e i “parassiti” che non vanno nell’esercito e vivono di sussidi studiando Bibbia e Talmud sono in realtà non più della metà. Dimi Reider, giornalista israeliano, a tal proposito ha detto: “la questione della coscrizione è tutt’altro che cruciale per la società israeliana ma è diventata una carta di scambio decisiva nelle trattative politiche. L’esercito non ha bisogno degli ultraortodossi, non li vuole tanto quanto loro non vogliono l’esercito. Oltre a comportare svariate difficoltà logistiche, gli ultraortodossi rischiano di avviare un pericoloso processo di teocratizzazione dentro Tsahal: i comandanti non si fidano per nulla di loro perché da un orecchio ascoltano i superiori ma dall’altro ascoltano i loro rabbini”.

Anche il parere di Manuela Dviri sembra ridimensionare la rilevanza pratica di una eventuale coscrizione degli ultraortodossi: “non è che l’esercito impazzisca dalla voglia di avere tutti questi haredim, perché costerebbero carissimo e farebbero diventar matti tutti con i loro problemi con il cibo kosher e con le donne”. Le trattative per la formazione del nuovo governo israeliano si sono dunque incagliate su ciò che non è altro che una questione di principio figlia dell’eterno conflitto tra laici e religiosi in Israele.

Netanyahu ha ormai i giorni contati per decidersi e difficilmente potrà rinunciare all’appoggio di Lapid ed evitare una riforma del sistema delle esenzioni. La cosa più probabile è che si arrivi a un compromesso e che agli ultraortodossi venga richiesto un periodo di servizio civile, magari più breve di quello militare svolto da tutti gli altri, così da placare almeno temporaneamente la rabbia degli hilonim.

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