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Home » Salute

“Sesso chimico”: a Milano la rehab per combattere la dipendenza

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Chemsex rehab Milano – “Non sono più pochi quelli che non riescono a fare sesso se non usando sostanze stimolanti”. Così Alessandra Bianchi, psicoterapeuta, in un’intervista rilasciata ad AdnKronos ha fatto luce su un fenomeno di cui nel nostro paese si parla ancora troppo poco, ma che sta prendendo sempre più piede: quello del “sesso chimico”.

S&D

Il fenomeno prevede l’utilizzo di droghe per facilitare il sesso ed è particolarmente diffuso nelle coppie gay. Nel Regno Unito e negli Stati Uniti, il “sesso chimico” sta diventando un problema rilevante, da quando si sono registrati i primi casi di overdose.

In Italia è Milano la città in cui questa tendenza sta avendo più riscontro. Come spiega la dottoressa Bianchi, “sono soprattutto Msm, maschi che fanno sesso con maschi, ma non solo”. La psicoterapeuta lavora anche del Check Point di Milano, dove operano alcune associazioni che si occupano di Hiv-Aids nella Casa dei diritti del Comune.

L’Associazione solidarietà Aids ha notato che il fenomeno del “chemsex” sta crescendo nel Milanese e così ha deciso di creare un primo servizio di terapia di gruppo per chi ricorre alle sostanze chimiche per fare sesso.

“Il servizio ha aperto da poco, lo tiene una collega psicoterapeuta, esperta sulle dinamiche della ‘Milano underground msm’”, ha spiegato Bianchi. Insieme alla dottoressa opera anche “un volontario che è un chimico farmaceutico, quindi con le competenze giuste per spiegare anche tecnicamente cosa fanno le sostanze che si assumono”.

A destare preoccupazione, però, è il fatto che sono pochi quelli che decidono di rivolgersi ad Asa per chiedere aiuto: “È difficile l’aggancio. Ma nel gruppo di terapia, aperto a chiunque sia in difficoltà col chemsex, i numeri sono in crescita e ad oggi i partecipanti sono a quota sei”.

Secondo i primi dati, a far ricorso alle sostanze chimiche sono soprattutto maschi omosessuali. Etero e donne sono in minoranza. Sono Mdma, Ghb, Crystal, ma anche chetamina, fenantyl e mefedrone le sostanze a cui si ricorre di èoù.

“Il rischio di sviluppare dipendenza è altissimo, e c’è anche una resistenza a prenderne atto”, ha aggiunto ancora la dottoressa Bianchi. Il problema è anche che l’attenzione al fenomeno in Italia è ancora molto bassa: “Un paio di anni fa si era anche tentato di mappare i servizi che si occupassero di chemsex e non c’era niente, adesso qualche Sert fa qualcosa. La fatica è che il modello classico delle tossicodipendenze non sempre funziona”.

“Le sostanze sono di per sé piacevoli e il sesso sotto effetto di stupefacenti dà emozioni altissime sennò non funzionerebbe, ma c’è un dopo con cui fare i conti. C’è una sensazione di onnipotenza, un’amplificazione di certe situazioni vissute come positive. C’è chi pensa di non essere desiderato da nessuno e che fare chemsex possa aiutare, chi ha paura di una relazione, chi lo fa per gratificarsi”, ha detto ancora la psicoterapeuta.

Uscire da questa dipendenza non è semplice: “C’è chi soprattutto all’inizio riesce a mantenere una discreta qualità di vita, ma anche tanti che sono rimasti schiacciati. Ricordo un professionista che ha fatto quattro mesi a casa con ricovero in psichiatria e ha bloccato tutto e tutti per evitare di cadere di nuovo nell’incubo”, ha raccontato la dottoressa Bianchi.

“Un altro mi ha raccontato di crisi e allucinazioni, di un ragazzo che in preda alle paranoie girava in casa col coltello per paura che qualcuno gli facesse del male. Sono casi estremi ma non così isolati. E l’overdose, il cedimento dell’organismo, non sono spettri lontani”, ha detto ancora la psicoterapeuta.

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