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[Retroscena] Salvini a breve vuole staccare la spina al governo. Ma la vera partita si gioca al Quirinale

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Illustrazione di Manolo Fucecchi.

Crisi governo [Retroscena, di Luca Telese per TPI] – Fino a prima del voto Matteo Salvini di solito diceva: “Ci sono delle difficoltà, è vero, MA questo governo durerà quattro anni perché noi siamo di parola”. Oggi ha invertito il suo ragionamento, e la formula che ha iniziato ad usare è: “Sono un uomo di parola, vogliano durare quattro anni, MA devono arrivare i sí, alle grandi opere, alla Flat Tax, alle autonomie, e alle cose da fare che ci stanno a cuore”. Potenza dell’anastrofe.

In questa variazione dialettica, apparentemente minima, si cela in realtà un abisso, un cambio di strategia radicale. La Lega non pensa più al governo gialloverde come prospettiva di lungo periodo. Anzi.

“Matteo si è rotto le palle, vuole andare al voto”, mi dice uno dei principali dirigenti della Lega, in off record. “E ci vuole andare da solo, senza nessun alleato. La mossa sarebbe questa: rivolgersi agli elettori d chiedere, ad un paese esasperato dalle incertezze e dai tira e molla, il consenso per governare da solo, senza mediare con nessuno. Poi – prosegue la gola profonda leghista – potremmo allearci con la Meloni dopo le elezioni. Ma mai più con Berlusconi, a livello nazionale, perché questa per Salvini è una scelta fuori discussione” [tutte le ultime notizie sul Governo].

Crisi governo – È vero? Oppure è solo un bluff per mettere sotto pressione il M5s, spaventarlo e fargli mandare giù i rospi che non vuole digerire in queste ore? Una dirigente che adesso è un prima fila come Paola Taverna pensa che con questa Lega si debba trattare: “Autonomie e Flat Tax? Gli elettori li hanno investiti di consenso, le facciano”.

L’accordo sul codice degli appalti potrebbe essere un indizio di questa strategia bastone-e-carota. Ma negli uffici di via Bellerio, in questi giorni, si sta studiando con molta attenzione una cartina del voto delle europee, che ha una ricaduta immediata su qualsiasi scenario si voglia immaginare per le elezioni politiche. È una mappa in cui il colore dominante è il verde, ed è ovviamente quella della prevalenza di partito divisa per province.

In questa distribuzione molte leggende mediatiche che sono proliferare sui giornali vengono ridimensionate. La Lega alle politiche era il primo partito in 28 province (tutte la nord), adesso è prima in 76. Una enormità. Ha conquistato tutta la Sardegna con una sola eccezione, parte della Calabria e della Puglia, domina in tutto il nord dal Piemonte al Veneto senza eccezione alcuna.

Il Pd era primo in 10 province, adesso lo è solo in sei. Tre di queste zone si trovano in Emilia Romana, tre in Toscana (una è Firenze), e nemmeno una bandierina del Pd è piantata fuori dai confini delle regioni rosse. Uno scenario drammatico.

Il caso di scuola è Milano. Dove è vero che in città c’è stato un effetto-Pisapia di cui si è discusso molto, con il Pd che è diventato primo partito. Ma dove è vero anche che il paradosso Ztl fa sì che in tutta la provincia, ancora una volta, trionfi la Lega.

Il M5s, ovviamente ha una situazione speculare ed opposta: dominava in 68 province, adesso domina solo in 24.

Crisi governo – Ma perché è così importante per gli analisti politici questi dati? Perché è quello che prefigura lo scenario di prevalenza dei collegi uninominali, quelli con cui si assegnano un terzo dei parlamentari.

Quindi se è vero che sulla carta M5s e Pd sembrano avere una forza quasi equivalente a quella del “blocco sovranista”, è vero anche che, senza un accordo di desistenza (molto improbabile nei collegi), in Parlamento non avrebbero i numeri. E perché con la prospettiva di questi nuovi rapporti di forza per Salvini potrebbe essere allettante abbandonare la sua strategia dell’abbraccio mortale con il M5s (governare con Di Maio e intanto succhiargli il sangue) che ha così tanto pagato?

Perché anticipando il voto, il nuovo partito dominante otterrebbe un vantaggio enorme: in caso di vittoria eleggerebbe matematicamente il prossimo Presidente della Repubblica. Non con la maggioranza 2018, dove Pd e M5s sono ancora dominanti. Ma con quella delle cartine a prevalenza verde delle elezioni europee.

Se poi Salvini e la Meloni si mettessero d’accordo nei collegi con un patto elettorale, aggiungerebbero a quelle 76 province molti altri territori, soprattutto al Sud. È questa la partita che si gioca. Una partita che per paradosso ha nel mirino il Quirinale del futuro, ma che ha come interlocutore il Quirinale del presente. Perché in queste ore Mattarella è solidamente in campo per gestire la crisi, con la sua moral suasion. Era stato informato dal premier del suo intervento, aveva letto preventivamente il testo. Mattarella è impegnato in primo luogo a spiegare che in consentirà giochini.

Crisi governo – Quello che il Colle considera grave (e su cui considera istituzionalmente legittimo un intervento per evitarlo) è lo scenario in cui si va al voto per fare cassa di consenso, ma nel frattempo si lascia il paese senza un governo solidamente insediato nei primi giorni di autunno, nei giorni della manovra è della trattativa con l’Europa sul debito.

È un rischio concreto, anche perché nel 2018 le trattative per la formazione del governo durarono mesi, fissando un record di incertezza. Ed è proprio in quei giorni che lo spread si elevò per la prima volta lievitando sopra quota duecento.

Quindi il gioco dello staccare la spina ha tre ipotesi: potrebbe farlo Salvini, per andare al voto, potrebbe farlo Di Maio (anche se è improbabile) per recuperare i voti di sinistra che la sua alleanza gli preclude. Potrebbe staccare la spina Giuseppe Conte, se i due contendenti continuano la guerriglia. Questa mossa sarebbe diversa da quella degli altri due per due motivi: perché sarebbe fatta dopo aver informato il Quirinale. E perché – in questo caso – non aprirebbe la strada al voto anticipato, ma alla possibilità di nuove maggioranze.

La prima a vedere questa ipotesi come il fumo negli occhi, non a caso è Giorgia Meloni, che ai suoi già dice: “Sarebbe l’anticamera di un nuovo governo tecnico, se ci provano noi facciamo le barricate”. Una durezza che si spiega con il successo virtuale dell’asse sovranista. Ma anche con la vera posta in gioco, della partita per “staccare la spina”. Che, come abbiamo visto, non è “solo” il governo. Ma anche, e soprattutto, un obiettivo più importante: il nuovo Presidente della Repubblica.

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