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“Giocare qui a nascondino era bellissimo, oggi si parla solo di Gomorra”: il reportage di TPI da Scampia

 

“Quando ero piccolo, mio padre mi vietava di uscire dal ballatoio, non potevo arrivare nemmeno alle scale del palazzo. Noi eravamo all’ottavo piano e le scale erano piene di persone che venivano a comprare la droga. Al piano terra c’erano persone per terra, erano tantissimi. Li vedevi con la siringa ancora nel braccio. Non è mai stato normale, però era la quotidianità”.

Enzo ha 21 anni, è un ragazzo di Scampia, nato in una delle Vele. Il suo sogno è sempre stato quello di fare l’attore e, per una serie di coincidenze, viene preso per una parte nella seconda serie di Gomorra. Enzo per alcuni mesi diventa “Danielino”, assapora la il successo e la vita da attore. Poi il baraccone smonta, lo show deve andare avanti, ma altrove. Enzo si ritrova al punto di partenza, riprende la vita normale, ma a causa di una rissa viene arrestato.

 

“Oggi lavoro in una compagnia teatrale, le cose vanno bene. Ho fatto quella cavolata…”. Enzo me lo dice con vergogna, abbassa la testa. Le cavolate le fanno tutti e quando vieni da un posto che ti dà poche prospettive, il futuro te lo devi conquistare a morsi.

 

 

Qua lo Stato è assente da decenni e le Vele sono diventate un simbolo della camorra e dello spaccio. Quando vengono raccontate, anche in Gomorra, non viene mai fatta vedere la parte positiva, ma solo quella negativa. “Però qua, ti posso assicurare, ci sono tante cose buone. I miei amici non sono camorristi e non lo sono nemmeno io. E anche se lo fossero, il problema sarebbe che non hanno avuto mai un’altra possibilità. Da qua non è facile uscire”.

Mentre attraversiamo tutte e quattro le Vele, Enzo mi racconta la sua infanzia là dentro, tra spaccio e giochi di bambini normali. “Giocare a nascondino in questo labirinto era bellissimo. Nessun altro bambino poteva avere così tanti angoli e nascondigli. Il problema è che hanno pensato queste strutture come se fossero dei vicoli dei quartieri spagnoli, ma qui il risultato è stato un altro. Hanno creato un posto perfetto per lo spaccio, dietro ogni cancello la polizia non fa in tempo ad entrare che lo spacciatore è fuggito nelle tante vie di fuga che ha”.

I ballatoi che attraversiamo sono davvero un potenziale labirinto dove lo Stato non può avere il controllo di nulla. Se non avessi un ottimo senso dell’orientamento mi sarei già perso, non capirei più a che piano siamo, a che lato della Vela. Abbiamo iniziato il nostro giro dalla vela che qua viene chiamata “La Torre”. Questa vela è totalmente disabitata fatto salvo per due o tre appartamenti ancora occupati.

“Le persone sono state trasferite alla Case Nuove che si trovano qui accanto e che sono totalmente diverse. Il problema è che molti non erano regolari in queste case e quindi non hanno diritto al nuovo alloggio”.

Enzo ha sempre una preoccupazione per gli altri. Come se la severità di giudizio mostrata poco fa per se stesso fosse solo per lui mentre per gli altri c’è, giustamente, un’attenuante dovuta al contesto.

Mentre saliamo troviamo un numero di Tuttosport del 2003 che recita: “Vieira esce alla scoperto, voglio la Juve”. La data esatta è il 7 Marzo 2003. “Questo ti fa capire lo stato d’abbandono, non c’è mai stata una cura di questi spazi”.

Proseguiamo il nostro giro, sono qua perché il progetto dell’abbattimento di questi edifici sta andando avanti e quella dove ci troviamo dovrebbe essere proprio la prima. Sentiamo dei colpi di martello all’ultimo piano. Ci arriviamo arrampicandoci dentro una piccola fessura al centro di una barriera costruita con pezzi di vecchi mobili e lamiere. Seguiamo il rumore, sono curioso di andare a chiedere agli operai che tempi ci sono per l’abbattimento e invece, quando arriviamo in cima, incontriamo due persone che stanno raccogliendo il ferro.

“Qua siamo esperti nell’arrangiarci”, dice Enzo. “Che altro dobbiamo fare? Il lavoro non c’è e se non vuoi fare il palo, il corriere o comunque lavorare per la camorra, devi inventarti un lavoro. Un signore in una baracca vende la pizza fritta, un altro vende limonate. Lo Stato non ci dà alternativa, dobbiamo costruirla noi”.

 

Passiamo da una vela all’altra facendo uno zig zag tra spazzatura, mobili abbandonati, vetri rotti e pezzi di amianto. Di tanto in tanto incontriamo delle persone, sono famiglie che hanno occupato gli appartamenti che venivano lasciati da quelle assegnatarie delle nuove case. Attraversiamo la “Vela Celeste”, l’unica che resterà in piedi, quella più abitata. La differenza si vede perché, seppur nel degrado, il palazzo è tenuto bene.

