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Viaggio nel nordest della Germania: tra elezioni, nostalgie politiche e voglia di riscatto

Immagine di copertina
Manifesti elettorali di Alternative for Germany (AfD) a Greifswald, nella Pomerania occidentale ad agosto 2016. REUTERS/Stefanie Loos

A una settimana dalle elezioni federali tedesche, Giacomo Rota racconta la difficile regione della vecchia DDR, alla ricerca delle roccaforti elettorali dell’estrema destra dell'AfD. Il reportage

Il regionale per Stralsund ha da poco lasciato gli ultimi sobborghi di Berlino, quando la pioggia inizia a cadere copiosa sulla campagna circostante. Il paesaggio urbano lascia spazio a lievi colline dalla terra scura, brughiere, boschi di betulle e laghi in cui si specchia un cielo color perla. Il mio viaggio durerà circa tre ore, portandomi da Berlino a Greifswald, nella regione del Mecklenburg-Vorpommern.

È una domenica mattina di inizio settembre. I compagni di viaggio assonnati nello scompartimento sono solo alcune coppie di anziani in buffe tenute sportive e una famigliola intenta a fare colazione con panini al burro preparati da casa.

Quella che un tempo era una regione al centro dell’Impero tedesco, oggi è uno dei Länder più disabitati di tutta la Germania, incastonato tra le coste del Mar Baltico (in tedesco Ostsee, mare dell’Est) e il fiume Oder, che segna il confine attuale con la Polonia.

Lo spirito degli abitanti della regione è stato segnato nei secoli da dominazioni straniere e spartizioni geografiche: nel 1945, con la sconfitta del Terzo Reich, metà della Pomerania passò alla Polonia, compreso l’importante centro portuale di Stettino, con l’espulsione della popolazione tedesca. Il passaggio dell’Armata Rossa portò pesanti distruzioni, a cui seguirono  gli anni di regime della Repubblica Democratica Tedesca, la DDR.

Oggi il Mecklenburg-Vorpommern è una regione che si porta dietro un passato difficile. Agli occhi di molti Tedeschi la regione viene associata alle statistiche di disoccupazione, ai censimenti dei gruppi neonazisti e alle famiglie che d’estate prendono d’assalto le immense spiagge nordiche di Usedom e Rügen.

Per me, che a tre settimane dalle elezioni federali mi addentro per la prima volta nella sua geografia e società, raccontare questa regione significa allontanarsi dai cliché che caratterizzano il mondo tedesco, la “locomotiva d’Europa”, e andare a conoscere una terra che lotta ancora per la propria identità e che ancora attende un riscatto.

Giunto a Greifswald mi ritrovo in un albergo fuorimano, nella zona industriale della città. La strada che conduce al centro costeggia una serie di graziosi Schrebergarten, piccoli orticelli con casette di legno che un tempo il comune affidava alle famiglie operaie come fonte di sostentamento e luogo di riposo dai turni di fabbrica, spazi verdi ancora oggi molto amati dai Tedeschi nelle domeniche soleggiate.

Quando a Berlino ho cercato di spiegare ad un anziano socialdemocratico che sarei andato nel nordest del paese per scrivere delle elezioni federali, il mio interlocutore si è fatto improvvisamente perplesso e dopo un lungo silenzio ha commentato caustico: “Lassù la situazione è spaventosa”. La signora che gli sedeva accanto ha mosso la mano in un gesto interpretabile come un avvertimento e quella sera tornai in camera con una certa preoccupazione. Mi rendo conto di camminare con cautela, come se mi aspettassi di vedere sfilare una pattuglia della polizia della DDR o come se dovessi rendere conto ai passanti delle mie origini non germaniche, scusandomi per il disturbo. So di essere in Europa ma è come se qui fosse in qualche modo più lontana.

La luce del pomeriggio avvolge la piazza del mercato e una brezza di mare spazza via le nuvole, rendendo nitido il profilo delle cose. Il municipio rosso porpora, gli edifici color pastello e i frontoni a gradini tipici del Nord Europa, fanno da scenografia a una tranquilla domenica di provincia: coppiette sedute ai caffè, qualche turista e un paio di giovani studenti in bicicletta.

