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La Libia è l’ennesima resa dei conti tra fazioni per l’egemonia politica e religiosa del mondo arabo

Immagine di copertina
Credit: Mahmud TURKIA / AFP

L'analisi di Massimiliano Fanni Canelles sulla situazione in Libia, dove il generale Haftar ha lanciato un'offensiva su Tripoli

L’universo islamico è diviso in fazioni religiose, le quali possiedono tuttavia anche orientamenti ed ideali politici. Innanzitutto si distingue tra Islam sciita – prevalentemente al potere nei territori che vanno dall’antica Persia al Mediterraneo, passando per Iraq, Siria e Libano – e Islam sunnita in Nord Africa e il Medio Oriente nella zona del Golfo Persico.

I sunniti che dominano l’80 per cento della popolazione islamica sono a loro volta divisi in varie fazioni anche se attualmente il salafismo/wahhabismo è l’orientamento principale e quasi totalitario. Originato in Arabia Saudita con interpretazione radicale del Corano è diviso a sua volta in chi considera la madre saudita come un punto di riferimento religioso e chi invece le contesta l’essersi “venduta” alla finanza occidentale.

Altra forza sunnita che dagli inizi del 1900 ha preso piede nel mondo sunnita sono i Fratelli Mussulmani, originati in Egitto e ora banditi in questo stato. Anch’essi radicali, sono però in contrasto con i sauditi e hanno connotazioni più pragmatiche e politiche. Godono della protezione della Turchia e del Qatar e in parte della Tunisia, protezione che si estende anche fin nei territori palestinesi, in particolare se controllati da Hamas, mentre sono dichiarati fuorilegge come detto in Egitto e Arabia Saudita, ma anche in Bahrain, Russia, Siria, Tagikistan, Uzbekistan e negli Emirati Arabi Uniti.

Il territorio libico oggi è teatro di un’ulteriore resa dei conti fra fazioni, che si contendono l’egemonia politica e religiosa del mondo arabo. Gli interessi in gioco sono economici, particolarmente relativi ai giacimenti petroliferi, ma anche geopolitici (qui il focus sulla guerra in Libia, perché si combatte, chi sta con chi e come siamo arrivati fin qui)

L’Arabia Saudita, come è riuscita con l’Egitto alcuni anni fa, tenta il controllo religioso e politico della Libia per creare una barriera all’avanzata sciita e dei Fratelli Mussulmani ma anche per riprendere il controllo dei salafiti che si sono rivoltati contro.

L’Unione europea, con Francia e Italia in prima fila, ha interessi energetici con le aziende Total ed Eni ma anche demografici per il flusso di migrazioni dalla Libia alle coste italiane.

Alla caduta del regime del colonnello Muammar Gheddafi la situazione nello scacchiere libico, conteso fra tribù ed interessi stranieri, si è progressivamente complicata.

A Ovest è al potere Fayez al-Serraj, esperto di mediazione politica che ha già in passato ricoperto incarichi istituzionali nel governo di Gheddafi. Al-Serraj si trova a capo del fragile Governo di Accordo Nazionale (GNA), voluto dall’Onu e sostenuto dalla comunità internazionale.

Dall’altra parte del Paese, a Est, l’autorità appartiene al maresciallo Khalifa Haftar, a capo di un piccolo ma forte esercito personale: l’Esercito Nazionale Libico.

Khalifa Haftar, già colonnello sotto Muammar Gheddafi ed esiliato negli Stati Uniti per una sconfitta militare in Ciad, è tornato nel 2011 al comando di formazioni ribelli nell’Est libico. Nel 2014 si è distinto per aver liberato Benghazi dalla presenza di milizie islamiste di ispirazione salafita jihadista, derivazioni dalle frange terroristiche di Al Qaeda e dell’ISIS.

Le operazioni di Haftar, volte a contrastare i movimenti radicali, hanno progressivamente incrementato la sua credibilità ed influenza politica internazionale.

La sua campagna militare è oggi politicamente e ideologicamente diretta contro i Fratelli Musulmani ed a favore dell’islam wahhabita saudita. Nelle sue offensive militari, Haftar ha il supporto tanto del presidente egiziano al-Sisi quanto degli Emirati Arabi Uniti ed ovviamente anche dell’Arabia Saudita.

Se Haftar avesse la meglio in Libia, l’Arabia Saudita potrebbe godere di ulteriore posizione strategica, in aggiunta a quella garantita dal governo egiziano, dagli Emirati Arabi, e dai paesi sotto influenza statunitense, Israele compresa.

Come detto però anche alcuni Paesi Europei sono coinvolti nella crisi libica: la Francia, da sempre filo-Saudita ed interessata ai giacimenti petroliferi libici, preme perché si riconosca ad Haftar un ruolo di maggior rilievo all’interno del processo di riconciliazione nazionale. Per l’Italia, invece, la stabilità della Libia rappresenta una garanzia in particolare per quanto concerne i flussi migratori ma anche per mantenere gli approvvigionamenti energetici che fanno capo all’Eni.

L’Italia, come in genere procede nella politica estera, propende per la via negoziale, dialogando con ambo le parti.

Anche la Russia agisce in maniera duplice. Da un lato, sostiene Haftar attraverso l’impiego informale dei mercenari del Gruppo Wagner. Dall’altro, mantiene aperto il dialogo con al-Serraj, come dimostra la recente visita a Mosca di Khaled al-Mishri, presidente dell’High Council e uomo fortemente inviso ad Haftar, a causa dei suoi lunghi trascorsi nella Fratellanza Musulmana. Turchia e Qatar, vicine ai Fratelli Mussulmani, sono invece schierate a sostegno di Fayez al-Sarraj e del Governo di accordo nazionale (GNA).

Dal 3 aprile le forze agli ordini di Khalifa Haftar hanno lanciato un’offensiva militare verso la capitale Tripoli, controllata dalle milizie del Governo di Accordo Nazionale guidato da Fayez al-Sarraj, con lo scopo di prenderne possesso. L’inviato dell’Onu, Ghassan Salamè, condanna i bombardamenti nei quartieri residenziali.

La missione Unsmil fa sapere come secondo fonti mediche tra i feriti ci sono donne e bambini nell’ultimo attacco di ieri notte.  La comunità internazionale, ad oggi, resta divisa, dovendo fronteggiare anche le difficoltà derivate della struttura di tipo Tribale delle famiglie libiche, e l’ONU sembra incapace di esercitare una pressione risolutiva sulle parti in causa.

Lo scontro tra le forze di Haftar e quelle di al-Sarraj, che secondo i dati dell’OMS ha finora causato 264 morti e oltre mille feriti, rischia di portare il Paese verso una nuova escalation armata e sempre più lontano da una soluzione politica.

>> La guerra in Libia e gli interessi dell’Italia, l’analisi di Stefano Silvestri
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