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Disastro ambientale Taranto, avvocato denuncia lo Stato e inizia lo sciopero della fame: “Basta malattie e morte”

Immagine di copertina
Quartiere Tamburi a Taranto. Credit: Paolo Manzo/NurPhoto

Pasquale Bottiglione è un penalista di Taranto che ha deciso di avviare uno sciopero della fame contro l'inquinamento provocato dall'ex Ilva

Lo Stato è responsabile di una “estorsione” ai danni di Taranto: lavoro in cambio di inquinamento, malattie e morte. Una situazione inaccettabile da cui la città deve uscire. È questa la tesi di un avvocato di Taranto, che ha deciso di presentare formalmente una denuncia nei confronti delle autorità statali alla procura.

S&D

Pasquale Bottiglione è un penalista che in passato ha seguito alcune cause di richiesta di rimborso per danni promosse da privati, residenti soprattutto nel quartiere Tamburi, vicinissimo all’impianto siderurgico dell’ex Ilva. Ha intenzione di iniziare a breve uno sciopero della fame, “affinchè a Taranto sia assegnata la medaglia d’oro alla resistenza quale città martire dell’inquinamento selvaggio pubblico e privato”.

“Occorre fare un’operazione verità”, spiega l’avvocato Bottiglione, contattato telefonicamente da TPI. “Da anni si parla di conciliare le ragioni della produzione con quelle della salute, ma a guardar bene la questione è impossibile. O perlomeno, non consente di impedire che – mentre avviene l’ambientalizzazione – i bambini e tutti i cittadini si ammalino di leucemie e altre patologie”.

In questi stessi giorni, le mamme di Taranto stanno manifestando contro l’inquinamento ambientale nella loro città. “Chiudete l’Ilva, non le scuole”, chiedono, dopo che due plessi scolastici sono stati chiusi da un’ordinanza del sindaco, che ha chiesto ad Arpa e Asl di effettuare ulteriori controlli per verificare i rischi derivanti dalla vicinanza delle due scuole alle collinette ecologiche dell’ex Ilva (sequestrate dal Noe perché trasformate in discarica di rifiuti industriali pericolosi).

Dinanzi alla Corte d’assise di Taranto è inoltre in corso il processo “Ambiente svenduto”, che punta ad accertare il presunto disastro ambientale causato dall’Ilva. Tra i 47 imputati c’è anche l’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, accusato di concussione, il quale a febbraio scorso si è difeso davanti i giudici.

“In nessun’altra parte del mondo si è vista una città sacrificata dallo Stato per i propri interessi. Adesso dicono: dovete aspettare ancora. Ma cosa dobbiamo aspettare? Puoi dire a una mamma: ‘aspetta che tuo figlio muore, tanto sarà tutto ambientalizzato’. E poi chi ci garantisce che lo facciano?”, si domanda Bottiglione.

“La salute si può conciliare con il lavoro quando si parla di malattie di poco conto, ma quando si parla di tumori e leucemie c’è poco da conciliare, con la morte non si concilia niente”, sostiene l’avvocato. “Però lo Stato italiano continua imperterrito a produrre acciaio. Il lavoro è una scusa, un alibi terribile, loro vogliono difendere i loro profitti in realtà. Ma un solo morto non giustifica che si produca, neanche per guadagni e utili stratosferici. Si parla di salvare il lavoro e si mettono gli operai contro gli ambientalisti. Questo è un ricatto indegno della nostra civiltà. È una logica da Repubblica delle banane da terzo mondo”.

Quando obiettiamo che la chiusura dello stabilimento avrebbe delle ripercussioni economiche per la città, in termini di occupazione, Bottiglione risponde che Taranto non avrebbe nessun problema se si rispettasse la legge, e quindi se fosse garantito “il risarcimento del danno che merita di avere per il disastro ambientale che si è prodotto”.

“Gli operai non resterebbero senza lavoro se si rispettasse la legge”, sostiene. “Il diritto europeo, il codice civile italiano e il codice ambientale approvato nel 2006 prevedono sia un risarcimento alla città per i danni provocati dall’inquinamento industriale alle sue bellezze naturali (al mare, alle falde acquifere, alla terra), sia un risarcimento ai privati, per l’imbrattamento delle abitazioni e per coloro che hanno subito lesioni, malattie e morti a causa dell’inquinamento”.

Con quei soldi, secondo l’avvocato, la città potrebbe rinascere. “Le ripercussioni sarebbero per l’Italia, non per Taranto”, sostiene. “Noi ormai siamo stufi. Sono 50 anni che produciamo l’acciaio sulla nostra pelle. Ci dovevano pensare prima ad ambientalizzare l’impianto. È un’estorsione, dicono: o accettate queste condizioni o farete la fame. Ma noi la fame non la faremo: abbiamo diritto al risarcimento del danno e alle bonifiche, per tutti i danni che lo stabilimento ha prodotto a Taranto e ai tarantini”.

“I risarcimenti per i danni alle bellezze naturali di Taranto non sono mai stati riconosciuti”, puntualizza l’avvocato, “inoltre con il commissariamento all’Ilva disposto dal governo Renzi e il concordato preventivo, tutte le cause promosse dai privati sono sfociate nel nulla: a loro sono rimaste le briciole. Siamo stati defraudati. In più Arcelor Mittal ha ottenuto l’immunità penale: ha acquistato solo a condizione che lo Stato italiano, violando tutte le leggi – a partire dalla Costituzione – assicurasse l’immunità alla società”.

Non ne fa una questione politica, l’avvocato, infatti nel testo della denuncia, che TPI ha visionato, critica gli errori commessi da governi e presidenti della Repubblica negli ultimi 20 anni.

“I presidenti della Repubblica hanno promulgato leggi che violano l’articolo 32 della Costituzione ed altri; tutti i presidenti del Consiglio hanno approvato leggi contro la città di Taranto, non riconoscendole né il risarcimento del danno né le bonifiche a 360°, allora a questo punto ci dobbiamo rivolgere alle Nazioni Unite”, prosegue l’avvocato. “Gli organi dello Stato, infatti, non si trovano in posizione di terzietà per poter decidere. C’è un conflitto tra Taranto e lo Stato. Questo dice: Taranto deve continuare a produrre anche se ha morti e feriti, se no le togliamo il lavoro. Noi diciamo: Taranto ha diritto a chiudere lo stabilimento, che ha prodotto per anni uno stupro ambientale”.

Quando chiediamo all’avvocato Bottiglione cosa spera di ottenere con la sua originale iniziativa risponde: “Lo Stato non metterà di certo sotto processo se stesso, ma io ho sollevato anche la questione del diritto alla resistenza anche degli organi istituzionali. Se il procuratore della Repubblica avrà coscienza istituzionale può darsi che si faccia carico del problema”.

“Voglio tirare un secchio d’acqua ai tarantini”, ribadisce, “affinché acquistino dignità con la lotta, ovviamente democratica e pacifica”.

Ha qualcosa da chiedere al presidente del Consiglio, pugliese anche lui?, chiediamo infine. “Non ce l’ho con le persone, per carità. Il presidente del Consiglio, verso il quale personalmente nutro grande fiducia, prenda atto che la costituzione a Taranto è stata violata, anche con l’ultima vendita del centro siderurgico, e tragga le conseguenze. Non è mai troppo tardi per rimediare. Che si prenda atto del conflitto di interessi e si tutelino gli interessi dei tarantini, che non siano considerati cittadini di serie B”.

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