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“Lo Stato ci ignora, qui si impazzisce”: la vita al limite dei migranti del Baobab tra alberi che cadono e minacce di sgombero

Immagine di copertina

Dopo le violenti piogge degli ultimi giorni, TPI ha verificato le condizioni di vita a piazzale Maslax di Roma, presidio per migranti e rifugiati, gestito da Baobab Experience su cui pende la minaccia di sgombero paventata dal ministro dell'Interno Matteo Salvini

“Qui viviamo fuori dalla realtà, fuori dalle attività della società. In un contesto come questo si perde il senso dell’umanità, gradulamente si rovina il modo di pensare e si alimenta la rabbia”.

Le persone che oggi vivono nel presidio di piazzale Maslax di Roma, gestisto dalla Ong Baobab Experience, hanno una percezione della realtà ben maggiore di quanto possiamo immaginare.

Uno di loro si chiama Mike, viene dalla Nigeria e ha meno di 30 anni. Lo abbiamo incontrato nel campo devastato dalle piogge degli ultimi giorni che hanno messo seriamente alla prova la resistenza dei migranti e rifugiati. Lì, per la conta dei danni, c’era anche Andrea Costa, coordinatore dell’associazione Baobab Experience.

Sulla base dei dati raccolti dalla Rete legale, le persone ospitate al presidio sono oltre 180 e, pur avendo un titolo di soggiorno, sono fuori dai circuiti di accoglienza istituzionali. Al momento sono infatti presenti circa 104 titolari di protezione internazionale o umanitaria e 48 richiedenti asilo, oltre a un certo numero di persone che hanno manifestato la volontà di chiedere asilo, ma che non sono ancora riuscite a formalizzare la richiesta di protezione anche a causa delle difficoltà di accesso all’Ufficio Immigrazione della Questura.

Qui sotto il video di TPI.it che documenta l’albero caduto al Baobab:

Molti versano in condizioni di particolare fragilità, disagio e necessità e sono decine le persone con vulnerabilità sanitarie, segnalate dalle associazioni Medu, Medici senza frontiere, Diritti al Cuore e Médecins du monde, nel corso delle visite settimanali svolte al presidio e che necessitano di una sistemazione adeguata alle loro condizioni di salute.

“Contiamo i danni, per fortuna solo alle cose e non alle persone”, spiega Andrea. “Ieri abbiamo pulito un po’, ora stiamo rimettendo su un po’ di tende, però è stata molto tosta. È un miracolo che non si sia fatto male nessuno”.

Sul Baobab pende la minaccia del piano di sgomberi predisposto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini.

“Siamo in attesa”, dice Costa. “Ma per queste persone non c’è un’alternativa dove andare”.

L’area ospita richiedenti asilo, transitanti e migranti respinti dai paesi del Nord Europa che tornano a Roma. Ma continuano anche ad arrivare persone dal Sud Italia, come alcune famiglie eritree con bambini.

Il 10 novembre nella Capitale è prevista una manifestazione contro il governo e il decreto Salvini.

Circa 20mila partecipanti sono attesi per il corteo da piazza Repubblica a piazza San Giovanni. In prima fila ci saranno i migranti del Baobab.

“Con l’entrata in vigore del decreto Salvini parte di queste persone si troverà senza protezione umanitaria, diventeranno irregolari e rischieranno di diventare manovalanza per la criminalità organizzata. È una follia”.

“Provano sempre tutti ad andarsene verso la Francia o la Germania, però poi vengono presi. Si sentono ormai condannati a una vita di illegalità. Ma per tanti di loro tornare indietro è un fallimento, anche agli occhi della famiglia. Pensiamo a quel ragazzo che si è suicidato”, spiega Andrea Costa.

Dal Baobab sono passati anche diversi migranti provenienti dagli altri sgomberi. “Piazza Indipendenza, via Curtatone, Scorticabove, qui sono passati tutti. Però poi magari stanno da più anni in Italia e trovano una soluzione. Qui la situazione, al di là dell’impegno nostro e dei volontari è abbastanza tosta. Anche se adesso è particolarmente critica per l’acquazzone”.

