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“Dalla morte di Eluana Englaro a oggi, ecco com’è cambiato il dibattito sul fine vita in Italia”, intervista a Filomena Gallo (Ass. Coscioni)

Immagine di copertina
Giuseppe Englaro mostra la foto di sua figlia Eluana in un'immagine di repertorio del 25 aprile 2002. Credit: CARDINI / ANSA / PAL

Il 9 febbraio 2009 moriva dopo 17 anni in stato vegetativo Eluana Englaro. La lotta di suo padre Beppino ha contribuito a dar vita alla legge sul testamento biologico

Eluana Englaro e testamento biologico, cosa è cambiato in questi anni

Sono trascorsi 10 anni dalla morte di Eluana Englaro e dalle lotte di suo padre Beppino per assicurarle una fine dignitosa (qui la loro storia). Com’è cambiato il dibattito sul fine vita in Italia dal 2009 ad oggi?

S&D

Quali risultati sono stati ottenuti e quali sono invece le battaglie che bisogna ancora portare avanti? TPI.it lo ha chiesto a Filomena Gallo, Segretario nazionale dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica.

Dieci anni dalla conclusione della vicenda umana di Eluana Englaro. Cosa è cambiato in questi anni sul fine vita?

In questi ultimi 10 anni sono cambiate molte cose. Quella principale è che finalmente abbiamo una legge sulle Dat (Disposizioni anticipate di trattamento), che consente di esprimere le proprie volontà in merito ai trattamenti sanitari da proseguire, mantenere o rifiutare.

È una legge importante che recepisce la giurisprudenza e la dottrina che si è creata su questi temi, proprio con casi come quello di Eluana Englaro, Piergiorgio Welby, Walter Piludu e tanti altri che nel tempo chiedevano direttamente di poter decidere sulla propria vita.

Anche Eluana chiedeva di non stare in quello stato, in cui invece era in “trappola”, come ha detto spesso Beppino, che ha fatto una battaglia in tribunale per affermare la volontà di sua figlia. Una battaglia dolorosissima, nessun genitore vorrebbe essere stato al posto di Beppino.

Quali sono i risultati ottenuti grazie alle loro lotte? Cosa rimane ancora da fare?

All’epoca tutti si pronunciavano a favore e contro. Queste storie di vita, uscendo dalla cerchia ristretta della propria famiglia e diventando di dominio pubblico, hanno favorito il dibattito su temi di cui di solito non si discute.

Immagino che nessuno si sveglia la mattina e discute sul proprio fine vita. Eppure, quella è una circostanza che fa parte della nostra vita. Poter prevedere di veder affermare la propria volontà nel momento in cui invece non si è capaci di esprimerla, oggi è una grande conquista che ha un nome: legge sulle Dat, definita “testamento biologico”.

È quasi un anno che abbiamo questa legge in Italia e ancora dobbiamo cercare di difenderla.

Perché?

Quando gli italiani vanno a depositare le proprie Dat, il più delle volte ne portano copia con sé affinché, nel caso succeda qualcosa, chi soccorrerà quella persona può avere immediatamente conoscenza che quella persona ha scelto o di rifiutare terapie o di dare consenso a qualsiasi tipo di terapia.

Ancora non è stato attivato il Registro nazionale sulle Dat, benché fosse prevista la sua attivazione entro giugno dello scorso anno.

È fondamentale che ci sia un registro che dia la possibilità ai medici e ai sanitari di qualsiasi posto in Italia di poter intervenire in modo adeguato, sapendo se la persona che hanno all’esame ha fatto testamento biologico oppure no.

Per quanto riguarda invece il suicidio assistito o l’eutanasia?

In questi 10 anni è cambiato tanto anche sulle diverse scelte di fine vita. È stata presentata una proposta di legge di iniziativa popolare su cui è iniziato il lavoro di discussione.

Marco Cappato, Mina Welby e Gustavo Fraticelli hanno detto che farannno disobbedienza civile fino a quando non ci sarà una legge in Italia che affronti la questione eutanasia/suicidio assistito.

A che punto sono i procedimenti giudiziari nei loro confronti?

Oggi Marco Cappato vede un processo sospeso a Milano e uno in corso a Massa insieme a Mina Welby, per aver aiutato due malati capaci di intendere e di volere, con gravi sofferenze, a mettere fine a queste sofferenze.

La Corte costituzionale ha emanato un’ordinanza che per la prima volta cambia anche il corso dei rapporti tra Consulta e parlamento, perché indica al legislatore che nel nostro ordinamento c’è un vuoto a livello di tutela dei diritti fondamentali e invita il parlamento a legiferare dando un termine: il 24 settembre 2019. Per quella data è fissata un’altra udienza.

Devo precisare che tutti siamo dalla parte dei diritti e abbiamo l’esigenza che non ci sia nessun abuso in situazioni come quelle descritte. Per questo noi riteniamo che il divieto di istigazione e aiuto al suicidio debba rimanere a protezione, come cinta di difesa da ogni forma di abuso.

