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Home » Esteri

Perché la lobby delle armi negli Usa è in crisi (e in Italia invece no)

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Negli Stati Uniti ci sono almeno 393 milioni di armi da fuoco detenute da civili. Credit: AFP PHOTO / Karen BLEIER

Il flop nelle elezioni di midterm, la rivolta dei ragazzi di Parkland, qualche scivolone sui social: non è un buon momento per la NRA, che vede rafforzarsi la schiera di oppositori. E mentre l'America si interroga, in Italia si favorisce il porto d'armi

L’ultima notizia è di venerdì 16 novembre 2018. La lobby delle armi americana, NRA (National Rifle Association), fa causa allo stato di Washington, che durante le elezioni di metà mandato ha approvato delle nuove restrizioni sulla vendita delle armi.

S&D

Il 60 per cento degli elettori ha infatti approvato la legge 1639 che richiede l’età minima di 21 anni per acquistare armi semi-automatiche e la residenza nello stato. L’NRA vede come fumo negli occhi questa nuova legge. Ed è intenzionata a portarla in tribunale. Così come il governo dello stato, che non indietreggia: “Faremo rispettare il volere degli elettori’.

Sono state settimane dure per l’NRA che, nonostante sia al massimo dell’influenza da quando è “entrata” in politica negli anni Settanta, comincia ad accusare i colpi. L’opposizione, sempre più organizzata ed emotiva, comincia dare i sui frutti. E la lobby respinge, contrattacca e incappa in qualche scivolone di immagine.

È del 7 novembre un tweet contro gli annali di medicina e in particolari contro “quei medici presuntuosi” che si sono schierati a favore di nuove norme per regolare l’acquisto delle armi. “State nella vostra corsia” ha scritto l’NRA (con un gioco di parole che rende in inglese ma non italiano). Secondo la lobby, i medici devono smetterla di prendere posizioni contro le armi da fuoco.

Il 30 ottobre, infatti, il Collegio americano dei medici ha pubblicato un paper che raccomanda nuove restrizioni per far fronte a un numero crescente di vittime. La risposta è stata immediata: migliaia di medici del pronto soccorso hanno twittato le loro foto pieni di sangue di persone coinvolte in sparatorie. L’NRA ha preferito tacere, anche perché le critiche sono arrivate da entrambi gli schieramenti.

A questo si sono aggiunte le elezioni. La lobby ha messo nella corsa di metà mandato 20 milioni di dollari – alle presidenziali del 2016 ne erano stati spesi 54 milioni. E per la prima volta, gruppi oppositori ne hanno spesi di più: tra Gifford e Everytown for Gun Safety hanno speso 37 milioni di dollari per sostenere candidati che fossero per una legislazione sulle armi. I risultati si sono visti, i democratici sono riusciti a sfilare alcuni seggi chiave come in Indiana e in Tennessee.

L’NRA ha come abitudine di dare le pagelle ai politici con un punteggio dalla A alla F. “Abbiamo battuto almeno 15 candidati che avevano un A”, ha spiegato John Yarmuth, eletto in Kentucky con i democratici, portando sul bavero un spilla con la lettera F.

Persino l’NRA ha dovuto ammettere di aver perso alcuni seggi chiave: “Il vostro diritto costituzionale è a rischio in quelle aree”, ha dichiarato, alludendo al Secondo Emendamento che protegge i detentori di arme da fuoco, su cui si gioca tutto il dibattito politico.

Quello che è certo, è che l’affluenza l’8 novembre è stata da record, e per la prima volta i giovani si sono recati alle urne con numeri sorprendenti. Giovani stanchi di avere paura ad andare a scuola. A fare breccia è stata la reazione degli studenti di Parkland, Florida, dopo la sparatoria che ha visto un loro compagno di classe uccidere 17 persone.

Si sono mobilitati, hanno preteso dei cambiamenti, e si sono fatti sentire. Le sparatorie non si sono fermate, e il governo ha stanziato 2,7 miliardi di dollari per mettere in sicurezza le scuole, realizzando che però questo approccio non porta risultati.

L’NRA dagli anni Settanta ha influenzato la politica con una capacità di mobilitazione enorme, e sempre in distretti rurali chiave per il controllo del Congresso. Donald Regan è stato il primo candidato presidenziale a essere apertamente appoggiato dalla lobby. Ma il vero potere comincia intorno al 2000. Da quel momento la lobby ha versato milioni di dollari e mobilitato migliaia di persone per bloccare qualsiasi iniziativa che limitasse l’acquisto almeno dei fucili usati dai militari. Tutto inutile. E oggi l’America si ritrova a fare i conti con una situazione che potrebbe prendere una piega drammatica.

Negli Stati Uniti ci sono almeno 393 milioni di armi da fuoco detenute da civili. Una stima, scrivono dall’associazione di stanza in Svizzera Small Arms Survey, che riguarda sia il numero di armi registrate sia quelle illegali.

L’Italia è 15esima nella classifica con almeno 8,6 milioni di pistole (secondo Giorgio Beretta sono almeno 10 milioni). Superiamo l’Iraq, l’Afghanistan, e la Colombia, mentre per l’export siamo quarti. Il Governo ha varato un’estensione della legittima difesa e ha reso più semplice ottenere il porto d’armi.

Una promessa politica a cui il ministro dell’Interno Salvini tiene molto, come ha ripetuto lui stesso in diverse occasioni. E nonostante i reati siano in calo, la percezione dell’insicurezza in Italia è alle stelle, complice un clima politico molto aspro. Ma l’accessibilità alle armi non è la soluzione. Ce lo insegna l’America.

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