Andrea racconta che da quando è entrato in carica il nuovo governo è aumentato il numero di volontari, come anche quello delle donazioni. “I pochi che resistono fanno squadra”, dice.

Mentre ci troviamo nel campo, una volontaria distribuisce gli abiti usati. A prenderli ci sono anche degli italiani.

“Al momento abbiamo bisogno di tende, sacchi a pelo, materassini, coperte”, spiega Federica, che coordina un gruppo di volontari.  Nei prossimi giorni, però, è atteso altro maltempo. C’è un’alternativa per queste persone?

“L’alternativa è che vanno sotto la stazione, non c’è un’alternativa”, dice Federica. “In questi giorni di maltempo abbiamo chiamato la sala operativa del comune per sapere se c’erano dei posti per alcune persone che stanno qui da noi, ma non ce n’erano”.

“Noi siamo contenti se questo posto chiude, non vogliamo che i ragazzi stanno qua, perché non c’è il bagno, non c’è la corrente. Però non possono chiudere questo posto e metterli in mezzo alla strada. Oltre che per un discorso umano, anche per una questione di sicurezza”, aggiunge.

“Alla luce di questa situazione così complessa, chiediamo alle Autorità competenti, manifestando piena volontà di collaborazione, di non avviare alcuna operazione di sgombero dell’area occupata senza prima aver preventivamente concordato i tempi e le modalità di esecuzione con le persone che vi risiedono e con quanti prestano loro quotidianamente assistenza, assicurando a ciascuno soluzioni alternative valutate caso per caso. Ai richiedenti asilo, ai cosiddetti ‘dublinati’ e a quanti ne abbiano titolo, deve essere data la possibilità di accedere al sistema nazionale di accoglienza”.

Anche Mike è convinto che si debba prima trovare una soluzione, nonostante la vita nel presidio non sia facile. Ci parla e con le mani indica lo scenario che è sotto i nostri occhi: la pioggia e il vento hanno devastato tutto. Gli alberi sono caduti, in particolare un pino molto grosso si è spezzato in due parti, cadendo rovinosamente sulle tende. La strage è stata evitata per miracolo.

“La situazione la vedete, provate a immaginare vivere in questo stato cosa può comportare per lo stato di salute mentale di una persona: non c’è vita, non c’è umanità. Sei costretto a vivere con molte persone diverse, l’unica opportunità che ci è data proviene da quei volontari che hanno senso dell’umanità, non certo dalle istituzioni. Non penso che sia impossibile vivere qui, penso solo che sia difficile, che non sia il modo naturale e dignitoso per una persona”, prosegue Mike.

Le sue osservazioni sono razionali, pacate, non c’è rabbia o frustrazione. C’è solo il senso di una realtà che così come rende i migranti estranei e prigionieri.

“Lo standard di vita è sotto il minimo. Qui viviamo fuori dalla realtà, fuori dalle attività della società. Io voglio stare in Italia, ma la situazione è sempre peggio, molte persone stanno qui per capire come andare via dall’Italia, studiano le mappe, qui non hanno nulla di positivo cui pensare. Il loro unico pensiero è solo come andare avanti giorno dopo giorno. Hanno già tanto cui pensare: quello che hanno persone, ciò che hanno lasciato”.

“Ho ancora i miei sogni”, racconta Mike. “I sogni si illuminano giorno dopo giorno. Questo tipo di esperienza ti insegna a capire come comportarti, anche in un posto così. Ma gradualmente può rovinare il tuo modo di pensare. Abbiamo costruito delle belle relazioni con le persone della società, con chi viene ad aiutarci, ma non è lo Stato ad aiutare”.

“Ovviamente”, conclude Mike, “ho visto e affrontato situazioni peggiori di queste, ma in questo contesto il cervello delle persone comincia a dormire, questo non è il posto adatto per fare crescere la propria mentalità. Si è fisicamente e mentalmente in gabbia”.

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