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Bankitalia: l’Italia verso una ‘recessione tecnica’, la crescita del Pil scende allo 0,6% nel 2019

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La crescita dell’Italia prevista per il 2019 è stimata allo 0,6 per cento e non all’1 come programmato dal governo. A lanciare l’allarme di una “recessione tecnica” è la previsione di Banca d’Italia che nel suo Bollettino economico evidenzia un calo dello 0,1 per cento nell’ultimo trimestre del 2018.

Nel complesso del 2018 la crescita del Pil sarebbe stata dell’1 per cento sulla base dei dati annuali e dello 0,9 per cento sulla base dei dati trimestrali destagionalizzati.

Sul 2019 la Banca d’Italia riduce dello 0,4 punti percentuali la sua precedente previsione. Banca d’Italia spiega che hanno contribuito a questa previsione più negativa i dati sfavorevoli sull’attività economica osservati nell’ultima parte del 2018, il ridimensionamento dei piani di investimento delle imprese e le prospettive di rallentamento del commercio mondiale.

Banca d’Italia ha osservato invece che l’accordo raggiunto dal Governo con la Commissione europea avrà effetti positivi sulla crescita.

Per quanto riguarda 2020 e 2021, le proiezioni centrali della crescita sono pari allo 0,9 e all’1,0 per cento, rispettivamente.

Il bollettino di Banca d’Italia parla anche di produzione industriale italiana, che si sarebbe contratta di circa mezzo punto percentuale nel quarto trimestre del 2018. Avrebbero contribuito al calo anche le difficoltà del settore automobilistico emerse nel terzo trimestre.

Gli investimenti, dopo essere scesi nel terzo trimestre, avrebbero invece ripreso ad aumentare. Secondo le valutazioni delle imprese, la crescita degli investimenti proseguirebbe nel corso del 2019, pur rallentando rispetto al 2018. Le aziende sono meno ottimiste circa l’evoluzione della propria domanda e della situazione economica generale rispetto alle indagini condotte in settembre.

Banca d’Italia mette in guardia inoltre sul costo del credito, che rischia di aumentare se l’aumento del tasso sui titoli sovrani si mostrerà “persistente”.

Il dato è rimasto sostanzialmente invariato rispetto ad agosto, su livelli molto contenuti nel confronto storico, leggermente superiori a quelli minimi osservati nella scorsa primavera. In particolare, il tasso sui nuovi prestiti alle imprese si è collocato all’1,5 per cento in novembre; quello sui prestiti di ammontare inferiore al milione di euro, che approssima il costo del finanziamento per le aziende di minore dimensione, al 2 per cento; quello sugli importi oltre il milione di euro all’1,1 per cento.

Il tasso sui nuovi mutui alle famiglie per l’acquisto di abitazioni è stato pari all’1,9 per cento. Nel confronto con il mese di maggio, prima del manifestarsi delle tensioni sul mercato dei titoli di Stato, il costo del nuovo credito alle imprese e alle famiglie è più elevato di circa un decimo di punto.

Nei primi nove mesi del 2018 il risultato di gestione dei gruppi classificati come significativi è cresciuto del 21 per cento sul corrispondente periodo dell’anno precedente. L’aumento del margine di intermediazione (4,3 per cento) è da ricondurre alla crescita sia del margine di interesse (5,8 per cento) sia degli altri ricavi (2,9 per cento), che hanno beneficiato dell’incremento delle commissioni nette (3,0 per cento).

La contrazione delle spese per il personale si è riflessa nella riduzione dei costi operativi (-3,5 per cento), la cui incidenza sul margine di intermediazione è scesa di oltre due punti percentuali, al 63,4 per cento.

Le rettifiche di valore su crediti sono diminuite del 41 per cento. Rispetto a settembre del 2017 il rendimento annualizzato del capitale e delle riserve (return on equity, Roe), valutato al netto dei proventi straordinari, è salito dal 4,4 per cento al 6,1 per cento.

Nel terzo trimestre dello scorso anno il grado di patrimonializzazione delle banche significative si è mantenuto stabile. A settembre il capitale di migliore qualità (common equity tier 1, Cet1) era pari al 12,7 per cento delle attività ponderate per il rischio (risk weighted assets, Rwa), come a giugno: l’effetto della riduzione delle riserve su titoli di Stato valutati al fair value, dovuta al calo delle loro quotazioni, è stato compensato dalla flessione degli Rwa.

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