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“Ma quali taxi del mare? Noi soccorrevamo le persone già 20 anni fa” | TPI su Open Arms

Immagine di copertina
Credit: Valerio Nicolosi

Valerio Nicolosi racconta giorno per giorno cosa succede a bordo della Open Arms lungo la rotta del Mediterraneo centrale

Open Arms | Reporter di TPI a bordo | Giorno 10

Open Arms | Siamo di nuovo a sud anche se costantemente aggiornati sull’evoluzione della Alex. Giulia, la dottoressa di bordo mi dice che la situazione è allo stremo, la piccola Alex non può sopportare ancora il mare con tutte quelle persone, sono senza acqua e sotto al sole.

Il mare da noi sembra disegnato e la leggera foschia all’orizzonte da quasi un tocco magico, sembra di essere dentro una bolla blu. 

Saverio, il cuoco di Roma oggi riposa visto che sono 15 giorni esatti che prepara pranzo e cena per tutto l’equipaggio, mi sono offerto io di preparare un pranzo leggero e la pizza per cena. Dovrò mettere in pratica cose che facevo 15 anni fa, quando di pizze ne preparavo più di 100 ogni sera. 

Quando è il pranzo è pronto dalla cucina vedo movimento, persone che passano velocemente e soprattutto i macchinisti che si mettono i guanti e vanno verso la coperta, li seguo e scopro che Oscar Camps, il fondatore della Ong Proactiva Open Arms, vuole scendere con uno dei due gommoni perché c’è un peschereccio vicino a noi e non si capisce se è alla deriva o no. 

Vado in cucina per sistemare le ultime cose e quando torno in coperta il peschereccio si sta affiancando a noi, hanno avuto un problema al serbatoio e hanno perso gasolio, non sanno se basterà per tornare a Lampedusa, a casa.

Il concetto di aiutare persone in mare è proprio questo: siamo in territorio ostile e quando si incontra qualcuno in difficoltà lo si aiuta.

Salgono a bordo e iniziamo a chiacchierare. Con lo spagnolo è difficile e quindi parlano principalmente con me, Riccardo e Saverio. Scopriamo che abbiamo amici in comune e con uno di loro già ci siamo incontrati proprio a Lampedusa, in un’occasione qualche anno fa. 

Gli diciamo per scherzo: “Noi siamo quelli che chiamano i taxi del mare”, sorridono e dicono: “ma quale taxi, noi soccorrevamo le persone già 20 anni fa!”. I racconti che ci fanno sono incredibili, alcune storie le conosco, altre no. Mi ricordo di un naufragio del 2011 sotto la Porta d’Europa, a Lampedusa. 

“Io guidavo il barchino che faceva da spola tra la barca dei migranti e la banchina del porto, quella del traghetto, dove c’era un dottore di Medici Senza Frontiere. La barca era incagliata e c’era corrente, non potevamo avvicinarci troppo per questo li facevamo buttare in mare e li tiravamo su. Uno di loro però aveva paura e non riusciva a buttarsi, alla fine si è buttato ma troppo vicino all’elica del motore, ancora acceso. Tentavo di avvicinarmi ma era difficile, l’elica lo risucchiava…già avevamo visto bambini spaventati, possibile che dovevamo vedere anche questo?”

Gli occhi sono tristi, amareggiati. In quel ho pensato che fosse morto e invece all’improvviso si rianimano e dice: “Mi sono sporto, l’ho preso per la maglietta, era un ragazzo abbastanza grande ma l’ho tirato su come fosse un bambino. L’elica gli aveva appena preso una scarpa…giusto in tempo!”. 

Il rifornimento del piccolo peschereccio è iniziato e ne approfittiamo per parlare ancora. Mi raccontano di come è cambiato tutto con la legge che prevedeva la confisca della barca in caso di soccorso in mare. “Chiamavamo la Guardia Costiera e non abbandonavamo mai le persone in mare, come avete fatto voi oggi. Se qualcuno è in difficoltà come fai ad andare via?”. 

