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Home » Interviste

“Ho denunciato l’imprenditore che mi discriminava. In Italia zero diritti, meglio il Pakistan”

Immagine di copertina
Ali Afaq

Pakistano denuncia imprenditore – “Mi chiamo Ali Afaq, ho 29 anni e sono pakistano. Da molti anni lavoro in uno di forni di Roma, a pochi chilometri da Anagnina, dove si fa il pane per il marchio Grande Impero, pane molto buono che si trova nella grande distribuzione nel centro e nel nord Italia”.

Si presenta così l’uomo che dopo aver rotto il silenzio con altri 5 colleghi e denunciato il proprio datore di lavoro, Stefano Fancello (condannato in sede civile per condotta discriminatoria e antisindacale) è diventato il rappresentante Flai Cgil in azienda. Arrivato regolarmente in Italia dal Pakistan nel 2011, oggi vive ad Ariccia con sua moglie e un bambino di due anni.

ESCLUSIVO TPI – “Sono fascista, non rompermi il cazzo pakistano”: la registrazione shock dell’imprenditore condannato
Cos’è cambiato per te e i tuoi colleghi dopo aver portato in tribunale il datore di lavoro?

Oggi lavoriamo 5 giorni su 7, 8 ore al giorno. Tutte pagate secondo contratto. Prima lavoravamo 10/12 ore, tutti i giorni, 7 giorni su 7, senza sosta, ma non venivano pagate tutte le ore di lavoro che facevamo. Ce ne pagavano molte di meno.

Quante persone lavorano nel forno e quante oggi si sono iscritte al sindacato?

In uno dei 5 forni che producono pane per il marchio, siamo in 27: 11 pakistani, poi romeni e moldavi. Nessun italiano. Solo 6 lavoratori sono iscritti al sindacato. Gli altri hanno ancora paura di essere mandati a casa.

Nessun italiano?

Non ci sono italiani e sai perché? Perché se non vengono pagati bene dopo un po’ di giorni se vanno via. Quindi, restiamo solo noi che veniamo da altri Paesi e veniamo sfruttati. Ora però abbiamo detto basta.

Cosa hai provato quando ti sei sentito dire frasi come “Tu magnavi le cavallette, tu ti sei levato la merda dalla bocca”…?

Mi sono sentito male, male, davvero. Non sapevo cosa dire, cosa fare. Io chiedevo i miei diritti, ma è stato brutto. Io Fancello lo conosco da quando sono arrivato in Italia, ho iniziato subito a a lavorare con lui. Sapevo che si sarebbe arrabbiato ma non mi aspettavo una reazione così perché lui ci ha sempre detto che siamo dei grandi lavoratori.

Come mai avete deciso di registrare la conversazione con Fancello, il vostro datore di lavoro?

Avevamo già avuto incontri con lui per chiedere i nostri diritti, ma non avevamo capito tutto. Su sei lavoratori, sono io quello che parla meglio l’italiano ma alcune cose non riesco ancora a capirle. Ho pensato che se avessi registrato quello che diceva il mio padrone, qualcuno poi avrebbe potuto spiegarmi meglio, io avrei capito di più.

Ad esempio, hai capito cosa intendeva dire con “fascista” o “comunista”?

Fascista, comunista… Io non avevo mai sentito queste parole. Non sapevo cosa significassero. Poi mi hanno spiegato nella mia lingua e ho capito.

Cosa hai capito?

Comunista è chi pensa che siamo tutti uguali, con gli stessi diritti. Lui (Fancello, ndr) dice che è il sindacato. Fascista è chi pensa che le persone non sono tutte uguali ma che ci sono differenze. E lui dice che è fascista (sorride).

Ad un certo punto della conversazione, vengono citati i Casamonica…

Sì. Io non sapevo chi fossero, giuro. Ho detto a Fancello che non sapevo chi fossero, però lui ha detto che erano quelli che per 500 euro ammazzano una persona. A quel punto ho capito che era una minaccia e si era davvero arrabbiato con noi.

Posso chiederti perché hai deciso di venire in Italia?

I miei parenti mi dicevano di venire in Italia, perché è un bel Paese, si lavorava bene e ci sono diritti. Ma io non ho trovato tutto questo. Tutto questo non è vero per me. Non mi sono trovato benissimo qui.

Come ti immagini tra 10 anni? Come lo vedi il tuo futuro?

Forse è meglio pensare di tornare in Pakistan.

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