Rispetto al destino di molte altre città tedesche, Greifswald ebbe la fortuna di essere risparmiata dalle distruzioni dell’Armata Rossa, giacché il colonnello della Wehrmacht Rudolf Petershagen si arrese evitando il peggio. La città oggi conta poco più di 50 mila abitanti e si fregia orgogliosamente del titolo di città universitaria e anseatica (Universität- und Hansestadt). Da un lato l’Università, fondata nel 1456, che raccoglie oggi più di 10 mila studenti e dà lavoro a quasi un quarto degli abitanti; dall’altro il porto lungo la foce del fiume Ryck e l’antica vocazione marinara e commerciale che fece di Greifswald una dei membri più importanti della Lega Anseatica.

In un caffè del centro incontro il professore Werner Stegmaier. Nell’immediato periodo che seguì la riunificazione, fondò a Greifswald il nuovo Istituto di Filosofia dell’Università, insegnandovi per parecchi anni e sedendo nel Senato accademico. Mentre si versa una bevanda al gusto di rabarbaro, mi cita alcuni passi del Così parlò Zarathustra, quando il celebre personaggio nietzschiano, entrando nella grande città, si sente dire che lì «tutti sono appesantiti di opinioni pubbliche» e che scorre molta adulazione. In fondo è questo ciò che sono i populisti: adulatori del popolo.

«Qui le persone si sentono all’angolo, come se il mondo fosse altrove. Si sentono ancora minacciate dall’Ovest nella loro identità». Ed è proprio l’identità ciò che le forme di estremismo promettono al popolo, adulando le sue paure e i rancori, in un circolo vizioso.

In Pomerania il Novecento ha rappresentato un profondo disagio nella psicologia delle persone. Alle elezioni del 1933, quelle che consegnarono il Reichstag al partito nazionalsocialista di Adolf Hilter, le regioni che diedero ai nazisti la maggior percentuale di voti furono il distretto di Francoforte sull’Oder, la Pomerania e la Prussia Orientale, oggi in territorio polacco. Tutte regioni di confine. Più del 55 percento della popolazione vedeva nel nazionalismo una garanzia di sicurezza e di riscatto dopo le rigidità e le umiliazioni imposte dalla sconfitta nel primo conflitto mondiale e dai disordini degli anni Venti.

L’esempio di maggiore violenza nella storia tedesca dalla seconda guerra mondiale si ebbe nelle cosiddette “Notti di Rostock-Lichtenhagen”: tra il 22 e il 26 agosto 1992 più di 2000 uomini si scagliarono contro il centro di accoglienza per richiedenti asilo a Lichtenhagen, sobborgo di Rostock, dando vita a quattro giorni di violenze e vandalismo contro la comunità vietnamita, i rom e la polizia. Tutto ciò avvenne con il plauso e il sostegno della popolazione locale. Non si trattava necessariamente di gruppi di estrema destra: in alcune foto si vedono ragazzi normali con giubbotti alla Fonzie, jeans e scarpe da tennis che davanti all’obbiettivo fanno il saluto nazista o lanciano pietre. Giovani per i quali l’unificazione delle “Germanie” aveva assunto il volto di un trauma sociale e psicologico immenso.

Era proprio il “Grande Altro” il nemico da cui la popolazione della Germania dell’Est aveva imparato a sentirsi continuamente minacciata e che giustificava il cameratismo e il controllo del regime. Con la caduta del muro gli abitanti della DDR scoprirono di essere loro, agli occhi dell’Occidente, gli “Altri”, e ancora oggi continuando ad essere geograficamente al confine del mondo tedesco.