“Io la fame non l’ho mai sofferta e sai perché lo so?” Uno di loro inizia timidamente un racconto, cerca di capire se si può fidare, anche se sono passati più di 10 anni. È un segreto che si porta dentro. “Eravamo molto più a sud di qua, in un punto in cui non potremmo pescare ma in quella stagione c’era poco pesce e noi dovevamo mangiare…”.

Non ancora del tutto sicuro di poterlo dire ma dopo averci guardato negli occhi prosegue: “il radar ci diceva che c’era qualcosa a qualche miglia di distanza ma non vedevamo nulla. Ci siamo avvicinati piano e abbiamo visto un gommone, sinceramente ho sperato fosse vuoto e che fossero stati già soccorsi. Invece c’erano due persone che quando ci hanno visti urlavano e ci facevano segno che avevano sete e fame. Gli abbiamo dato cibo e acqua ma non ho mai visto nessuno avventarsi in quel modo. Una scena incredibile, due litri d’acqua a testa e litigavano anche per le briciole. Ci hanno chiesto di portarli con loro ma vista la distanza e i 20 nodi di maestrale non potevamo trascinarli. Soprattutto per la legge sarei andato in carcere e mi avrebbero sequestrato la nave. Io ho tre figli, capisci?”. 

L’unica cosa che mi è venuta in mente di dire è “Si, capisco”. Però c’è stato un momento di gelo, non mi sentivo nessuno per giudicare ma nemmeno per dire: “Si, dovevano morire là”. 

“Siamo andati poco distanti a pescare ma non c’è l’ho fatta. Quale essere umano può lasciarne altri due in mare a morire?”. 

Le due persone sono state portate in salvo, la barca non è stata sequestrata e nessuno è stato arrestato. Le due persone erano gli unici sopravvissuti di 30 persone, tutte morte di fame e sete. Avevamo bevuto tutti l’acqua di mare, per disperazione. Loro due no, bevevano la loro pipì e così sono sopravvissuti. Un lieto fine a metà di una storia che ci avvicina ancora di più. 

Perdere la nave, essere denunciati e arrestati o salvare le persone? Una vita, anche una sola, vale più di qualche anno di carcere. 

Ci abbracciamo con la promessa di vederci presto a Lampedusa, “Vi dobbiamo un caffè” che in realtà hanno già pagato con il pesce regalato al cuoco, però è un segno di riconoscenza. 

“A Lampedusa allora…” approfitto per fargli una foto tutti insieme.

Credit: Valerio Nicolosi

Questa sera sono esentato dalla pizza, il comando della cucina lo prende di nuovo Saverio, cucinando il pesce che ci hanno regalato.

La Alan Kurdi, la nave della Ong Sea-Eye, si è offerta di accogliere a bordo i migranti della Alex, la nave è più grande e possono stare leggermente meglio a bordo. Ma la scelta di Mediterranea è chiara: “Entriamo in porto”. 

Giulia, la dottoressa della Alex mi scrive che c’è un ragazzo che sta molto male e nonostante siano in banchina non possono scendere. “La dottoressa dell’ambulanza mi ha detto che le è stato vietato di salire a bordo, assurdo!”. Il braccio di ferro è tutto politico ma a farne le spese sono le persone, questo è evidente. 

Per fortuna poche ore dopo arriva la notizia, è sempre lei a darmela: “ci siamo riusciti, stiamo tutti bene e stiamo per sbracare”. Questo è l’importante. 

Noi proseguiamo a sud, la notte limpida ci regala la via lattea bella come non mai. A ricordarci lo scopo della missione però ci sono le piattaforme libiche, con i fuochi perennemente accesi e visibili a molti chilometri di distanza. Già altre volte abbiamo salvato le persone in quella zona, vedremo cosa succederà stanotte.

Open Arms | Diario di bordo del reporter di TPI | Giorno 9
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Open Arms | Diario di bordo del reporter di TPI | Giorno 1 

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