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Home » Cultura

“Siria. La fine dei diritti umani”, il libro di Riccardo Cristiano

Immagine di copertina
Credit: AFP
La guerra combattuta in Siria non è finita, è una guerra a fasi. Dopo la rivolta popolare contro il regime c’è stata la sua trasformazione forzata in guerra tra sunniti e sciiti, e poi in “guerra al terrorismo”.
Partendo da questo assunto, il libro Siria: la fine dei diritti umani” di Riccardo Cristiano (Castelvecchi, 2018) cerca di dare una lettura globale al conflitto siriano, presentandone le fasi, le rappresentazioni e gli effetti sulla politica e i pensieri religiosi, che somigliano sempre più a nuove eresie.

Per gentile concessione dell’autore pubblichiamo un estratto del libro

Nel racconto di quel che è accaduto in questi ultimi anni in Siria mi ha sempre sorpreso il mancato accostamento di un’immagine, scattata l’8 febbraio 2014 da un operatore delle Nazione Unite, che riprende diverse migliaia di siriani residenti nel campo profughi di Yarmouk che quel giorno, quasi uscissero da gironi infernali, sopraggiungevano come un fiume in piena davanti al piccolo convoglio che, imposta una breve pausa all’assedio governativo, riusciva a portar loro un po’ di cibo, qualche medicina; l’altra immagine a cui questa va accostata fissa davanti ai nostri occhi migliaia di profughi che come uscissero da gironi infernali hanno formato il fiume umano che nell’estate del 2015 attraversando i Balcani tentava di giungere in Europa.

Quel popolo sotto assedio, in fila per un po’ di pane, è lo stesso popolo che ha trasformato in un fiume di fuggiaschi la via balcanica? Questo popolo non è lo stesso che abbiamo visto nel Mediterraneo, i boat people del terzo millennio? Per quelli che furono davvero chiamati boat people, i vietnamiti in fuga dopo la fine della loro guerra e che nel corso degli anni arrivarono a circa due milioni, il padre generale dei gesuiti Pedro Arrupe fondò il Jesuit Refugee Service, che interpretò lo slancio umanitario nel mondo. Per le infinite particelle che compongono la bomba umana lanciata dalla Siria e che ha scaraventato sulle strade del mondo più del doppio dei due milioni di vietnamiti del tempo c’è stata solidarietà? No, c’è stata paura. Ma chi le ha rese tali, messe in fuga, non avrà pensato di usare la paura anche per scardinare la stessa Europa, i suoi principi, i suoi valori? E la scelta avviata nel 2016 di radunare tre milioni di profughi in una poverissima provincia del nord della Siria, Idlib, non potrebbe aver teso, grazie alla paura, anche a tenere l’Europa sotto scacco con la minaccia di una nuova ondata di profughi?

È una domanda che ne comporta un’altra: come mai in Siria gli sfollati sono già oggi più del 50% della popolazione, dei quali più di un milione bambini? I motivi, lo vedremo, sono locali, ma quando tutto questo è cominciato non c’erano né populisti né sovranisti, ma leader di democrazie liberali che credevano in partecipazione, diritti umani, stati fondati sull’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Se dall’agosto 2013 non solo si è rimasti inermi davanti al massacro con arme chimiche, come purtroppo è accaduto tante altre volte dopo di allora, ma si è inusitatamente trovato il modo di giustificarne il senso, lasciando intendere che tutto sommato occorreva sconfiggere i terroristi, “costi quel che costi”, si è legittimata l’idea che milioni di profughi fossero terroristi o potessero essere da loro “manovrati”, aprendo le porte a una concezione dello scontro di civiltà per cui “di qua” ci sono i buoni e “di là” i cattivi.

I “cattivi” non diventano “buoni” se attraversano il mare. E la “bontà” è un dato etnico, razziale. La democrazia liberale, che rifiuta questa idea per principio, è rimasta travolta dal cinismo delle sue élite, che hanno gestito con la stessa logica la globalizzazione dei mercati, consentendo una finanziarizzazione dell’economia che ha creato immense ricchezza da rendita, una delocalizzazione senza sanzioni, il ribasso dei diritti di chi lavora e una concentrazione di ricchezza impensabile prima, con singoli che controllano ricchezze pari anche a sei o sette volte il pil di un paese di media ricchezza, ma senza mai creare un efficace onere fiscale a carico della finanza e consentendo il fiorire di paradisi fiscali. Addirittura nel cuore dell’Europa.

Dopo il fallimento nel 2008 della società di servizi finanziari Lehman Brothers si parlò di nuove regole per Wall Street, che nessuno ha visto. E’ cominciato così il nuovo malessere soprattutto occidentale, e perché questo malessere non venisse indirizzato contro il sistema finanziario andava indirizzato altrove; l’ideologia dello scontro di civiltà è stata l’arma vincente, visto che accomuna jihadisti e islamofobi. La Siria è stata il suo luogo globale e troppo poco si è indagato sul motivo per cui il conflitto siriano sia stato frettolosamente trasformato, con il concorso di tantissimi attori, in un conflitto tra sunniti e sciiti. Questa trasformazione serviva per depotenziare la portata della rivoluzione pacifica, non confessionale e non violenta, che faceva tremare tanto i petormonarchi del Golfo quanto i regimi laico-militari e quelli teocratici, ma serviva anche altrove; la questione identitaria poteva aiutare tanti a nascondere altre questioni.

