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Tijuana-San Diego: come è la vita lungo il confine che oggi separa le due Americhe

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Reportage da Tijuana, al confine tra Messico e Stati Uniti, di Sandro Montefusco per TPI

Una giovane donna piange, accarezza e stringe la fredda rete metallica mentre osserva la figura della madre allontanarsi al di là della barriera. La polizia di frontiera ha appena chiuso l’accesso. Il marito, poco distante, spiega che sono sei anni che alla moglie è stato ritirato il permesso di entrare a San Diego e rivedere la madre, gli unici contatti avvengono durante questi sabati mattina, quando, come prigionieri di carceri invisibili, le famiglie possono ricongiungersi. Ma le vite si svolgono lontane e in questi mesi la donna non ha potuto assistere il padre malato, perdendo l’occasione di dirgli addio negli ultimi istanti di vita, un dolore che nemmeno la nascita della nuova arrivata Maria è riuscito a lenire. Lacrime e singhiozzi devono però essere nascosti e celati alle due bimbe che, ignare di tutto, continuano a giocare spensierate nel parco dell’amicizia.

* * *

Dall’altra parte del muro, sul confine di San Diego, c’è Beto. È poco più che ventenne e grazie ad alcuni cugini ha trovato lavoro in una falegnameria nell’area metropolitana di Las Vegas. Ha viaggiato molte ore per raggiungere il parco. Lì, oltre la rete metallica, lo attende lo sguardo della fidanzata. Il suo inglese è ancora acerbo e ci chiede di domandare alla polizia di frontiera se può avvicinarsi a una zona priva della fitta rete metallica. Nonostante la concessione Beto e Rebecca si guardano separati da una distanza di un paio di metri. Vivevano a pochi isolati l’uno dall’altro a Ensenada, poco a sud di Tijuana. I loro volti così giovani ingannano, hanno già vite da raccontare. Non c’è malinconia. Beto le dice che presto vorrà sposarla, Rebecca timidamente inclina lo sguardo e sorride felice all’ombra del muro.


Erano in pochi, pochissimi, a immaginare che Donald Trump sarebbe diventato il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America. Eppure qualcosa, al di là della frontiera messicana, era cambiato: si percepiva negli ultimi mesi una tensione maggiore, un’instabilità che andava oltre le semplici dichiarazioni folkloristiche da campagna elettorale.

I buffi proclami sulla costruzione del muro non sembravano più soltanto delle azzardate promesse (o minacce) da election day, ma per molti si traducevano già in paura concreta per politiche migratorie ancora più aspre.

Politiche che non riguardano soltanto gli oltre 10 milioni di clandestini che già vivono sul territorio statunitense, ma soprattutto le migliaia di migranti che giorno dopo giorno, da ogni parte dell’America latina e dell’Africa occidentale, tentano di raggiungere gli Stati Uniti.

Questi ultimi mesi hanno visto un aumento enorme del flusso di migranti (in particolare da Haiti) che risalendo l’America centrale, sono giunti negli Stati Uniti provvisti di permessi particolari e non definitivi.

“Cosa succederà se vincerà Trump?”

Con questa angosciosa domanda molti migranti si sono mossi spaventati dalla possibilità di forti limitazioni alla circolazione, fino all’innalzamento di un muro, e hanno accelerato i loro passi per migrare verso gli Stati Uniti. E proprio adesso che le preoccupazioni sembrano doversi tramutare in presagi, l’agitazione sale.

Il confine di Tijuana, la frontiera più attraversata al mondo con circa 8 milioni di transfrontalieri annui, ha un ruolo chiave nelle politiche migratorie. È qui che si incrociano la maggior parte delle storie di migranti, clandestini, espatriati e intere famiglie separate, a volte per sempre, dal muro. 

Se c’è un luogo che racconta meglio di altri il dolore e la violenza della barriera tra il Messico e gli Stati Uniti, questo luogo è senza dubbio il Friendship Park. Voluto dalla first lady Nixon agli inizi degli anni Settanta, è divenuto il crocevia dove migranti residenti negli Stati Uniti possono incontrare i loro cari rimasti o arrivati per l’occasione a Tijuana.

Il parco dista poche decine di metri dal mare e si affaccia su entrambi i territori. Negli anni Novanta fu costruita la prima barriera in lamiera per dividere l’area metropolitana di Tijuana da quella San Diego ma, proprio a ridosso del Friendship Park, la trama metallica fu tagliata in modo che i migranti potessero abbracciare i propri cari creando un varco tra mondi che si tendono la mano.

A seguito dell’11 settembre e con l’inasprirsi delle politiche protezioniste, fu costruita una seconda barriera, distante una ventina di metri dalla prima, molto più alta, illuminata e dotata di sensori di movimento. Ciò ha reso impossibile il raggiungimento del confine.

Solo da qualche anno si è riusciti a ottenere il permesso di oltrepassare la barriera interna e avvicinarsi al confine. Ogni sabato mattina, per poche preziosissime ore e sotto la supervisione della Border Patrol, la polizia di frontiera, è possibile rivedere gli affetti che sono al di là di quella cortina composta da una fittissima rete di metallo che rende impossibile qualunque tipo di contatto.

Dal lato statunitense la maggior parte delle persone non ha permessi regolari. Molti oltrepassano il confine con i coyotes. Questo è il nome che viene dato ai trafficanti messicani di migranti clandestini. Al costo di circa 10mila dollari, conducono i migranti su pericolosi sentieri nei deserti interni: la tratta è rischiosa e ogni giorno molte persone perdono la vita per disidratazione e ipotermia durante il cammino. Altri vengono invece bloccati e rimpatriati dalla polizia di frontiera. Ma i deserti non sono l’unica via di accesso: alcuni tentano di oltrepassare il mare di notte, altri lasciano scadere regolari permessi momentanei scegliendo la vita dei clandestini.

Sul lato di Tijuana la maggior parte delle persone che si incontrano sono sono state rimpatriate dagli Stati Uniti perché migranti illegali o per futili motivi. A queste persone la possibilità di ritorno è negata per sempre. Ma ci sono anche persone che semplicemente non hanno i requisiti sufficienti per ottenere il rilascio dei visti.

Le regole per ottenere i documenti d’ingresso sono molto stringenti: un accertato livello di istruzione, conti bancari in regola, proprietà immobiliari, referenze negli Stati Uniti sono solo alcuni dei requisiti richiesti per il rilascio dei permessi. In questo modo, e secondo queste regole, si comprende facilmente come tutta la fascia di popolazione meno abbiente non abbia alcuna possibilità di seguire vie legali anche solo per rivedere i familiari.

Qui, all’ombra di quella fitta rete metallica, nel parco dell’amicizia, si incrociano le storie e i drammi di intere famiglie divise.

*Testo e foto a cura di Sandro Montefusco

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