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Come voteranno i poveri in Germania?

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Credit: Axel Schmidt

Alle elezioni del 24 settembre i tedeschi disoccupati e lavoratori a basso reddito sembrano orientati a scegliere fra la sinistra socialista Die Linke, i populisti xenofobi di AfD o il cosiddetto partito dell’astensione

Sì, i poveri in Germania esistono e non sono così pochi. Nel 2017 sono stati calcolati 12,9 milioni di tedeschi poveri, il 15,7 per cento di una popolazione di 82 milioni di abitanti. Mentre il paese si appresta a eleggere per la quarta volta la cancelliera Angela Merkel, quello della povertà continua a essere un tema molto scomodo.

Martin Schulz, principale avversario politico di Merkel, ha provato a impostare la sua campagna elettorale sulla giustizia sociale, ma il suo partito socialdemocratico sembra aver perso il contatto con gli strati meno abbienti della società tedesca e con quella che un tempo veniva chiamata classe operaia. Oggi, tanti tedeschi disoccupati e lavoratori a reddito basso sembrano orientati a scegliere fra tre opzioni: la sinistra socialista Die Linke, i populisti xenofobi di AfD o il cosiddetto partito dell’astensione.

La sinistra Die Linke ha una piccola base ideologica in tutto il paese, ma continua ad affermarsi soprattutto negli stati dell’ex DDR, dove in molti si sentono ancora cittadini di serie B. Allo stesso bacino elettorale degli scontenti della Germania orientale si riferisce anche fortemente Alternative für Deutschland, che punta all’etnicizzazione delle rivendicazioni sociali e a imporsi come un partito identitario, narrativamente anti-elitario e anti-globalizzazione.

I sondaggi danno al 10 per cento circa sia Die Linke che AfD: entrambi i partiti sono comunque fuori dalle possibili coalizioni di governo. Il partito degli astenuti, invece, è al momento stimato intorno al 28 per cento. Considerando tutti gli aventi diritto al voto in Germania, gli astenuti avrebbero la maggioranza relativa, con un punto percentuale in più dello stesso partito cristiano-democratico di Angela Merkel.

Ovviamente, non tutti i tedeschi che appartengono agli strati sociali più deboli decideranno di astenersi, di votare Die Linke o AfD. L’elettorato di AfD, del resto, è trasversale e conta anche tedeschi appartenenti alla fascia reddituale media e alta, mentre quello di Die Linke è anche composto da cittadini mossi soprattutto da un idealismo di sinistra (post)socialista.

I numeri complessivi, però, parlano chiaro. L’istituto economico di ricerca DIW di Berlino ha analizzato la composizione sociale dell’elettorato di ciascun partito. In base a un valore mediano, gli elettori che votano per i liberali o per il partito verde sono in maggioranza più ricchi, quelli che votano AfD e Linke sono in maggioranza più poveri. I due principali partiti tedeschi, CDU ed SPD, non sembrano contare su un particolare consenso tra le fasce più povere della popolazione. Il reddito mediano più basso in assoluto, inoltre, è proprio quello degli astenuti. 

Povertà e populismo

Uno studio della fondazione Bertelsmann, una delle più importanti della Germania, ha anche sottolineato la correlazione tra le cosiddette tendenze populiste e i cittadini con i redditi più bassi. Il 42 per cento dei cittadini che rientrano nella fascia più bassa di reddito si riconosce in posizioni politiche di tipo populista, la percentuale scende al 27 per cento per i redditi medi e al 20 per cento per quelli alti.

Certo, bisogna definire correttamente cosa si intenda per “populismo”: lo studio Bertelsmann lo ha inteso come una specifica sfiducia nel potere politico tradizionale, nelle istituzioni della repubblica federale e nell’establishment economico e culturale.

Non è difficile comprendere che questa sfiducia sia molto diffusa tra chi si senta escluso dal benessere e dalla crescita economica tedesca. Lo stesso tema principale della destra identitaria AfD, il rifiuto dell’immigrazione, trova spesso sostegno grazie alla concreta preoccupazione tra i tedeschi più poveri di dover competere nell’accesso ai lavori meno remunerati e al sistema di welfare. Non è facile essere gli ultimi in un paese che il mondo intero giudica il primo della classe. 

Quale povertà?

In Germania si considera povero chi ha un reddito inferiore al 60 per cento del reddito medio nazionale. La già citata percentuale del 15,7 per cento di tedeschi poveri è stata calcolata da uno studio del Paritätische Wohlfahrtsverband lo scorso marzo e riportata subito da Die Zeit, uno dei maggiori e più autorevoli quotidiani tedeschi.

Si tratta di quasi 13 milioni di persone, tra cui ci sono milioni di working-poors: cittadini che non rientrano nell’attuale quota di disoccupazione tedesca (che è ufficialmente al di sotto del 4 per cento), ma che vivono in ristrettezze economiche pur avendo un lavoro, spesso muovendosi tra mini-jobs, contratti ultra-precari e impieghi atipici.

Secondo la fondazione Hans-Böckler di Düsseldorf, tra l’anno 2004 e il 2014, a seguito delle grandi riforme del governo Schröder, il numero dei working-poors in Germania è raddoppiato e costituisce oggi il 9,7 per cento dei lavoratori tedeschi. La percentuale non è solo più alta di quella di Francia e Regno Unito, ma anche di paesi come Ungheria e Cipro.

