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Cosa sta succedendo in Libia

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Il 4 settembre è stato raggiunto un accordo per il cessate il fuoco tra la Settima Brigata fedele ad Haftar e le forze del governo di al-Serraj, ma gli ultimi scontri mettono in crisi il fragile equilibrio

Dalla fine di agosto 2018 la capitale della Libia, Tripoli, è teatro di scontri tra milizie che hanno provocato finora 78 morti, tra cui 21 civili, e 313 feriti. Ci sono anche 12 dispersi, mentre 1.825 famiglie risultano sfollate. Libia news

A fronteggiarsi sono, in particolare, le forze fedeli al Governo del premier Fayez al-Sarraj, l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale, e gruppi di combattenti che fanno capo al maresciallo Khalifa Haftar, ex braccio destro del dittatore Gheddafi, che controlla la gran parte della Cirenaica.

Tra le milizie anti-Sarraj un ruolo predominante lo sta esercitando la Settima Brigata, che riunisce tribù un tempo vicine a Gheddafi e ora legate ad Haftar.

Il 2 settembre il premier di Tripoli ha dichiarato lo stato d’emergenza.

Il 4 settembre, su mediazione dell’Onu, è stato raggiunto un accordo di cessate il fuoco, ma la situazione resta molto tesa.

Gli scontri tra le milizie

Il 18 e il 17 settembre sono stati segnalati nuovi pesanti scontri a fuoco nella zona a sud della capitale Tripoli, secondo quanto riferito dal sito Afrigatenews.

Il ministro della Difesa ha definito gli scontri “una grave violazione del cessate il fuoco”.

Il giornale ha riporta le testimonianze di alcuni residenti che hanno assistito agli scontri del 17 settembre e la notizia è stata confermata anche da un membro del Consiglio di Stato, Adel Kermous: “Ci sono diversi tentativi di far saltare la tregua in questa zona, diversi residenti lo hanno segnalato e alcuni sfollati non hanno ancora avuto la possibilità di rientrare nelle proprie case per il timore dei nuovi scontri”.

La tregua raggiunta il 4 settembre sotto l’egida dell’Onu continua quindi ad essere sempre più precaria.

Il rientro dell’ambasciatore Perrone a Roma

“L’ambasciatore italiano in Libia, Giuseppe Perrone, è in Italia da un mese e per il momento ci resterà, per preoccupazioni sulla sua sicurezza e incolumità personale e di quelli che lavorano con lui”.

Il motivo del suo mancato ritorno in Libia, però, non è da ricondurre all’instabilità del paese, bensì “a seguito di un’intervista a una televisione che l’ambasciatore aveva deciso autonomamente di dare in lingua araba”.

L’intervista che avrebbe messo in crisi la sua incolumità è stata data in agosto: Perrone aveva detto che la Libia avrebbe dovuto andare a votare a dicembre ma stabilendo “una base costituzionale entro il 16 settembre”.

La violazione del cessate il fuoco

Nella notte tra l’11 e il 12 settembre il cessate il fuoco è stato violato. Secondo quanto riportato da una fonte citata dal portale al-Wasat, nella notte si sono registrati degli scontri nella zona di al-Kremiah, a Tripoli, in cui si trovano i depositi petroliferi. Non ci sono stati morti né feriti.

Sempre nella notte, alcuni razzi sono caduti nel perimetro dell’aeroporto internazionale di Mitiga, l’unico ancora funzionante a Tripoli, che è stato chiuso per alcune ore.

L’attacco alla sede della compagnia petrolifera nazionale

La mattina del 10 settembre 2018 tre kamikaze si sono fatti esplodere nella sede della compagnia petrolifera di Stato a Tripoli, secondo quanto riferito dall’emittente televisiva libica Al Hadath su Twitter.

Altri sei uomini armati hanno poi attaccato il palazzo che ospita la National Oil Corp nella capitale. La notizia, data da Sky News Arabia, è stata conferma anche dal ministero degli Interni del Governo di accordo nazionale.

Gli assalitori, tutti di origine africana, e due addetti alla sicurezza sono morti negli scontri.

L’attacco mette così fine al cessate il fuoco che era stato raggiunto il 4 settembre e che aveva interrotto gli scontri in corso da settimane a Tripoli.