Insistendo sul tema dell’identità, Stegmaier mi racconta un episodio recente legato al nome dell’Università. L’Ateneo di Greifswald è intitolato a Ernst Moritz Arndt (1769-1860), storico e poeta nato sulla vicina isola di Rügen, che con i suoi scritti patriottici inneggiava al risveglio dello spirito del Popolo tedesco contro Napoleone. «Per il governo prussiano e per i nazisti il nome era perfetto: un pensatore contro l’invasore straniero, cantore della patria e per di più antisemita. La cosa curiosa è che anche il governo della DDR trovò adeguato il personaggio, ritenendo che se i suoi scritti andavano bene per l’unità della Germania, potevano esserlo altrettanto per lo spirito di quella dell’Est». Quando nel gennaio di quest’anno il Senato accademico ha deciso di rinominare l’Ateneo semplicemente “Università di Greifswald”, il caso è stato seguito con viva attenzione dalla cittadinanza e molti si sono sentiti privati di un pezzetto di identità.

Nel distretto industriale di Greifswald molti dei cartelli elettorali dell’AfD sono a terra, strappati o posizionati talmente in alto sui pali della luce da essere illeggibili. Su alcuni si trovano slogan contro la costruzione di nuove pale eoliche, altri mostrano la bandiera svizzera inneggiando a una “democrazia diretta sul modello elvetico”. Altri ancora raffigurano il sedere di due ragazza in bikini in riva al mare, dichiarando di preferire il costume a due pezzi rispetto al burka islamico.

Il partito euroscettico, conservatore e anti-islamista AfD, Alternativa per la Germania, fondato nel 2013 dal professore di economica Bernd Lucke, è una delle forze politiche più radicate nel Mecklenburg-Vorpommern.

Nel settembre 2016, alle elezioni per il rinnovo del parlamento regionale, il partito ha ottenuto il 21,4 percento dei voti, il secondo migliore risultato nella sua breve storia politica. Nella primavera dello stesso anno si era collocato al secondo posto in Sassonia-Anhalt, con il 24,2 percento dei suffragi e nel Baden-Württemberg era diventato il terzo partito della regione con il 15,1 percento dei voti.

Già alle elezioni federali del settembre 2013, quelle che confermarono il terzo e attuale mandato di Angela Merkel, il distretto elettorale che diede più voti all’AfD in tutto il Mecklenburg-Vorpommern fu proprio quello che raccoglie Greifswald e l’isola di Rügen, il più popoloso della regione, con quasi 245 mila elettori.

L’elettorato dell’AfD si concentra molto nei paesi dell’ex DDR dove disoccupazione, immigrazione e assenza di infrastrutture creano nella popolazione forti risentimenti nei confronti di Berlino e Bruxelles.

È impressionante vedere la distribuzione geografica dei voti: anche senza sapere i confini storici delle due Germanie, si può tracciare facilmente il profilo della vecchia DDR seguendo la macchia dei distretti elettorali blu scuro che indicano le roccaforti elettorali dell’AfD. Nello Schleswig-Holstein, un tempo parte del “mondo occidentale” e dove le statistiche di povertà e disoccupazione cambiano nettamente, la percentuale dei voti dell’AfD crolla al 5,9 percento.

Il partito oggi guidato da Frauke Petry ha saputo mostrare un’attenta versatilità comunicativa: in una regione come il Mecklenburg-Vorpommern l’AfD intercetta non solo i voti delle fasce più deboli o meno istruite della popolazione, presentandosi come un tipico partito populista dalle facili trovate. A votare AfD sono anche giovani ben istruiti, adulti professionalmente inseriti e famiglie che vedono minacciata la propria comunità dal multiculturalismo o dall’ennesimo campo eolico a pochi metri da casa. 

In un clima elettorale annoiato le idee più radicali trovano maggiore risonanza. Il caso più recente di scalpore politico è stato il fermo di un consigliere municipale di Rostock e di un funzionario di polizia di Ludwigslust nel contesto di un’indagine regionale sul terrorismo. I due avevano compilato via Whatsapp una lista di politici di sinistra da internare e uccidere approfittando di una potenziale guerra civile provocata dai rifugiati e dalla crisi economica, da loro ritenuta evidentemente imminente. Il consigliere comunale era stato eletto nel consiglio municipale della città anseatica con la lista indipendente Ufr (Unabhängige Bürger für Rostock, cittadino indipendente per Rostock), di cui fa parte anche il sindaco.

