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Home » Esteri

Brexit, la ministra del Lavoro Rudd si dimette e accusa Johnson: “Ci stiamo preparando solo al No Deal”

Immagine di copertina
Boris Johnson e Amber Rudd Credit: Ansa

La ministra era in totale disaccordo con l'espulsione dai conservatori di 21 membri che avevano votato la legge per evitare una Brexit senza accordo

Brexit, si dimette la ministra del Lavoro Rudd

La ministra del lavoro britannica, Amber Rudd, si è dimessa dal governo e dal Partito conservatore dei Tories, mettendo in ulteriore difficoltà il premier Boris Johnson, contestato dall’opposizione e nel suo stesso partito sul tema della Brexit.

> Tutti gli aggiornamenti sulla Brexit
La Brexit e le dimissioni di Amber Rudd

Nella lettera di dimissioni Rudd ha affermato di non ritenere più che “il principale obiettivo” di Johnson sia lasciare la Ue con un accordo e ha definito l’espulsione di 21 parlamentari Tory avvenuta martedì scorso come “un attacco alla decenza e alla democrazia”.

“Non posso rimanere nei Tories mentre alcuni dei più autorevoli colleghi ne vengono cacciati fuori”, afferma Rudd. Tra i deputati colpiti dalla purga ci sono l’ex ministro del Tesoro Philip Hammond e il nipote di Churchill. Quest’ultimo, Nicholas Soames, ha dichiarato in un’intervista che Churchill sarebbe disgustato dalle iniziative di Johnson, che lui considera il suo eroe e il suo modello.

La lettera e le accuse

Nella lettera di dimissioni Rudd accusa il premier Johnson: “Questa è stata una decisione difficile. Sono entrata nel suo Gabinetto in buona fede: accettando che il No Deal fosse sul tavolo, perché significava che avremmo le migliori possibilità di raggiungere un nuovo accordo per partire il 31 ottobre. Comunque, non credo più che l’uscita con un accordo sia il principale obiettivo del governo. Il governo sta spendendo enormi energie per prepararsi al No Deal ma non ho visto lo stesso livello di intensità nei colloqui con l’Unione Europea che ci ha chiesto di presentare soluzioni alternative al backstop irlandese”.

BoJo sempre più solo

Quello di Amber Rudd è l’ennesimo pezzo di governo perso dopo le precedenti dimissioni di Jo Johnson, fratello minore del premier, anche lui in dissidio per la linea dura sulla Brexit intrapresa dal nuovo leader conservatore.

Continua così il braccio di ferro tra il primo ministro “brexiter” e i suoi oppositori, che hanno fatto passare questa settimana alla Camera dei Comuni e alla Camera dei Lord una legge “anti no deal” che impone al leader britannico un rinvio a Bruxelles nel caso non dovesse essere ottenuto un nuovo accordo.

Johnson ritiene che il Parlamento stia ostacolando la decisione del popolo britannico espressa nel referendum di giugno 2016 e ha definito questo testo “anti-no deal” approvato dall’opposizione la “legge sulla capitolazione” a Bruxelles.

Per ovviare a questa situazione di stallo, Boris Johnson ha proposto di tenere elezioni anticipate, che l’opposizione rifiuta, temendo sia l’occasione per passare un “no deal” soft. Secondo i sondaggi, la maggioranza dei britannici è a favore di una Brexit ad ogni costo il 31 ottobre, anche senza accordo.

> Boris Johnson, la sospensione del Parlamento e la strategia dell’acqua alla gola sulla Brexit
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