Gli assalitori si erano barricati nell’edificio con alcuni ostaggi, ma la situazione adesso “è sotto controllo”, secondo quanto riferito dal portavoce della Forza di deterrenza Ahmed Bin Salem. Le forze di sicurezza  infatti stanno sgomberando la sede della compagnia petrolifera, mentre alcuni feriti sono stati trasferiti per ricevere le cure mediche necessarie.

Inizialmente non si avevano notizie sulla sorte del presidente della Noc, Mustafa Sanalla: non si sapeva se l’uomo fosse già dentro la sede della compagnia al momento dell’attacco. In seguito, l’emittente televisiva locale al-Nabaa ha riferito che Sanalla è stato ritrovato sano e salvo ed evacuato dal quartier generale della compagnia petrolifera.

I negoziati tra le parti in lotta

Il governo di al-Sarraj aveva annunciato la formazione di un comitato di crisi per gestire lo stato di emergenza, avvertendo le parti in conflitto che dovranno affrontare le conseguenze se continuano a perseguire i loro obiettivi.

Giovedì 30 agosto l’esecutivo aveva dichiarato di avere raggiunto un accordo per il cessate il fuoco, ma la Settima Brigata, che riunisce tribù vicine all’ex regime di Gheddafi e ora legate al maresciallo Khalifa Haftar, aveva negato la firma di qualsiasi intesa.

Il cessate il fuoco è stato invece raggiunto il 4 settembre, grazie alla mediazione dell’Onu.

La Settima Brigata

La Settima Brigata, che riunisce tribù vicine all’ex regime di Gheddafi e ora legate al maresciallo Khalifa Haftar, si era spostata verso il centro della città fino alla firma del cessate il fuoco.

Il leader della Brigata, Abdel Rahim Al Kani, prima della firma dell’accordo aveva affermato che avrebbe continuato “a combattere fino a quando le milizie armate non lasceranno la capitale e la sicurezza sarà ripristinata”.

Le milizie sono riuscite nei giorni scorsi ad assumere il controllo di alcuni quartieri situati nella zone sud di Tripoli. La Settima Brigata ha in mano anche le strade che conducono verso l’aeroporto, chiuso da giorni a causa dei violenti scontri.

Il governo di Accordo Nazionale della Libia di al-Sarraj, l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale, aveva inviato le forze delle milizie della Forza anti terrorismo di Misurata nella città.

Il bilancio delle vittime

Secondo quanto riferito dalle autorità libiche, il bilancio degli scontri prima dell’attacco del 10 settembre è di 78 morti, tra cui 21 civili, e 313 feriti e 12 dispersi, mentre 1.825 famiglie risultano sfollate.

Nella serata di lunedì 3 settembre Maria Ribeiro, coordinatrice dell’ufficio per gli affari umanitari delle Nazioni Unite in Libia, ha scritto su Twitter che “le vittime civili a Tripoli sono ora 19, comprese donne e bambini”.

L’ambasciata italiana a Tripoli

L’ambasciata italiana a Tripoli continua ad essere aperta, ma una parte del personale che vi lavora e alcuni italiani che lavorano nella città sono stati evacuati. “Siamo pronti ad ogni evenienza, reagiamo in modo flessibile”, spiegano fonti della Farnesina.

Fonti della ministero della Difesa hanno assicurato che i militari italiani nel paese stanno bene e in sicurezza e che nessun problema è riscontrato all’ospedale da campo a Misurata. La ministra Elisabetta Trenta sta seguendo costantemente l’evolversi dei fatti.

Sabato primo settembre, un razzo è stato lanciato contro l’hotel Al Waddan, nel centro di Tripoli, a poche centinaia di metri dalla sede dell’ambasciata d’Italia.

Tre civili sono rimasti feriti, mentre non risulta coinvolto il personale dell’ambasciata italiana. Tuttavia, secondo la stampa locale, il razzo era “diretto contro l’ambasciata italiana a Tripoli”.

Lunedì 3 settembre sono caduti diversi colpi di mortaio e sono avvenuti violenti scontri nella zona di Alhadba Alkhadra, a 6 chilometri dal centro e dell’ambasciata italiana.

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