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“Non voglio arricchirmi con i soldi degli altri”, la replica di uno degli acquirenti dei piani di zona a Roma

Immagine di copertina

Chi ha acquistato un immobile in edilizia agevolata a prezzo di mercato, si ritrova ad essere "proprietario di un immobile che vale meno della metà". Gli avvocati spiegano le ragioni di chi ha comprato casa nei piani di zona

“Mi vedo dipinto come una persona che vuole approfittare della situazione, ma non è assolutamente così”. Dopo l’articolo pubblicato da TPI.it sugli immobili dei piani di zona a Roma, uno degli acquirenti di quelle delle case costruite in edilizia agevolata e in diritto di superficie ha voluto chiarire la sua posizione (qui l’articolo con la posizione dei venditori).

Giovanni Veloce racconta di aver comprato casa per suo figlio nel 2015, proprio dalla signora Anna D’Ambrosio, intervistata da TPI.it. Pochi mesi dopo, il figlio si è trasferito all’estero per lavoro.

“Di questa casa, pagata 550mila euro, io ad oggi non ho disponibilità”, spiega Veloce. “Non posso venderla, perché dovrei farlo al prezzo massimo di cessione, cioè a 195mila euro, oppure affrancarla. Ma non ho intenzione di pagare l’affrancazione: la deve pagare chi ha venduto, è lui che ha fatto un guadagno”.

Il signor Veloce crede che la signora D’Ambrosio gli abbia venduto l’immobile in buona fede. “Non mi ha ingannato, altrimenti sarebbe stata una truffa”, dice.

“Ma dopo i soldi che ho già pagato non posso dover sostenere anche l’affrancazione, che nel mio caso sarebbe 42mila euro, più le tasse e il costo dell’atto dal notaio”.

Al contrario di altri acquirenti, che invece fanno subito causa al venditore per ricevere indietro le somme, Veloce ci tiene a specificare di aver compiuto senza successo quattro tentativi di mediazione con il venditore, per consentirgli di pagare l’affrancazione ed evitare una causa in tribunale.

“Io sono onesto, non voglio arricchirmi con i soldi degli altri”, dice. “Per questo ho chiesto solo la cifra dell’affrancazione, le tasse, la cifra da pagare al notaio e le spese legali che avevo sostenuto, per un totale di 95mila euro. Non ho chiesto la restituzione della differenza del prezzo”.

Il tentativo di mediazione è stato confermato a TPI.it dalla signora D’Ambrosio, che però vuole specificare che la cifra dell’affrancazione non è stata ancora individuata dal comune di Roma.

“Ho pagato io stesso un architetto che ha calcolato la cifra dell’affrancazione, sulla base delle indicazioni fornite appositamente dal comune”, replica Veloce. “Perché le tempistiche del comune sono molto più lunghe”.

Solo dopo il fallimento dei tentativi di mediazione Veloce ha portato in causa il venditore.

“Non posso fare causa per il pagamento dell’affrancazione”, spiega, “in base alla sentenza n° 18135 devo fare causa per l’indebito percepito dal venditore (oltre 350mila euro, ndr) ma se lui è pronto a pagare l’affrancazione e le relative spese la questione si risolve”.

Le ragioni degli acquirenti

Gli avvocati Francesco Vaccaro e Francesco Pastorello, interpellati da TPI.it, chiariscono che “la sentenza della Corte di Cassazione ha ripristinato l’originaria funzione di questi immobili che sono stati costruiti allo scopo di consentire l’accesso alla proprietà immobiliare a prezzi calmierati”.

“Chi, avendo acquistato a prezzo calmierato, ha poi rivenduto a valore di mercato, ha realizzato una speculazione e ha indotto l’acquirente a ritenere di poter successivamente rivendere a prezzo pieno”, sostengono i due legali. “Purtroppo non è così: per poter vendere a prezzo pieno bisogna pagare un’affrancazione che deve essere calcolata dagli uffici del Comune di Roma, attualmente intasati, e che ammonta a diverse decine di migliaia di euro”.

“Chi ha acquistato a prezzo pieno si ritrova ad essere proprietario di un immobile che vale meno della metà e non gli resta che chiedere la restituzione di parte del prezzo pagato, facendo attenzione a non perdere troppo tempo: il diritto alla restituzione si prescrive in 10 anni dall’acquisto”.

Cosa non ha funzionato

L’avvocato Vincenzo Perticaro, che insieme al sindacato Asia Usb ha denunciato nel 2012 per primo lo scandalo degli affitti gonfiati nei piani di zona, aggiunge che secondo lui non si tratta di un problema legislativo ma di violazioni di norme.

“Non è la legge a essere sbagliata”, dice a TPI.it. “C’è una grossa responsabilità, che noi abbiamo denunciato, da parte degli enti preposti al controllo: comune, regione e i notai. I notai avevano l’obbligo di controllare l’immobile e di allegare il prezzo massimo di cessione ed alcuni di loro non lo hanno fatto”.

“Quelle case sono state costruite e finanziate con denaro pubblico ed avevano come finalità l’emergenza abitativa e non certo la speculazione immobiliare da parte di privati. Sfugge a molti che questo lo ribadiva una sentenza delle Sezioni Unite del 12 gennaio 2011 , n. 506. Il tutto era chiaro ed evidente sin dal 2011. Invece tutti erroneamente fanno riferimento alla sentenza del n. 18135 del settembre del 2015 che avrebbe stravolto tutto”, prosegue Perticaro.

“Capisco che in questo caos ci siano dei soggetti venditori che hanno patito il danno”, dice l’avvocato, “ma la legge era chiare e chi ha commesso il danno sono i soggetti deputati al controllo dell’edilizia agevolata che ora per scongiurare le loro responsabilità attribuiscono responsabilità alla norma”.

“Se il comune ha dato il nulla osta alla vendita ed a prezzo di mercato, allora il venditore dovrebbe fare causa al comune ed ai dirigenti che hanno firmato quegli atti , non limitarsi a dire che la legge è incostituzionale. La norma è precisa e lineare. Non c’è niente di incostituzionale, sarebbe incostituzionale la speculazione immobiliare così come diceva già la sentenza della cassazione a Sezioni Unite del 2011″.

Secondo Perticaro, nel 2011 il legislatore non apporta nessuna novità con il sistema delle affrancazioni.

“Nessuno può sostenere di non conoscere i vincoli a cui sono sottoposti gli appartamenti realizzati in edilizia
agevolata”, sostiene, “perché i costruttori hanno stipulato e sottoscritto la convenzione con il Comune di Roma, e viceversa, le Convenzioni sono atti pubblici, rogitate dinanzi a notai, i notai conoscono le suddette Convenzioni, in quanto sono trascritte presso i registri immobiliari della Conservatoria; i primi acquirenti conoscono le Convenzioni in quanto allegate agli atti di compravendita”.

“Le norme parlano chiaro: i prezzi di vendita devono essere calcolati secondo i criteri previsti dalla Convenzione
Ma sono norme che per tanti anni sono state violate nonostante la loro imperatività, sotto lo sguardo dormiente e
forse compiacente delle Pubbliche Amministrazioni”.

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