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I fantasmi dimenticati che aspettano asilo dopo il muro di Calais

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Il progetto Lingering Ghosts del fotografo Sam Ivin raccoglie le foto dei volti dei richiedenti asilo nei centri di accoglienza del Regno Unito

Il 25 gennaio 2017 Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per destinare fondi pubblici federali all’edificazione del muro al confine con il Messico, per limitare l’immigrazione clandestina negli Stati Uniti. Due giorni dopo, il presidente americano ha approvato il decreto Proteggere la nazionale dall’ingresso dei terroristi musulmani negli Stati Uniti, che ha scatenato proteste in tutto il paese. L’intenzione della Casa Bianca è chiudere le frontiere per i paesi e i cittadini potenzialmente connessi con il terrorismo.

Nell’eterna competizione con i cugini americani, gli inglesi erano arrivati prima a provvedimenti simili. A inizio settembre 2016 il Regno Unito annunciava l’intenzione di innalzare un muro a Calais, nel nord della Francia, per frenare l’onda dell’immigrazione che ormai da anni si abbatte sull’Europa. A dicembre 2016 quel muro è stato completato, in soli tre mesi. Costato 2,7 milioni di euro, alto 4 metri e lungo un chilometro, il muro è la soluzione del Regno Unito al problema della concentrazione di migranti presso il campo di Calais, chiamato “la giungla”.

Il campo, creato nel 2003 con trattato anglofrancese di Le Touquet e sgomberato nell’ottobre 2016, ospitava 10 mila persone, “fantasmi” di cui nessuno conosce con certezza l’identità e il paese d’origine. Difficile stabilire se si trattasse di clandestini, richiedenti asilo, criminali o terroristi.

Al di là del muro l’attesa non si è fermata: storie che aspettano un’identità continuano a esistere anche lì, dove le barriere sono state superate.

Sam Ivin è un fotografo di 24 anni che, dopo essersi laureato in fotografia alla University of Wales di Newport, ha ottenuto una borsa di studio con il centro italiano di ricerca sulla comunicazione Fabrica. Sam ha cercato di raccontare cosa significa essere un richiedente asilo nel Regno Unito. Per questo motivo, dal 2013, ha iniziato un viaggio partito dal Galles e poi esteso a tutta l’Inghilterra, nel quale ha incontrato gli immigrati ospitati nei centri accoglienza e dal quale è nato il progetto Lingering Ghosts, realizzato in collaborazione con Fabrica.

“Persone di tutte le età, con un vissuto pesantissimo e drammatico, si ritrovano ad attendere tre, cinque, anche dieci anni prima di ottenere un riscontro rispetto alla loro richieste di asilo”, ha raccontato Sam a TPI. Durante questo periodo l’identità di queste persone viene in qualche modo negata, trasformandosi in fantasmi, in ombre sospese. 

Per esprimere questa condizione di limbo, Sam ha raccolto ritratti in cui gli occhi sono stati raschiati via. Ventotto migranti per ventotto fotografie, nelle quali il volto è stato cancellato per trasmettere la perdita dell’identità personale. 

“C’era molto da raccontare rispetto a questo fenomeno silenzioso”, ha spiegato Sam. “Mentre le storie degli immigrati si perdono nel tempo, ho cominciato a girare nel paese, tra i vari centri accoglienza, anche per attirare l’attenzione dei media britannici”. 

“Ho incontrato persone diversissime con storie incredibili”, conclude il fotografo. “Ho conosciuto una ragazza giunta qui nel 2005 dalla Nigeria, aveva perso la mamma e il fidanzato l’ha costretta a prostituirsi per pochi pound. Anni di prostituzione durante i quali ha contratto l’HIV aspettando l’approvazione della richiesta di asilo che per ben sette volte le è stata negata. Il loro volti ritroveranno un giorno l’identità perduta”. 

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