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Home » Esteri

L’assist di Macron a Di Maio e Salvini: per accontentare i gilet gialli può sforare il 3% di deficit

Immagine di copertina
Emmanuel Macron

Nelle trattative tra Roma e Bruxelles, l'aumento di spesa pubblica della Francia potrebbe essere utilizzato come argomento per chiedere maggiore flessibilità anche per l'Italia

C’è un risvolto della contesa tra Macron e i gilet gialli che tocca da vicino l’Italia, e che si inserisce in un’altra contesa: quella tra il governo M5s-Lega e l’Europa sul deficit.

Lunedì 10 dicembre, in un discorso alla nazione, il presidente francese ha fatto mea culpa e ha annunciato alcune concessioni al movimento che, da settimane, sta portando avanti anche in maniera violenta una serie di rivendicazioni in tema di diritti e sicurezza sociale.

Macron, nello specifico, ha dichiarato di essere pronto ad aumentare di 100 euro il salario minimo, che oggi ammonta a 1.184 euro netti mensili, a defiscalizzare le ore di straordinari e i premi pagati dalle imprese ai lavoratori a fine anno, nonché a tagliare le tasse per le pensioni sotto i 2mila euro.

Si tratta di misure che, nel complesso, potrebbero costare fino a 10 miliardi. Se così fosse, come scrive il giornale economico Les Echos, il deficit della Francia potrebbe arrivare al 3,5 per cento del Pil, sforando così il tetto del 3 per cento imposto dall’Europa.

Macron, nei mesi scorsi, aveva già annunciato di voler portare il rapporto deficit/Pil al 2,8. Una mossa che era stata cavalcata da Di Maio e Salvini in ottica anti-Bruxelles.

“Se lo fa lui – era il ragionamento dei due vicepremier – perché non possiamo farlo anche noi?”.

Economisti e analisti, all’epoca, provarono a spiegare come i conti della Francia e quelli dell’Italia non fossero paragonabili, e come Macron, di conseguenza, avesse margini di spesa ben più ampi di quelli di Di Maio e Salvini.

Il ragionamento vale anche in questo caso, ma è altrettanto vero che tra 2.8 e 3,5 c’è una bella differenza, e che stavolta la posizione di Macron potrebbe rappresentare un vero assist al governo gialloverde nel braccio di ferro con le istituzioni europee.

Nel negoziato con Juncker, Conte e il ministro Tria potrebbero infatti far leva sugli annunci del presidente francese per chiedere di alzare la soglia di tolleranza anche per l’Italia.

Bruxelles ha chiesto una correzione della manovra in tempi rapidissimi, con un deficit sotto al 2 per cento.

Il governo M5s-Lega, al momento, sembra disposto a scendere non oltre il 2,1, racimolando risparmi nelle pieghe degli emendamenti e lasciando quasi immacolati reddito di cittadinanza e quota 100.

Con le elezioni europee alle porte, è improbabile che Salvini e Di Maio possano concedere più di questo. Entrambi non possono permettersi di piegare il capo e passare per i nuovi Tsipras, specie in una fase così delicata.

La palla quindi, alla fine della fiera, è nelle mani dell’Unione Europea, che dovrà scegliere se adottare la linea dell’inflessibilità o se accettare gli sforzi del governo, seppur contenuti e non in linea con le richieste, di abbassare il deficit di qualche decimale.

Di sicuro, però, la questione francese apre un nuovo fronte, o meglio lo allarga: l’aumento del deficit, infatti, è legato a richieste di giustizia sociale ritenute ormai indifferibili persino dallo stesso Macron.

Con un movimento, quello dei gilet gialli, che sta facendo proseliti in tutti il mondo (in Egitto è stata vietata la vendita di giubbotti di quel colore per timore di una nuova primavera araba), l’Europa non può permettersi di mostrare la faccia cattiva.

Verrebbe infatti immediatamente percepita come il cane da guardia delle élite, e alle elezioni di maggio i cittadini potrebbero presentare un conto salatissimo.

Macron è stato il primo a mostrarsi conciliante, pronto al dialogo, e la strada che ha tracciato sembra quella che anche l’Europa è in qualche modo costretta a seguire.

Molto probabilmente lo farà con la Francia, ma non è detto che la linea del compromesso non possa prevalere su quella dell’intransigenza anche nel caso dell’Italia, portando così a un accordo per un deficit al 2,1 per cento che eviterebbe la procedura di infrazione e l’apertura di uno scenario pericolosissimo, in cui M5s e Lega potrebbero rispolverare idee messe in cantina come quella di un referendum per uscire dalla moneta unica.

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