Al di là dell’AfD, che comunque appartiene alla scena “istituzionale” del dibattito politico tedesco, il radicalismo di destra è nel Nord-Est del Paese una realtà in forte crescita. Nel 2015 sono stati censiti nella regione 1450 militanti di estrema destra, che a livello federale sono oltre 22 mila.

A Pasewalk, cittadina situata a pochi chilometri dal confine con la Polonia, lontana dai centri turistici della costa di Usedom e Rügen o dalla vita studentesca di Greifswald, nel maggio 2014 la NDP, il Partito Nazionaldemocratico di Germania, di chiara ispirazione nazionalsocialista, ha ottenuto al consiglio comunale due seggi, con il 6,3 percento dei voti. Sempre qui, nel 2011, la NDP aveva organizzato la festa del proprio giornale, la Voce Tedesca, richiamando nella cittadina migliaia di neonazisti.

Pasewalk è situata in un distretto con il tasso di disoccupazione più alto dell’intera regione, tra il 9 e il 10 percento su una popolazione di nemmeno 240 mila abitanti. Ovunque si scorgono i segni di un passato industriale ormai lontano: davanti alla stazione sorge l’enorme struttura di quella che negli anni Sessanta-Settanta era l’azienda statale cerealicola più grande della zona ed entrando nella città ci si avventura tra case popolari in perfetto stile razionalista sovietico, qualche discount e molti negozi vuoti, con cartelli di “affittasi” o “vendesi”.

La sera del duello televisivo tra Angela Merkel e Martin Schulz è andato in onda un dibattito fortemente narcotizzato e alquanto deludente. Su oltre novanta minuti di confronto, la quasi totalità del tempo è stata focalizzata sul tema dei migranti e dalla spinosa questione dei rapporti con la Turchia.

A conclusione della serata Christian Lindner, candidato dei liberali, ha subito twittato: «Come mai non si è detto niente su istruzione, digitalizzazione, euro, energia, clima, innovazione e burocrazia?». E ha ironicamente paragonato il duello all’emozione del tempo di attesa in coda all’anagrafe cittadina. Su Die Zeit la giornalista Mariam Lau ha parlato di due sposi che rinnovano le proprie promesse matrimoniali, tanta era stata l’accortezza dei due candidati a non ferirsi troppo in vista di una possibile grande coalizione.

La Cancelliera si è proposta nella sua essenza: la garanzia della tranquillità, della sicurezza e della continuità. D’altronde lo slogan che accompagna la Mutti, come la Merkel viene scherzosamente chiamata dai Tedeschi, è proprio quello di chi invoglia a scegliere per la tranquillità: “Per una Germania in cui si viva bene e volentieri”.

Di tutt’altra pasta il candidato socialdemocratico ed ex Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz.  Nel dibattito televisivo è apparso più frenato e conciliante del solito, pur non perdendo occasione per provocare una fredda e istituzionale Merkel. La Cancelliera ha saputo abilmente disinnescare i punti su cui più volte il suo sfidante ha insistito, come ad esempio la proposta di una linea dura contro la Turchia del Presidente Recep Tayyip Erdogan.

Il momento più rilevante è stata la domanda sulla grande coalizione: i due candidati non hanno escluso l’idea di un’alleanza come quella che permise la formazione del primo Governo Merkel nel 2005 o come quella attuale, dove l’esecutivo è formato per metà da ministri dell’Unione (CDU + CSU) e per l’altra metà da politici della SPD. L’Unione Cristiano-Democratica della Cancelliera, che oggi si presenta in Parlamento in un blocco unico con la CSU, l’Unione Cristiano-Sociale presente in Baviera, potrebbe anche scegliere di aprire ai liberali della FDP (Freie Demokratische Partei, Partito Democratico Libero), ai Verdi (Grüne) o a entrambi. Tutto dipenderà da come il partito della Merkel riuscirà ad imporsi alle urne, tenendo conto che il distacco dalla SPD di Schulz si aggira a pochi giorni dalle elezioni sui 15 punti percentuali (38 percento a 24).

Due giorni dopo il duello televisivo, in un piccolo ristorante di Greifswald, davanti a una “pizza salami” ricoperta di formaggio, incontro Erik von Malottki, membro della sezione cittadina della SPD. Con lui ci sono anche Stephan Schumann, ricercatore associato presso la Facoltà di giurisprudenza, la dottoressa Monique Wölk, membro della SPD locale e Pascal Rosik, rappresentante degli Jusos, i giovani socialdemocratici.

