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Genova, aziende chiuse e traffico paralizzato: cosa rimane del quartiere Certosa. “Il Governo ci ha deluso”

Immagine di copertina
La coda, immobile, per prendere la metropolitana alla fermata “Certosa/Brin”

Viaggio nella cosiddetta "zona arancione", dove non ci sono stati crolli né sfollati ma la situazione è comunque drammatica, tra isolamento, spostamenti impossibili e crisi economica

Traffico di genitori e mezzi, urla dei bambini, folla nell’aria frizzante del mattino di fine settembre, il sole che si nasconde ancora dietro i palazzi. Arriva un taxi bianco, riparte incolonnandosi nella fila di macchine e dei tanti autobus.

S&D

Sono davanti alla scuola elementare Ludovico Ariosto di Genova Certosa e i taxi hanno appena portato a scuola un gruppo di bambini sfollati dalle case sotto al viadotto Morandi.

L’atmosfera restituisce un ordinario mattino per bambini e genitori, ma la realtà affiora dagli sguardi e dalle parole scambiate per tirarsi su davanti a un caffè, prima di iniziare una lunga odissea per arrivare sul posto di lavoro.

Il quartiere di Certosa è considerato zona arancione, un’area cuscinetto istituita, anche se mai definita con precisione, dal sindaco Bucci alcuni giorni dopo la tragedia.

Questa zona non è stata interessata da crolli e non ci sono sfollati, ma la situazione è comunque drammatica perché gli abitanti sono rimasti imprigionati nel loro stesso quartiere dopo la chiusura di Via Fillak, arteria della Val Polcevera su cui sorge il secondo troncone del Morandi, e di altre vie che collegavano il quartiere a quello di Sampierdarena, al porto e al centro storico.

“Gli unici modi per uscire da qui sono prendere la metropolitana (Certosa Brin è capolinea della piccola linea genovese), andare verso Bolzaneto per prendere l’autostrada o passare dal piccolo quartiere di Borzoli, situato più a nord sulla riva opposta del fiume Polcevera, e aggirare il ponte crollato. Per andare a lavorare dall’altra parte della città si possono impiegare anche più di due ore”, mi spiega Michele, infermiere.

La “zona arancione” in uno screenshot da Google Maps. Risultano chiuse via Fillak, via Perlasca e via 30 giugno sull’altra sponda del fiume. Più a nord rispetto allo screenshot, i quartieri di Bolzaneto e Borzoli sono invasi dai mezzi diretti in autostrada.

Inutile dire che il traffico autostradale di cittadini e merci provenienti dal porto (merci che prima passavano per il viadotto Morandi) abbia creato enormi problemi nelle strette strade genovesi e la metropolitana nelle ore di punta è al limite del praticabile.

Le corse degli autobus sono state moltiplicate e alcune di esse sono gratuite, così come sono aumentati i treni della metropolitana e la tratta Certosa-Dinegro (che bypassa la zona rossa) è stata resa gratuita.

“Un paio di attività in via Campi e via Fillak hanno già chiuso i battenti e tutte sono in fortissima difficoltà”, mi spiega Federico Romeo, presidente del municipio Valpolcevera.

“Sono invece diverse centinaia le richieste di risarcimento mandate ad Autostrade per l’Italia, che per ora ha soddisfatto un primo blocco, corrispondente alla zona di Certosa. Ma tutta la Valpolcevera è considerabile area di difficoltà”.

“Il porto di Genova ha dichiarato che la perdita dovuta al crollo del viadotto sarà di alcuni miliardi di euro. I risarcimenti sono senza dubbio una parte importante per il processo di ricostruzione, ma ancora più importante è ottenere finanziamenti dallo Stato”, sottolinea Romeo.

“In questo senso il decreto Genova ci ha parecchio delusi. Saranno stanziati 20 milioni invece degli 80 promessi, non sono garantiti fondi per coprire il potenziamento del trasporto pubblico, non è prevista l’istituzione di una zona economica speciale. Poi serve sbloccare le strade di sponda del Polcevera, occorre rendere più agevole la viabilità e la raggiungibilità della zona per fermare l’agonia economica dell’intera valle. La mobilità è la questione fondamentale in questo momento”.

