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Cosa c’è veramente dietro l’arresto di Julian Assange secondo il New York Times

Immagine di copertina
Julian Assange (Credits: Daniel Leal-Olivas/AFP)

L’arresto di Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, ha diviso il mondo. L’11 aprile 2019, dopo sette anni passati a Londra all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador, Assange è stato arrestato da Scotland Yard per conto degli Stati Uniti, che ne chiedono adesso l’estradizione.

Nel 2012, l’Ecuador dell’allora presidente Rafael Correa ritenne fondate le preoccupazioni di Assange che la sua possibile estradizione in Svezia, dove è accusato di stupro, si trasformasse a sua volta in un’estradizione negli Usa. Lì, infatti, è in corso nei suoi confronti un’inchiesta per la pubblicazione di documenti segreti del governo. E l’attivista australiano teme una lunga detenzione o persino la pena di morte.

La posizione di Assange è molto complicata. Nei suoi confronti, infatti, in queste anni sono state aperte molte indagini. Alcune sono state archiviate dopo che l’Ecuador gli ha concesso asilo politico, altre sono ancora in corso.

E adesso, per Assange, si aprono diversi scenari. Quello più temuto è di certo l’estradizione verso gli Stati Uniti, dove rischia moltissimo dal momento che è accusato di essere coinvolto in una delle più grandi operazioni della storia che hanno portato alla luce moltissime informazioni top secret.

Julian Assange, i motivi dell’arresto

Perché l’Ecuador ha revocato l’asilo politico ad Assange? Il fondatore di WikiLeaks, come detto, si trovava nell’ambasciata del paese sudamericano nel Regno Unito dal 19 giugno 2012.

L’attuale presidente dell’Ecuador, Lenìn Moreno, ha dichiarato di aver revocato l’asilo perché Assange ha violato ripetutamente “in modo aggressivo e scortese” i termini del suo asilo politico. Ma anche per le “dichiarazioni ostili dell’organizzazione da lui associata”.

Per quanto riguarda la prima accusa di Moreno, nelle ultime ore è emerso un quadro molto particolare del comportamento di Assange in ambasciata in questi sette anni.

Sembra infatti che l’attivista vivesse con il suo gatto (scampato all’arresto) in una piccola stanza. Da lì, ha continuato a dirigere WikiLeaks, tenuto conferenze e accolto una serie di ospiti, tra i quali anche Lady Gaga. Perché, dunque, all’improvviso è diventato indesiderato?

Dai file di WikiLeaks ai 7 anni nell’ambasciata dell’Ecuador: il “caso Assange” dall’inizio

Pare che Assange tenesse un comportamento poco consono per un’ambasciata. Si dice infatti che girasse spesso tra le varie sale in skateboard, giocasse a calcio con gli ospiti (provocando anche qualche danno), maltrattasse il personale. Ma, soprattutto, secondo il presidente dell’Ecuador Assange ha avuto accesso, in questi anni, a documenti di sicurezza dell’ambasciata, senza alcun permesso.

La seconda frase di Moreno, invece, secondo il New York Times è un riferimento non troppo velato alla pubblicazione, da parte di WikiLeaks, degli Ina Papers. Si tratta di una serie di documenti che dimostrano come il presidente dell’Ecuador abbia conti segreti in alcuni paradisi fiscali.

Le rivelazioni della piattaforma sarebbero alla base dell’arresto dell’attivista australiano. “Moreno avrebbe venduto Assange agli Usa – spiega il quotidiano americano – in cambio di sconti sul debito”.

Le accuse contro Julian Assange

Di cosa è accusato Julian Assange? Ricostruire tutte le accuse nei confronti del fondatore di WikiLeaks non è una cosa da poco. Nei suoi confronti, come detto, sono state aperte diverse inchieste, sia negli Stati Uniti che in Svezia.

Al momento del suo ingresso in ambasciata, nei confronti di Assange pesava un mandato d’arresto internazionale emesso dalla Svezia per un caso di presunta violenza sessuale. Due donne, infatti, lo hanno accusato di aver avuto rapporti sessuali non protetti (ma consenzienti) e di non aver voluto sottoporsi a controlli medici sulle malattie sessualmente trasmissibili. La legge svedese punisce penalmente una condotta del genere. L’inchiesta, però, è stata archiviata nel 2017.

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Anche negli Stati Uniti una delle inchieste su Assange è stata chiusa senza incriminazioni. Si tratta di quella, coordinata dal procuratore speciale Robert Mueller, sulla pubblicazione da parte di WikiLeaks delle e-mail del partito democratico alla vigilia delle elezioni del 2016. Uno dei filoni più importanti del RussiagateE negli Stati Uniti c’è già chi vocifera su una possibile riapertura del caso.

Al momento, dunque, l’unica indagine aperta contro Assange è quella del Grand Jury di Alexandria, che indaga sulla pubblicazione dei documenti segreti del governo americano. Il fondatore di WikiLeaks, infatti, è accusato di un reato di cospirazione con Chelsea Manning, l’ex soldato e analista dell’intelligence militare statunitense, che ha violato i computer governativi. A novembre scorso, tra l’altro, è stato scoperto che le autorità americane hanno spiccato un mandato di arresto coperto da segreto contro Assange.

Cosa rischia adesso Julian Assange

Proprio per l’inchiesta del Grand Jury di Alexandria, Assange rischia moltissimo. Il timore più grande, infatti, è che l’Inghilterra lo estradi negli Stati Uniti. E lì, difficilmente uscirebbe mai di prigione o addirittura rischierebbe la pena di morte.

Per questo motivo, in queste ore, si stanno aprendo vari scenari. Quando ha revocato l’asilo politico all’attivista, il presidente ecuadoriano ha assicurato di aver chiesto e ottenuto garanzie alle autorità britanniche sul fatto che Assange non sarà estradato in un paese dove potrebbe essere vittima di tortura o pena di morte.

Il timore, tuttavia, è quello di un “rimbalzo di estradizioni”. Da Londra alla Svezia e poi da lì negli Stati Uniti.

Il reato per cui Assange è accusato negli Usa prevede una condanna massima a cinque anni di detenzione. Ma secondo alcune fonti americane vicine al ministero, sarebbero in arrivo per lui anche nuove incriminazioni.

Resta poi il tema della pena di morte, che secondo molti – tra cui anche Amnesty International – è l’epilogo sicuro di un’estradazione di Assange negli Stati Uniti. Nonostante le rassicurazioni del presidente Moreno, uno sviluppo del genere non può dirsi al momento del tutto escluso.

Interpellato da alcuni giornalisti, il presidente Usa Donald Trump ha liquidato la questione rispondendo: “Non so niente di WikiLeaks e Assange”. Eppure nel 2016, ai tempi del famoso “e-mail gate” su Hillary Clinton, l’allora candidato alla Casa Bianca twittò festante: “I love Wikileaks”.

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