Malottki mi spiega che la Merkel ha attuato in questa campagna elettorale una «vera e propria strategia della smobilitazione (Demobilisierung)», ignorando o aggirando le questioni più spinose per lei e per la CDU. «Personalmente ho paura di una nuova grande coalizione. Per me, che rappresento la parte più a sinistra della socialdemocrazia, la migliore coalizione sarebbe un governo rosso-rosso-verde», vale a dire un governo formato dalla SPD, dalla Linke, partito di sinistra, e dai Verdi. Ad esempio, questa coalizione è già presente nella città-stato di  Berlino.

Alle elezioni comunali del 2014 fu proprio un’alleanza simile che riuscì a far eleggere a Greifswald, dopo anni di primi cittadini della CDU, un sindaco sostenuto dalla SPD, dalla Linke, dai Verdi e dal Partito Pirata.

I dubbi su una riuscita in prospettiva nazionale di una simile alleanza rimangono tuttavia forti. Schumann rimane infatti più cauto e mi spiega come la SPD di Schulz «debba ancora fare i conti con certe decisioni del passato, nonostante il clamoroso entusiasmo che il cosiddetto “effetto Schulz” ha portato sul partito».

Uno di questi fantasmi del passato è la nota “Agenda 2010”, il piano di riforme del lavoro e delle politiche sociali che Gerhard Schröder, ultimo Cancelliere della SPD, introdusse nel 2003, alienandosi l’appoggio dei sindacati e dello zoccolo duro degli elettori socialdemocratici. Schröder perse poi le elezioni anticipate, ma fu proprio grazie ad Agenda 2010 – con il taglio del sussidio di disoccupazione, la diminuzione del peso fiscale sul lavoro e regole più morbide sui licenziamenti – che l’economia e il mercato del lavoro tedeschi conobbero una nuova spinta gigantesca, dopo anni di stagnazione.

Martin Schulz, con lo slogan “È tempo per una maggiore equità” ha fatto intendere di voler correggere il tiro: l’attuale Governo di grande coalizione ha introdotto nel 2015 il salario minimo e le proposte di Schulz puntano molto su nuove riforme di assistenza a precari e disoccupati.

«In Mecklenburg-Vorpommern servono soldi per le scuole e l’istruzione, per far rimanere i giovani e portare sviluppo. Servono nuovi finanziamenti per le infrastrutture e un’attenzione specifica al mercato immobiliare» afferma Malottki. La battaglia politica di Schulz punta molto sulla necessità di un welfare state più inclusivo, lontano dall’austerità che ha caratterizzato l’Europa in questi anni. Insiste particolarmente sul problema degli affitti: nella città anseatica è infatti in corso un piano di espansione urbana e di recupero di molti edifici vuoti. Il timore è quello di una speculazione sugli immobili simile a quella che ha coinvolto in questi anni Rostock, la cittadina più grande della regione, anch’essa ambita meta turistica e rinomato centro universitario.

A Greifswald un appartamento in affitto di 60mq costa in media 6,37 euro/mq escluse le spese, circa 382 euro al mese. Sulla stessa metratura la media regionale è di 5,89 euro/mq, mentre a Rostock si arriva a pagare 8,30 euro/mq. I numeri del mercato immobiliare forniscono un chiaro indicatore del tenore economico della regione: con poco più di 200 mila euro si può comprare a Greifswald un immobile di 100mq. A Friburgo, nel Baden, serve almeno il doppio, e a Monaco di Baviera si arriva oltre ai 320 mila euro per la stessa metratura.

Secondo i dati dell’Agenzia Tedesca di Statistica, nel 2014, prima dell’introduzione del salario minimo, un lavoratore a tempo pieno nel Mecklenburg-Vorpommern guadagnava 13,77 euro all’ora, il risultato più basso di tutta la ex Germania dell’Est. I colleghi bavaresi prendevano 18,26 euro all’ora, mentre la media nazionale si attestava sui 17,44 euro all’ora.

