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Brexit, conservatori e laburisti perdono i pezzi: il Parlamento britannico è un cantiere aperto

Immagine di copertina
Credit: AFP PHOTO / MARK DUFFY / UK Parliament

Negli ultimi giorni undici parlamentari hanno abbandonato i rispettivi partiti per confluire in un gruppo indipendente pro-Ue: così si riduce la maggioranza della premier Theresa May, mentre Corbyn fa i conti con chi chiede un secondo referendum

Se si osserva il Big Ben lo si può vedere imprigionato dalle impalcature, rinchiuso fra tubi di ferro mentre si sottopone alla sua ristrutturazione. I lavori non ne cambieranno la forma, le lancette rimarranno dove sono e lo stile ne rimarrà immutato. Ma quello che trasmette la torre con l’orologio, è esattamente quello che oggi avviene decine di metri sotto, nell’aula parlamentare che la torre sovrasta.

Un cantiere aperto che lavora sulla Brexit. Costruisce, distrugge, modifica, calcola e poi, spesso, ricomincia tutto daccapo. Non ha una geometria chiara, non ce la può avere. Troppo importante e divisiva la questione per avere una geometria tutta sua. Ce l’ha ugualmente, ma è una geometria variabile.

Due giorni dopo che otto parlamentari laburisti dell’opposizione britannica hanno salutato il loro partito, si è creata una grossa e ulteriore frattura all’interno dei conservatori, quando tre membri del Parlamento si sono dimessi per unirsi al nuovo gruppo indipendente. Lo stesso Partito conservatore che governa con al timone Theresa May.

Anna Soubry, Heidi Allen e Sarah Wollaston se ne sono andate via sbattendo la porta per protestare contro l’influenza dei suoi sostenitori più intransigenti su come il Regno Unito debba abbandonare l’Unione europea.

Tutti e tre i parlamentari, sembra superfluo menzionarlo, fanno parte dell’area pro-europea del Partito conservatore e sono sostenitori di un secondo referendum sulla Brexit, levandosi qualche sassolino dalla scarpa in fase di partenza.

“La Brexit ha ridefinito il Partito conservatore, annullando tutti gli sforzi per modernizzarlo”, hanno sottolineato i tre nuovi “evasi” del partito, in una lettera indirizzata alla premier May.

“C’è stato un triste fallimento nel difendere la linea dura dell’Erg (European Research Group) che opera apertamente come partito all’interno di un partito”, hanno aggiunto, riferendosi al gruppo ultra-ortodosso Brexit all’interno dei Tories, capitanati dal potente Jacob Rees-Mogg.

Theresa May, come da copione nel suo stile sobrio, ha detto davanti ai taccuini che si sente “rattristata da questa decisione”, aggiungendo: “Queste sono persone che hanno reso un servizio al nostro partito per molti anni e per questo li ringrazio”.

Intanto, tornando alla routine governativa, a meno di 40 giorni dalla scadenza oramai celebre del 29 marzo, il Regno Unito si trova di fronte a un passaggio decisivo, con la continua lotta per poter ottenere una visione che faccia sì che la legislazione di abbandono possa passare l’esame parlamentare.

Come detto, però, i dolori vengono anche dall’opposizione. Sette parlamentari, diventati poi otto, si sono dimessi dal Partito laburista citando una lista di accuse contro il loro leader di sinistra, Jeremy Corbyn, incolpato dal gruppo di non fare abbastanza per combattere la Brexit.

La scissione ha risvegliato i ricordi di un precedente tentativo – in definitiva condannato dalla storia – di rimodellare le strutture politiche britanniche, con la creazione di una formazione centrista che si frapponga fra i due blocchi storici.

L’ultimo grande sforzo avvenne nel 1981, con la creazione del Partito socialdemocratico. A un certo punto del suo cammino quel partito è arrivato a ottenere circa un quarto dei voti, ma non è riuscito a lasciare un segno tangibile nella storia britannica confluendo poi, nel tempo,  nell’unico partito centrista esistente, quello dei liberaldemocratici guidati oggi dal navigato Vince Cable.

Se poi in futuro ci sia spazio per la nascita di un partito di centro, lo stabilirà il tempo, ma il gruppo degli “indipendenti” adesso, fra le mura di Westmintser conta undici elementi che presto potrebbero dare vita a questa nuova formazione politica che si piazzerebbe nella scacchiera esattamente fra i due poli storici: i conservatori e i laburisti.

Una fazione non solo centrista, ma ampiamente caratterizzata da una visione europea, la vera matrice di questa nuova e insolita unione. Se unione sarà.

Intanto, la signora May fa affidamento su dieci parlamentari del Partito unionista democratico dell’Irlanda del Nord per sostenere il suo governo, sebbene  questi – insieme a più di 100 parlamentari conservatori – si siano rifiutati di sostenere il suo piano Brexit in Parlamento il mese scorso, con il “fuoco amico” che ha fatto sì che la May abbia subito la più grande sconfitta fra le mura parlamentari da quasi un secolo.

Conti alla mano, di norma Theresa May può contare su una maggioranza “operativa” di circa tredici parlamentari, quindi anche la piccola fuoriuscita  dei conservatori è un durissimo colpo – per usare un eufemismo – per Downing Street.

Non è affatto improbabile che possano essere in futuro dei parlamentari laburisti a supplire qualora manchino i voti, non per trasformismo, ma semplicemente perché, seppure in minor numero, anche fra i laburisti esistono i Brexiteers.

Lo stesso Jeremy Corbyn, sebbene a bassa voce e in maniera molto velata, ha sempre lasciato intendere che l’Unione europea non l’abbia mai fatto impazzire.

Ma Corbyn, da numero uno del partito, si impegna per far sì che il Regno Unito rimanga quantomeno nell’Unione doganale, cosa che faciliterebbe non di poco la spinosa questione irlandese, con la preoccupazione di vedere l’isola nuovamente divisa in due da un confine visibile. Lo stesso Corbyn che spesso viene tirato per la giacca da una parte del suo partito quando gli viene chiesto l’appoggio per il voto popolare sull’accordo finale, alias un secondo referendum a tutti gli effetti. Ipotesi che accomuna nelle intenzioni tutti i nuovi fuoriusciti sia conservatori che laburisti, con il rinforzo degli scozzesi dell’Snp.

E allora vedremo come e se cambierà ancora la geometria parlamentare, disegnata dalle circostanze che non seguono una logica fissa. Una geometria, appunto, variabile.

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