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Home » Esteri

Brexit, Theresa May dovrà affrontare un voto di sfiducia all’interno del suo partito

Immagine di copertina
Theresa May

Il voto è previsto per la serata di mercoledì 12 dicembre. Se sfiduciata, May dovrà dimettersi

Theresa May dovrà affrontare un voto di sfiducia all’interno del suo partito nella serata di mercoledì 12 dicembre.

I parlamentari conservatori hanno infatti raccolto le firme necessarie per avviare la procedura, dichiarando di non avere più fiducia nel primo ministro dopo i contrasti sull’accordo con l’Ue sulla Brexit.

Il voto, secondo quanto riporta la BBC, è previsto tra le 19 e le 21 (ora italiana).

La procedura è stata avviata dopo che almeno 48 parlamentari conservatori hanno depositato una richiesta scritta per un voto di sfiducia.

In base alle regole del partito, si va al voto di sfiducia se lo richiede almeno il 15 per cento dei membri del partito.

Theresa May ora avrà bisogno del sostegno di almeno 158 parlamentari Tories per superare la sfida del Brexiters. Se la sfiducia non passerà, la premier non potrà essere rimossa dalla leadership del partito per almeno un anno.

“Non ho intenzione di dimettermi”, ha detto Theresa May in un discorso pronunciato poco dopo la notizia della mozione di sfiducia. “Il paese ha bisogno di un partito conservatore forte e unito. Un’eventuale sfiducia ritarderebbe la Brexit, mentre invece bisogna concludere il lavoro iniziato”.

Lunedì 10 dicembre May aveva annunciato che il voto sull’accordo Brexit tra Ue e Regno Unito, previsto alla Camera dei Comuni per l’11 dicembre, sarebbe stato rinviato. La premier era infatti ancora alla ricerca dei voti necessari per sostenere l’accordo con l’Ue.

Downing Street aveva insistito sul fatto che il voto sarebbe andato avanti, nonostante May sapeva già di non avere la maggioranza.

Ma una fonte del governo aveva anticipato alla Bbc che il voto non ci sarebbe stato.

Governo in crisi

Il giorno dopo l’approvazione della bozza d’accordo con Bruxelles sull’uscita dall’Unione europea, la premier britannica ha perso pezzi e ministri.

Ha lasciato il ministro per la Brexit Dominic Raab, sostenendo l’impossibilità di accettare un compromesso con l’Ue. Con lui si è dimessa anche la sottosegretaria alla Brexit, Suella Braverman.

Hanno abbandonato anche la ministra del Lavoro Esther McVey, il sottosegretario britannico per l’Irlanda del Nord Shailesh Vara, che si è dichiarato non soddisfatto dell’accordo raggiunto sul confine irlandese, e la sottosegretaria all’Istruzione Anne-Marie Trevelyan.

I dimissionari, tutti Tory, ritengono che l’accordo trovato con Bruxelles non rispetta le promesse fatte agli elettori.

La premier May ha nominato il Stephen Barclay nuovo ministro per la Brexit, dopo l’abbandono di Dominic Raab.

Aspre critiche sono arrivate anche dal Dup, il partito unionista nord-irlandese, che si è detto contrario alla decisione di avere un confine morbido tra l’Irlanda del Nord, che fa parte del Regno Unito, e la Repubblica dell’Irlanda. Secondo Nigel Dodds, l’accordo porterà alla disintegrazione del Regno Unito.

L’accordo tra Regno Unito e Ue sulla Brexit

Il 14 novembre il governo britannico aveva approvato la bozza di accordo sull’uscita del Regno Unito dall’Ue e diversi ministri hanno lasciato il loro incarico in segno di protesta.

Nonostante la crisi di governo, la premier Theresa May ha chiarito in un discorso alla nazione che non intende dimettersi. “Sono dispiaciuta che alcuni colleghi abbiano deciso di lasciare il governo, ma credo con ogni fibra del mio essere che il percorso creato è quello giusto”, ha detto May con riferimento alle dimissioni di tre ministri e due sottosegretari in polemica con l’accordo sulla Brexit.

Secondo la premier, l’intesa raggiunta con Bruxelles – che ora dovrà passare l’esame del Parlamento britannico – “protegge l’integrità del Regno Unito e l’accordo pacifico dell’Irlanda del Nord, lasciando il Regno Unito ma senza un confine fisico”.

“Nessuna ha proposto alternative per la Brexit, capisco che ci sono persone in difficoltà con il backstop, ne condivido alcune preoccupazioni, ma non c’e’ nessun accordo che possa essere raggiunto con la Ue che non coinvolga un backstop”, ha fatto notare May.

“Questo accordo è nell’interesse della nazione, possiamo garantirlo solo se restiamo uniti. Se non andiamo avanti con questa intesa, nessuno sa cosa accadrà, si aprirà un percorso profondamente incerto”, ha sottolineato la premier.

Cosa prevede l’accordo

L’accordo, un documento di 585 pagine, contiene previsioni che vanno nella direzione di una Brexit soft, che piace poco ai sostenitori più intransigenti dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea.

Per quanto riguarda il nodo più spinoso, quello della questione nordirlandese, si è sostanzialmente deciso di posticipare la soluzione: l’Irlanda del Nord continuerà in via temporanea a far parte del mercato unico europeo fino a quando non si troverà un accordo definitivo.

In questo modo si eviterà, almeno nel breve periodo, un confine fisico tra Irlanda del Nord, territorio del Regno Unito, e la Repubblica d’Irlanda, territorio dell’Unione europea. I Brexiter auspicavano invece una netta separazione, anche dal punto di vista commerciale, tra i due paesi.

In base all’accordo raggiunto, inoltre, il Regno Unito continuerà a far parte dell’unione doganale finché non si troverà un’intesa commerciale bilaterale con Bruxelles. Su questo punto, gli anti-europeisti britannici temono che Londra sia vincolata per anni al rispetto di regole europee, senza avere abbastanza voce in capitolo.

Numerosi gli articoli dell’intesa dedicati alla cooperazione giudiziaria, di polizia, allo scambio di informazioni e alla protezione dei dati personali. Ci sono norme anche sul trattamento di rifiuti radioattivi.

Importante l’articolo 132 che stabilisce che, entro il primo luglio 2020, un Comitato congiunto, copresieduto da Ue e Regno Unito, potrebbe decidere di estendere, senza alcun limite prefissato, il periodo di transizione, per il momento fissato al 31 dicembre 2020. In questo caso il Comitato congiunto deciderà l’entità del contributo di Londra alla Ue dal primo gennaio 2021 in avanti.

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