Molti altri racconti riducono di molto il peso della mancata solidarietà per i siriani, evitando di chiedersi come l’ordine culturale al quale apparteniamo, fondato sulla sconfitta di chi aveva perpetrato il genocidio durante la Seconda Guerra Mondiale, sia giunto ad essere accondiscendente con chi ha perpetrato un genocidio che abbiamo addirittura accettato se non giustificato. Quando accade questo non possono non esserci conseguenze. Forse è il caso di ricordare che l’assemblea generale dell’Onu ha adottato una convenzione che qualifica come genocidio l’uccisione di membri di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso; le lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; la sottomissione del gruppo a condizioni di esistenza che ne comportino la distruzione fisica, totale o parziale […]” . E’ quello che è accaduto in Siria ai danni della popolazione di etnia araba e religione sunnita perché sgradita al regime.

Il percorso è cominciato molto tempo fa e per rendersene conto occorre ricordarsi di N, una giovane siriana di Aleppo, che venne arrestata nella lunga e vastissima operazione dil “sicurezza” contro i Fratelli Musulmani. Omar Hamida, il capo del dipartimento dei servizi per la sicurezza dello Stato di Hafez al Assad ad Aleppo, la percosse, la colpì con un bastone sul ventre e rivolgendosi al bimbo che aveva in grembo urlò: “esci fuori e giura davanti a Dio di essere un baathista!”, cioè il partito degli Assad. Le migliaia di Omar Hamida che abbiamo capito, alcuni di noi giustificato, quanto avranno contribuito a fare di alcuni musulmani quel “pericolo per la nostra civiltà” di cui tanti parlano? E’ lui, Omar Hamida, il miglior interprete di quel sistema che molti, anche prelati, ci hanno detto che “difende i cristiani perseguitati”: grazie a quelle agenzie di sicurezza siriane fondate e gestite in base ai criteri suggeriti ad Hafez al Assad da Alois Brunner, il gerarca nazista che trovò riparo e ostello a Damasco? Stretto collaboratore di Adolf Hitler, responsabile della deportazione di 135mila ebrei, Brunner incontrò personalmente Hafez al- Assad , vantando la propria intimità con Hitler e divenendone stretto collaboratore.

Il ruolo di Brunner, come attestato da un documento dei servizi segreti francesi del 1992, che a sua volta ne riprendeva uno del 1988, era quello di “consigliere del governo siriano in materia di sicurezza”, fermo restando che alcune sue guardie del corpo dopo la sua morte hanno dichiarato che era il responsabile dell’addestramento di tutti i direttori dei servizi di sicurezza siriani. Il 2018 ha fatto emergere proprio questo partito Baath come vincitore, grazie a tanti sostegni, dalla Terza Guerra Mondiale. I metodi impiegati negli anni Ottanta dal Padre, come la propaganda di regime qualificava Hafez al Assad, sono gli stessi utilizzati su più larga scala dal Figlio, Bashar al Assad, per prevalere nel 2018: tra marzo 2011 e dicembre 2015 sappiamo che 17,723 persone sono morte sotto tortura ed è documentato che le forze governative hanno sequestrato 71,553 persone, tra le quali 4,109 bambini e 2,377 donne.

Il Syrian Network for Human Rights ha stimato in circa 6,000 le donne stuprate in galera, con molte gravidanze non volute. Tutto questo era chiaro al mondo sin dall’inizio; la stessa organizzazione ha documentato che tra marzo 2011 e aprile 2013 ben 5,400 donne, delle quali 1,200 studentesse, sono state arrestate dai vari servizi di sicurezza siriani. Poiché in Siria sono coinvolti russi, iraniani, statunitensi, turchi, sauditi, francesi e anche cinesi, quanto vi accade ha enormi implicazioni culturali, per tutti, non solo per i siriani. Anzi, immaginando questi fatti come emotivamente e culturalmente formativi della “Nuova Europa”, le implicazioni riguardano soprattutto noi. Lo dice proprio il destino incredibile e quasi rimosso di Alois Brunner: lui in Siria non si nascondeva, era un consigliere del governo, tanto che ha potuto addirittura viaggiare all’estero e partecipare a convegni neonazisti.

Riccardo Cristiano
Già coordinatore dell’informazione religiosa di Radio Rai e fondatore dell’Associazione Giornalisti amici di padre Dall’Oglio, attualmente collabora come vaticanista con «Reset» e «La Stampa». Particolarmente attento al dialogo interreligioso, ha pubblicato con Castelvecchi Medio Oriente senza cristiani? (2014), Bergoglio, sfida globale (2015), Siria. L’ultimo genocidio (2017) e ha recentemente curato Solo l’inquietudine dà pace. Così Bergoglio rilancia il vivere insieme (2018).
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