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L’Italia ha tenuto 3 anni in carcere un migrante innocente, scambiandolo per uno scafista

Immagine di copertina
Medhanie Yehdego Mered, in carcere. Credit: ANSA/ IGOR PETYX

Sarà che la fame gioca sempre brutti scherzi. Quando è fame di un colpevole ancora peggio: figuratevi quando il colpevole dovrebbe essere uno scafista, di questi tempi in cui sull’immigrazione si vomitano i peggiori sentimenti.

S&D

Così quando nel 2016 venne estradato un uomo arrestato in Sudan e accusato di essere il ras degli scafisti furono in molti ad esultare per l’enorme risultato investigativo. Mered Medhanie Yedhego venne dipinto come il grande ras delle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di migranti verso l’Italia e tutta la stampa internazionale puntò gli occhi sui 14 anni di carcere che l’accusa aveva chiesto per l’imputato.

Peccato che l’arrestato invece si chiami Medhanie Tesfamariam Behre e sia un semplice falegname eritreo che ha regalato tre anni della sua vita alla giustizia italiana, passati in carcere mentre era additato dei peggiori crimini internazionali.

Già il Guardian, con un’inchiesta di Lorenzo Tondo e Patrick Kingsley, aveva scritto un pezzo che non lasciava troppo spazio a illazioni (si intitolava “Hanno l’uomo sbagliato”) e nel corso di questi mesi in molti hanno avanzato l’ipotesi che ci si ritrovasse di fronte a un enorme errore giudiziario.

Alla fine la prova del dna ha confermato che il profilo genetico dell’imputato non fosse compatibile con quello del pericoloso trafficante e così al giudice non è rimasto che disporre l’immediata scarcerazione.

Il suo avvocato Michele Calantropo ha presentato richiesta di asilo politico poiché per Medhanie sarebbe pericoloso rientrare sia in Sudan che in Eritrea e si è passati dall’avere un trafficante di uomini a ritrovarsi un rifugiato politico.

Farebbe ridere se non fosse la tragica realtà di un Paese che sogna troppo spesso di trovare conferme nelle proprie tesi piuttosto che indagare (e fare informazione) con cura e con attenzione.

Lo scorso 2 agosto è arrivato il colpo di scena: la commissione territoriale di Siracusa ha riconosciuto a Medhanie Tesfamariam Behre lo status giuridico di rifugiato politico che ora ha in mano un passaporto dell’Unchr. “È la fine di un incubo durato troppo a lungo”, ha detto al Guardian.

Rimangono a memoria le parole di Angelino Alfano che al tempo parlò del “più grande successo nella lotta all’immigrazione clandestina” e i facili entusiasmi del governo. Invece avevano preso un falegname.

E se ci pensate bene c’è anche una notizia peggiore: Il Generale (l’uomo che secondo la Procura di Palermo gestisce gran parte dell’immigrazione clandestina dalla Libia vero l’Italia), quello vero, è ancora in libertà.

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