Emblematico il caso della Hanse Yachts, i cantieri navali di Greifswald specializzati nella costruzione di yacht e barche a vela. È solo dal 2016 che un operaio nella fascia retributiva più bassa arriva a prendere 10,50 euro all’ora, vedendosi aumentati anche i giorni di riposo.

La mancanza di investimenti e infrastrutture ritorna anche nelle parole di Andre Bleckmann, Vicepresidente della sezione locale del partito liberale (FDP). Nonostante l’Agenzia Federale del Lavoro abbia certificato il significativo calo dei disoccupati, da 78 mila a 67 mila in un solo anno, la regione rimane schiacciata sotto un 8,2 percento di disoccupazione e fatica ad attrarre nuovi capitali e lavoratori.

«La battaglia della FDP punta molto sui giovani, sulla digitalizzazione e sulla lotta alla burocrazia» racconta il giovane liberale. Attualmente si sta spendendo per unire alla municipalità di Greifswald il vicino centro di Wackerow, «un’operazione a beneficio di entrambi, specialmente dal punto di vista della semplificazione amministrativa e di una migliore gestione della spesa comunale».

Da Greifswald mi sposto a Wolgast, un piccolo centro di appena 12 mila anime davanti all’isola di Usedom. Percorrendo la Landstraße 62 che costeggia la costa si passa dalla località balneare di Lubmin, particolarmente apprezzata per il lungo litorale sabbioso e la pineta che lo circonda. La vita di questo paesino della Pomerania cambiò profondamente nel 1967, quando a pochi chilometri dalla penisola di Struck, il governo della DDR decise di costruire una centrale nucleare che doveva rappresentare il progetto più ambizioso del programma nucleare della Germania dell’Est. Alla luce della sera sembra un’enorme creatura addormentata.

La vicenda della Kernkraftwerk di Lubmin è un esempio perfetto dei rivolgimenti che la riunificazione delle “Germanie” comportò per gli abitanti del distretto. La costruzione dell’impianto proseguì fino a poco prima della caduta del muro e quando poi fu valutato economicamente sconveniente riadattare l’intero sito agli standard occidentali, questo divenne sede di una lunga opera di smantellamento. La beffa fu che il reattore 4 era rimasto in funzione per nemmeno due mesi e che al reattore 5 mancava semplicemente l’allacciamento alla rete elettrica per entrare in produzione.

L’indotto della centrale dava lavoro a quasi 10 mila persone e le ripercussioni per la chiusura furono ovviamente disoccupazione e rabbia. Ancora oggi nella zona molti abitanti sono favorevoli più all’energia atomica che alle pale eoliche che proliferano nella campagna circostante.

Wolgast è la sede dei cantieri navali Peene-Werft, dal 2002 acquisiti dal gruppo tedesco Lürssen e un tempo sede della realizzazione delle commesse per la marina della DDR, con più di 3000 operai impiegati. La città alla sera appare deserta e dal centro si riconosco i profili delle gru del porto, dove un massiccio ponte meccanico chiamato “la meraviglia blu” collega la terra ferma all’isola di Usedom.

Recentemente il nome della città è comparso sulla cronaca locale per le proteste dei cittadini contro la chiusura dell’ospedale infantile, a favore di quello di Greifswald e di Pasewalk, distanti 30 chilometri.

Non è quindi un caso che l’8 settembre scorso Angela Merkel sia stata accolta nella cittadina con lanci di pomodori e fischi. Oltre ai molti militanti di destra raccolti davanti al palazzetto dello sport dove la cancelliera ha parlato, tra i contestatori c’erano anche semplici cittadini arrabbiati per la situazione della loro comunità.

Alla perdita di importanti infrastrutture si aggiunge anche una quota di profughi in proporzione più alta rispetto al vicino centro di Greifswald, tenendo conto dell’esiguo numero di abitanti: un anno fa, su 282 posti, 209 risultavano occupati.

