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I Cinque Stelle sono troppo attaccati alle poltrone: il governo non cadrà (finché Salvini lo vuole)

Immagine di copertina
Luigi Di Maio, vicepremier, ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico e capo politico del M5S. Credit: Afp/ELIANO IMPERATO / Controluce

Le ultime polemiche tra Di Maio e Salvini sono la solita pantomima: il destino del Governo è nelle mani del leader della Lega, parlamentari e ministri M5S temono la crisi

M5S incollati alle poltrone: niente crisi di governo (finché Salvini lo vuole)

In queste ore assistiamo all’ennesima pantomima tra di due vicepremier del non-governo Lega-M5S. Ancora una volta la crisi viene minacciata e poi scongiurata da entrambi gli attori di uno spettacolo ormai ripetitivo e noioso. Ne sa qualcosa il corridoio dei passi perduti di Montecitorio, noto ai più come Transatlantico, vuoto come ogni santo venerdì. Fosse davvero imminente una caduta dell’esecutivo, oggi si vedrebbero decine di capannelli, con deputati più o meno noti ad esporre le loro teorie su elezioni anticipate, governi balneari, rimpasti.

Le rispettive stilettate fanno ormai parte di un copione visto e rivisto, utile solo a serrare le fila delle rispettive truppe per distrarre gli spettatori da problemi reali come la prossima manovra di bilancio che dovrà scongiurare l’aumento dell’Iva o lo scandalo dei fondi russi alla Lega. Non essendoci in questi giorni qualche nave di Ong da tenere in ostaggio a largo di Lampedusa per sollazzare un po’ di razzisti o qualche fantomatico vitalizio da tagliare per appagare un po’ di malati di invidia sociale, il diversivo diventa la minaccia di una bella crisi sotto l’ombrellone.

La verità è che il destino del Governo Conte è nelle mani di un solo uomo che si chiama Matteo Salvini. Sarà lui a decidere come e quando staccare la spina. E quando lo farà sarà evidente: il copione della recita sarà più cruento e assisteremo a vere e proprie scene di panico. Il quando è un’incognita, ma fino a un certo punto: nella Lega c’è chi parla di giugno 2020, unendo il voto anticipato con le prossime regionali.

A dare questo enorme potere al ministro dei Tweet con delega alle dirette Facebook, oltre a un consenso ancora in crescita, la debolezza politica e soprattutto il materiale umano messo in campo dall’alleato di governo, in crisi di consenso e di nervi.

C’è davvero qualcuno che pensa che il sedicente Movimento 5 Stelle voglia  far cadere il Governo? Davvero c’è chi crede che Luigi Di Maio rinuncerebbe a due ministeri e alla vicepresidenza del Consiglio? Davvero c’è chi crede che la laureanda Paola Taverna rinuncerebbe alla carica di vicepresidente del Senato? Davvero c’è chi crede che Toninelli, Trenta, Bonafede, Grillo, Lezzi, Costa, Bussetti e Bonisoli e i vari sottosegretari del partito della Casaleggio Associati rinuncerebbero alle rispettive poltrone? Davvero c’è chi crede che oltre la metà dei deputati e dei senatori M5S rinuncerebbero al loro scranno? No. Non lo faranno mai. Ormai sono solo degli ostaggi. Gli ostaggi del “quando mi ricapita?”.

La logica conseguenza di aver riempito le istituzioni di passanti promossi a deputati e senatori con qualche clic su una piattaforma web dalla dubbia trasparenza è la sindrome da “vincita al Superenalotto” che condiziona irrimediabilmente le vite di quelle persone, non formate a sufficienza per gestire il rapporto con il Potere. Il “quando mi ricapita?” diviene così la penale non scritta del “contratto” che costringe il partito di Davide Casaleggio a sottostare al dominio di Salvini pur avendo i gruppi più numerosi alla Camera e al Senato in virtù del voto del 4 marzo 2018.

Un’armata brancalone di eletti ridotti a pigiabottoni, terrorizzata dall’idea di veder sfumare l’opportunità di una vita: questo è oggi il Movimento 5 Stelle, la forza politica che voleva aprire il Palazzo come una scatoletta di tonno e che oggi riempie centinaia di scatolette di tonno ben allineate sullo scaffale di un discount.

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