Parliamo con alcune persone, tutte dicono la stessa cosa: “Abbiamo bisogno si servizi, non possiamo stare così. Questa vela non verrà abbattuta ma deve essere sistemata”.

 

Riprendiamo il giro negli altri palazzi, sento un odore d’urina salire forte. Siamo al piano terra e percorriamo un corridoio molto stretto con alcune stanze alla nostra sinistra, sono tutte piene di spazzatura. Vediamo spuntare un topo che in un attimo sparisce tornando sotto la montagna di rifiuti. I conati arrivano presto, l’odore si fa sempre più forte e acido. Acceleriamo il passo tra le tante stanze, una identica all’altra e tutte piene di sporcizia. Quando stiamo per tornare indietro l’odore scema e troviamo qualcosa di inaspettato nella penultima stanza.

L’ordine e la pulizia sono incredibili. C’è un divano, una poltrona e un tavolo. Delle scritte sul muro in cui sono spiegate le regole della stanza del buco. Un contrasto unico, un luogo in cui sentirsi a casa e rilassarsi. Là vicino c’è una scritta fatta nel 1978 che recita: “La droga uccide lentamente ma noi non abbiamo fretta”. La firma è di “Silvano Volpe”. A seguire un’altra scritta che dice: “Siamo fatti così, eroina e kokaina”.

“Io sono cresciuto con queste scritte, mi sono sempre chiesto chi fosse Silvano Volpe, che fine avesse fatto, se fosse ancora vivo”. Mentre ci avviamo la faccia di Enzo è strana, percepisco che vuole raccontare ma ha una smorfia come se provasse fastidio. Faccio altre domande sulle Vele ma divaga, mi racconta della sua esperienza a teatro, della sua passione diventata lavoro.

Siamo al nono piano della “Vela Gialla”, i pannelli rotti di amianto sono sparsi ovunque, continuiamo con uno slalom per non camminarci sopra ma sento che c’è anche un altro slalom in corso, quello che Enzo sta facendo per non dirmi cosa prova. Poi, all’improvviso, sbotta e dice: “Qua io non ci vivrei mai, troppo degrado. È tutto abbandonato, una volta le Vele erano diverse. Per carità… erano pur sempre le Vele ma la gente che abitava qua ci teneva a questo posto”.

In realtà è che crescendo si cambia, da bambini il contesto che viviamo è l’unico che conosciamo quindi tutto è normale. Ma poi crescendo, uscendo dal nostro recinto e incontrando altre realtà, riusciamo a vedere con altri occhi quello che ci circonda. Enzo intuisce i miei pensieri e quando gli dico: ”Forse è stato anche il teatro a farti cambiare”, non riesco a finire nemmeno la frase che subito dice: ”Si, è vero, mi ha aiutato!”.

 

La smorfia va via, resta solo lo slalom fisico tra i rifiuti. La cosa che ti colpisce di più di questo tipo di edifici è la differenza di luce che c’è tra dentro e fuori. Gli occhi si erano abituati alla penombra, saremmo potuti essere nella periferia di qualsiasi altra città italiana o europea. Roma, Milano, Bruxelles, Berlino o Parigi. Le case popolari sono così ovunque. Non appena arriviamo al piano terra, il sole forte ci ricorda che siamo al sud e che Napoli è famosa anche per questo.

La Vela Rossa, la più grande insieme alla Celeste, è stata occupata dai Rom che erano stati sgomberati dal loro insediamento storico. “Era stata svuotata poco prima, le persone erano appena state trasferite e loro, che non sapevano dove andare, sono arrivati qua”.

 

Prima o poi anche questa dovrà essere abbattuta e inizierà una nuova ricerca della casa, di nuovo abusiva, di nuovo in luoghi dove le parole “Servizi” e “Assistenza” non hanno nessun significato.

“Questo è il segno che la camorra non ha più il controllo della zona. In passato non avrebbero mai permesso ai Rom di occupare una vela. Avevano tutto sotto controllo”.

Dopo aver attraversato e visitato tutte e quattro le Vele, arriviamo alle nuove costruzioni dopo sono stati spostati gli abitanti. In poche decine di metri cambia il contesto. Palazzi rifiniti, cortili e parcheggi interni, cancello automatico e recinzione alta. “Qua i bambini possono giocare tranquilli, non come di là”.

 

Il volto di Enzo sembra diverso, come se fosse una sorta di liberazione. “Nelle Vele è tutto grigio, la tristezza e la rabbia te le porti dentro fin da bambino. Invece Scampia è bella, io ci voglio vivere tutta la vita e in palazzi come questo è tutto diverso”.

Effettivamente il contesto cambia la percezione del luogo. Entrando troviamo palazzi rifiniti, ascensori, case grandi e silenziose. Le Vele viste da qua sembrano un qualcosa di vecchio e decadente in mezzo ad un quartiere che sta rinascendo. La nuova stazione della metropolitana e l’Università di Medicina sono i simboli di un cambiamento che sta arrivando.

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