Se si guarda alla distribuzione dei rifugiati su base nazionale, il Mecklenburg-Vorpommern è la regione che occupa le ultime posizioni, accogliendo il 2 percento di tutti i profughi che arrivano sul suolo tedesco. Secondo Eurostat, nel semestre gennaio-giugno 2015, quando la Merkel aprì le frontiere alla rotta balcanica, la Germania si è trovata a gestire 172 mila domande di asilo. In Italia, nello stesso periodo, furono circa 31 mila. Un anno dopo, tra gennaio e agosto, le domande erano salite a 256.938. Il Land con la quota maggiore è la regione del Nord-Reno Vestfalia, la più popolosa, con il 21,2 percento di profughi; fanno seguito la Baviera (15,3 percento) e il Baden-Württemberg (13 percento).

In un Land con una popolazione di appena 1,6 milioni di abitanti e dove la città più popolosa non supera le 200 mila persone, un 2 percento non rappresenta un peso. Il problema sta tuttavia nella distribuzione demografica: gran parte del Mecklenburg-Vorpommern è scarsamente popolata e la presenza di centri urbani relativamente piccoli comporta che anche una piccola quota di profughi sia spesso percepita come un fenomeno di dimensioni maggiori.

Secondo il registro cittadino nell’aprile 2017 erano presenti a Greifswald 3.864 stranieri (il 6,8 percento della popolazione). La comunità più numerosa è quella siriana (769 persone), seguita da quella polacca (562) e da quella ucraina (231). Se si guarda invece ai Paesi di provenienza di chi fa domanda di asilo, ci si accorge che sono tutte aree teatro di conflitti negli ultimi cinque-dieci anni: nel febbraio 2016 su 600 richiedenti asilo, la metà proveniva dalla Siria, il 13 percento dall’Ucraina e il 7 percento dall’Afghanistan.

La cosiddetta “emergenza profughi” che spaventa molti Tedeschi è un fenomeno che deve essere ridimensionato e che spesso è opportunamente strumentalizzato dalla stampa locale e dai partiti. 

Per conoscere meglio la situazione dei piccoli centri come Wolgast, incontro un pomeriggio Frederic Beeskow, sindaco di Wittenhagen, località a una ventina di chilometri da Stralsund e parte della comunità amministrativa di Miltzow, che raccoglie i tre centri di Wittenhagen, Sundhagen e Elmenhorst, per un totale di poco più di 7 mila abitanti.

Beeskow è sindaco dal 2014, eletto con una lista civica che è riuscita a imporsi sul candidato ufficiale della CDU. Anche a Wittenhagen l’AfD ha il suo bacino di fedeli elettori, eppure dalle parole del primo cittadino apprendo una situazione molto diversa da quella che in genere si legge sui giornali. Wittenhagen ha infatti scommesso positivamente sull’integrazione: con l’aiuto di altre amministrazioni e il coinvolgimento di associazioni, scuole e cittadini volontari, sono oggi attive nella zona numerose iniziative di integrazione, dai corsi gratuiti di tedesco alle letture per bambini, dalla raccolta di vestiti e mobili ai corsi di sartoria.

«Per molte famiglie locali ha giocato un ruolo importante il fattore storico: coloro che durante i momenti più duri della nostra storia hanno avuto famigliari in pesanti difficoltà sono più portati ad aiutare chi oggi si trova in situazioni difficili». Nonostante gli sforzi finanziari e la generale povertà della regione, le parole di Beeskow sono incoraggianti: «Dobbiamo convincere le persone che qui possono avere una buona vita e che si può fare molto con i propri sforzi. Credo che questa sia oggi la cosa più importante per la regione».

A una domenica esatta dal mio arrivo risalgo sul regionale, questa volta in direzione Berlino. Il tassista che mi porta alla stazione mi dice: «Anche lei se ne va a Berlino», alludendo ai molti giovani che abbandonano la regione per cercare migliore fortuna e istruzione nella capitale o nel sud del Paese. Più volte nel Novecento i Tedeschi hanno saputo rialzarsi da situazioni di grande difficoltà, ma non sempre trovando le giuste guide. Molto del futuro di questa terra dipenderà pertanto da quanto la voglia di riscatto saprà vincere sulla rassegnazione, a partire certamente dalle scelte della classe politica. 

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