Tuttavia, c’è chi contesta i metodi di calcolo di questo scenario e la stessa definizione di povertà in Germania. Su alcuni dei maggiori quotidiani nazionali, ad esempio Die Welt, hanno trovato spazio diverse analisi che hanno sottolineato che alzandosi il livello del reddito medio tedesco è facile che la povertà aumenti statisticamente. Ma questo non significa che ci sia una diretta e proporzionale perdita del potere d’acquisto dei cittadini. La contestazione è più che pertinente e andrebbe approfondita, ma non è sufficiente per negare alcune problematiche sociali oggettive, come dimostrano anche milioni di persone che in Germania continuano a vivere unicamente grazie ai sussidi statali. 

I disoccupati amano la destra identitaria?

Il sistema di sussidio di base chiamato Hartz IV è considerato un punto cardine dell’economia sociale tedesca del nuovo millennio. Al tempo stesso, i numeri del sussidio e le sue modalità di distribuzione sono indicativi delle sacche di disagio economico del paese. Il sussidio di disoccupazione di base Hartz IV viene al momento percepito da 6,3 milioni di persone (inclusi i minori che lo ricevono tramite la famiglia).

Si tratta di più del 7 per cento della popolazione: 3/4 sono cittadini tedeschi, 1/4 è costituito da cittadini stranieri residenti in Germania. Prerogativa per ricevere questo aiuto mensile dallo stato è l’essere disoccupati, non possedere praticamente niente e, al tempo stesso, dimostrare di impegnarsi il più possibile nella ricerca di un’occupazione.

Gli uffici che elargiscono il sussidio, i Jobcenter, seguono una rigida e particolarmente invasiva politica di controllo delle condizioni economiche di ciascun cittadino che chieda l’aiuto dello stato per pagarsi una casa, il cibo e l’assicurazione sanitaria. Se ricevere il sussidio per un breve periodo è una preziosa forma di welfare di base, il sistema è tutto fuorché perfetto, ad esempio per gli oltre 2 milioni di cittadini che vivono con il sussidio da anni, a volte dopo aver “ereditato” la propria condizione direttamente dai genitori.

Esiste in questo caso una Germania sommersa, fatta di cittadini che vivono in un limbo burocratico-assistenziale in cui non sono più favorite la dignità e l’autonomia personale e in cui l’umiliazione e il risentimento diventano velocemente i sentimenti dominanti. Forse anche per questo motivo in alcuni stati federali è emerso il forte sostegno tra i disoccupati per la destra populista, che riesce a proporre una narrazione alternativa di auto-valorizzazione psicologica su base xenofoba e identitaria.

Nelle scorse elezioni locali di Berlino, il partito dell’AfD è stato votato dal 14 per cento dei cittadini ed è stato il primo partito tra i disoccupati della capitale. Nella periferia orientale berlinese di Marzahn Nord, dove le persone che vivono in una famiglia col sussidio superano il 30 per cento, i voti per AfD hanno toccato il 35 per cento in alcuni seggi. Nelle elezioni locali dello stato federale Baden-Württemberg, AfD ha raccolto il 15 per cento dei voti, ma il 32 per cento dei voti dei disoccupati.

Nello Sachsen-Anhalt, depressa regione dell’ex DDR, AfD si è imposta con il 24,3 per cento dei voti, raccogliendo però addirittura il 38 per cento tra i disoccupati. Anche nella Germania dell’ovest è successo qualcosa di simile: nello stato Rheinland-Pfalz, AfD ha raccolto solo il 12,6 per cento dei voti complessivi, ma il 27 per cento di quelli dei disoccupati (dati Infratest Dimap).

La stabilità tedesca in un modo sempre più instabile

Mancano pochi giorni alle elezioni del 24 settembre. Nonostante il crescente malcontento di una parte dei tedeschi, e al contrario di quanto avviene in altri paesi europei, al momento il vento anti-establishment non sembra in grado di preoccupare i partiti tradizionali. Se si esclude quello che sarà il gioco delle coalizioni, le elezioni vengono da tutti considerate noiose: vincerà Angela Merkel.

Fino a quando il disagio sociale interesserà soltanto una minoranza della popolazione e le aree più depresse del paese, la Germania potrà permettersi ancora di rinviare il dibattito interno su quei tedeschi sempre più esclusi dalla crescita e dal benessere. Per contenere il disagio sociale, però, Berlino dovrà continuare a contare sulle finanze del proprio capillare sistema di welfare e, al tempo stesso, dovrà riuscire a mantenere il privilegio di un’economia mercantilista vincolata al surplus commerciale delle esportazioni sulle importazioni.

Non si tratta di condizioni scontate. La possibilità di scontri commerciali su scala internazionale, la potenziale esigenza di dover creare un proprio sistema di difesa militare e la cronica incertezza dell’area euro potrebbero squilibrare nei prossimi anni l’attuale stabilità tedesca. In tal caso, lo scomodo tema della povertà in Germania potrebbe emergere con una nuova intensità.

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