Ma dev’essere prevista una situazione diversa, quella di una persona che sceglie di decidere su se stessa, capace di intendere e di volere, che non deve essere costretta ad andare all’estero perché soffre e vuole smettere di soffrire, ma vuole anche essere nel proprio ambiente, con i propri cari. Questo in Italia non è consentito, perché se qualcuno dovesse aiutare quella persona corre il rischio di dover scontare dai 5 ai 12 anni di reclusione.

Io stessa dinanzi alla Corte costituzionale quando ho discusso il caso Cappato, insieme ai colleghi del collegio giuridico costituitosi dinanzi alla Corte di Assise di Milano, ho ribadito che la situazione di Cappato e Mina Welby è completamente diversa. Hanno aiutato delle persone ad esercitare la loro volontà. Non c’è stata alcuna istigazione, nessun rafforzamento della volontà, ma anzi, si è cercato più volte di richiedere verifica di quella volontà, con la possibilità di poter tornare indietro in qualsiasi momento.

Agire nella legalità nel proprio paese è quello che dovrebbe accadere in un paese democratico, che vede le libertà e i diritti fondamentali dei cittadini come un fiore all’occhiello, e non ha quell’atteggiamento di stato paternalista che decide al posto loro. Liberi fino alla fine significa avere delle buone norme che tutelano sia chi vorrà accedere chi vorrà accedere, perché magari in una condizione ben definita dal punto di vista medico, sia chi non vorrà mai fare certe scelte.

Ci auguriamo che i lavori che sono iniziati in parlamento vedano un giusto dibattito nei tempi previsti dalla Corte, con un’emanazione di una legge per tutti gli italiani.

Le forze politiche della maggioranza, M5S e Lega, sono rimaste finora abbastanza ambigue su questo tema. Secondo voi c’è la possibilità che si raggiunga questo risultato?

Di fatto hanno iniziato i lavori su una legge d’iniziativa popolare, in più c’è la spinta della Corte costituzionale. I temi che riguardano le libertà fondamentali non dovrebbero appartenere a un governo piuttosto che a un altro.

Dovrebbero avere riscontro immediato da parte di tutti i legislatori, che dovrebbero trovare un comune denominatore, l’affermazione delle libertà fondamentali.

Il mondo va avanti, la vita delle persone va avanti e gli eventi infausti purtroppo ci sono ogni giorno.

Nessuno è esente da queste tematiche. Nel momento in cui decide di non decidere vuol dire che non si assume la responsabilità da legislatore, per cui invece si è proposto ai cittadini ed è stato chiamato. C’è un obbligo di dare risposte ai cittadini.

Prima ha citato alcuni casi che hanno fatto la storia del fine vita in Italia, Eluana Englaro, Piergiorgio Welby, Walter Piludu, ma penso anche a Dj Fabo. Sembra che per parlare di fine vita occorra che ci siano vicende di cronaca che monopolizzano il dibattito pubblico. C’è margine per una battaglia più costante, non legata a casi individuali?

È quello che stiamo cercando anche noi. Il nostro motto: “Dal corpo del malato al cuore della politica”, purtroppo, se necessario, passando a volte anche dai tribunali. Abbiamo utilizzato questo metodo su tutti i temi che riguardano le libertà fondamentali, dalla procreazione medicalmente assistita alle unioni tra coppie dello stesso sesso, fino al testamento biologico.

Quando è stata votata al Senato quella legge abbiamo voluto che ci fossero in aula tutti coloro che erano intervenuti con richieste pubbliche: c’era Mina Welby, la famiglia Coscioni. Beppino Englaro non è venuto perché aveva un’influenza, altrimenti ci sarebbe stato. Quella legge porta il marchio delle persone che hanno creato dibattito con la loro richiesta. Facevano richieste che non andavano a toccare diritti di altri, erano richieste individuali. Ci auguriamo che questo non sia più necessario e che le norme che riguardano la vita delle persone trovino un percorso diverso.

Noi siamo anche in campo per difendere i diritti acquisiti. Al momento è in esame in commissione il disegno di legge Pillon, che in materia di diritti di famiglia ci fa tornare indietro: le garanzie che ci sono oggi per una famiglia che sceglie di separarsi verrebbero cancellate.

La democrazia diventa in pericolo quando non c’è attenzione alle libertà fondamentali.

Durante gli sviluppi sul caso Englaro c’è stata anche una forte opposizione da parte di gruppi cattolici. In questi dieci anni cosa è cambiato?

Su questi temi le religioni dovrebbero pensare a parlare ai propri fedeli e non a intervenire con un atteggiamento paternalista. Io sono cattolica e su tanti temi ho avuto modo di verificare che ognuno di noi deve avere in primis il rispetto delle proprie libertà. Poi le scelte sul proprio credo religioso sono individuali.

È fastidiosa l’intromissione nella politica per decidere al posto di chi chiede di decidere. Papa Francesco ha mandato segnali importanti, ha parlato di una chiesa che accoglie, che cura le ferite. È normale che abbiano una loro posizione ben precisa. Ma sentire che dovrebbe essere creato un partito di cattolici in uno stato laico non promette bene e porta anche a far considerare la chiesa in modo diverso da parte di chi è cattolico.

Leggi anche: Che differenze ci sono tra eutanasia, suicidio assistito e testamento biologico

Qui cosa prevede la legge sul testamento biologico.

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