Mi sposto dalla scuola alla fermata della stazione. Mi attende una coda lunga parecchi metri e immobile, pendolari che stanno andando a scuola o al lavoro. Un guasto ha lasciato in funzione un solo binario e non è la prima volta che succede.

La scorsa settimana il personale Atp (l’azienda di trasporto pubblico locale di Genova, ndr) era stato costretto a chiudere temporaneamente i tornelli e a chiamare le forze dell’ordine in seguito alle tensioni e alle proteste scattate fra le persone in coda.

Serpeggia anche parecchia apprensione per le condizioni della fermata della metropolitana, sopraelevata, retta da piloni: “La struttura non ha quasi mai subito restauri, non è nemmeno mai stata riverniciata. È in grado di sopportare un traffico del genere?”.

Via Fillak verso Sampiardarena

La situazione, per gli abitanti, è davvero pesante: “La zona sta morendo, nessuno viene più a comprare qui. C’è chi dice che Ikea e Leroy Merlin (che possiedono due grandi centri commerciali in zona Prati, a sud del viadotto crollato) abbiano già comunicato a qualche lavoratore che il suo contratto non verrà rinnovato”, apprendo da alcuni abitanti.

E ancora: “Non c’è nemmeno un ospedale facilmente raggiungibile, le ambulanze hanno grosse difficoltà. Le polveri originate dal crollo del ponte e degli edifici coinvolti stanno creando un problema ambientale e c’è timore per l’amianto. Il viadotto è crollato sopra l’eco-centro dell’Amiu (l’azienda preposta alla raccolta e gestione dei rifiuti a Genova) e nelle isole ecologiche c’è chi abbandona rifiuti ingombranti di ogni tipo, che nessuno, ad oggi, ha portato via”.

Via Valter Fillak, prima del crollo del viadotto era l’arteria principale del traffico della Valpolcevera

È già operativo il ‘Comitato Arancione Certosa’, che ha lanciato una class action per chiedere ad Autostrade per l’Italia il rimborso dei danni subiti dai cittadini. Non solo da chi possiede un’attività commerciale, ma, per esempio, anche da chi ha dovuto rinunciare a ore di lavoro a causa delle difficoltà nello spostarsi.

Attraverso la compilazione di un modulo, ogni cittadino dovrebbe essere in grado di quantificare il danno ricevuto, ma non mancano le polemiche: “Non ho mai visto un’assemblea di cittadini diretta in maniera così poco aperta al dialogo”, mi dice Enrico d’Agostino, presidente del comitato ‘Liberi Cittadini di Certosa’. “E sinceramente mi ha dato molto fastidio il fatto che si sia parlato unicamente di soldi, trascurando problemi come quello ambientale o come quello dell’ospedale”.

Raggiungo via Fillak, il secondo troncone del viadotto appare ancora lontano, ci separa una via fantasma, che mi viene difficile riconoscere come la trafficatissima arteria della viabilità che era fino allo scorso 14 agosto.

“Quel palazzo rientra per metà nella zona rossa e per metà in quella arancione. È stato evacuato a metà”.

Operai dell’Ansaldo raggiungono l’azienda

Alcune persone svoltano a destra, verso il Polcevera: “Sono operai dell’Ansaldo”, mi spiega d’Agostino. “Hanno un permesso speciale per attraversare un ponte nella zona rossa e poter andare a lavorare dall’altra parte del fiume”.

Raggiungo il punto di raccolta degli sfollati, al limite della zona rossa. Qui fino ad alcune settimane fa le persone vivevano e mangiavano ed è ancora attivo il punto di raccolta per le donazioni dei cittadini.

Incontro Giusy Moretti, coordinatrice degli sfollati: “A quasi tutti è stata assegnata una casa”, dice. “Il problema è che per un anno non pagheranno l’affitto, ma poi? Molti di noi hanno lasciato la casa di proprietà e fra un anno si troveranno a pagare un affitto. Ci sentiamo piuttosto tutelati dal piano del sindaco Bucci, che ci ha assicurato che, qualora non ci dovesse essere adeguata collaborazione da parte del governo, andrebbe a Roma a farsi sentire”.

Le chiedo se la fiducia dimostrata ai rappresentanti del governo dalla stragrande maggioranza dei presenti ai funerali delle vittime sia rimasta immutata: “Tempo scaduto”, risponde lapidaria.

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