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“Volevano rimandarmi in Africa, ora do lavoro a quasi 150 italiani”, intervista all’imprenditrice immigrata dell’anno

Immagine di copertina
Marie Terese Mukamitsindo, fondatrice e presidente della cooperativa Karibu.

Marie Terese Mukamitsindo, fondatrice e presidente della cooperativa Karibu, è stata premiata nell'ambito dei MoneyGram Award

Premio imprenditrice immigrata | Marie Terese Mukamitsindo | MoneyGram Award

“Ci sono stati anni in cui non ho dormito. La notte non dormivo, perché lavoravo. Al mattino dovevo fare la spesa, cucinare pranzo e cena per i miei figli e tornare a lavoro. Sono stati anni duri”. Marie Terese Mukamitsindo, che ha ricevuto pochi giorni fa il MoneyGram Award come imprenditrice straniera dell’anno, ricorda il passato senza rimorsi.

“I sacrifici per i figli vanno sempre bene”, dice a TPI.it, che l’ha contattata telefonicamente per un’intervista.

Marie Terese è partita dal Ruanda nel 1994, mentre il paese era piombato nel caos per la guerra e il genocidio, ed è arrivata in Italia nel 1996.

Nell’arco di questi due anni ha girato per vari paesi africani insieme ai suoi figli, finché non è riuscita a ottenere dei documenti falsi da una donna del Kenya.

A quel punto ha preso un aereo insieme a tre dei suoi quattro figli per arrivare in Italia e fare richiesta di asilo politico.

“Quello che mi ha colpito quando sono arrivata è che non c’era un sistema di accoglienza, non c’era nulla per poter chiedere informazioni sulla richiesta di asilo”, racconta Marie Terese. “Io ho fatto richiesta in aeroporto, mi hanno chiusa per una settimana in carcere in aeroporto, insieme a tre dei miei figli, che avevano 17, 8 e 5 anni”.

Marie Terese è stata portata in Questura, dove anziché completare la richiesta di asilo come avrebbero dovuto, i funzionari le hanno dato un foglio di via.

“Non aveva neanche il diritto di farlo, perché prima la Commissione per l’asilo avrebbe dovuto vagliare la mia richiesta”, sottolinea Marie Terese.

Invece lei riceve quel foglio di via, e per due anni rimane formalmente un’irregolare. Tuttavia non si arrende.

Non parlava italiano, ma aveva letto la legge e la traduceva con un vocabolario di francese.

“Sono convinta che nella vita bisogna portare avanti le proprie battaglie”, dice. “Quindi sono andata in Questura a parlare con il dirigente, e parallelamente avevo fatto un ricorso con l’aiuto della Caritas”.

Al dirigente Marie Terese dice: “Quando un medico sbaglia la diagnosi uccide il malato. Mi state uccidendo se non mi permettete di verbalizzare la mia richiesta”.

Quando la Questura si accorge dell’errore fa ripartire la richiesta d’asilo. È il 1997. L’anno successivo la richiesta di protezione internazionale viene accolta.

Nel frattempo, dopo un periodo in un centro di accoglienza che definisce “una tragedia”, Marie Terese si stabilisce a Sezze, in provincia di Latina.

Per mantenere i suoi quattro figli (l’ultimo l’ha raggiunta in un secondo momento) Marie Terese lavora come badante per una signora anziana a Sezze.

“Dormivano da soli a casa”, racconta, “Perché lavoravo dalle 13 alle 7 del mattino”.

L’idea di creare una cooperativa arriva dopo che Marie Terese riesce a far riconoscere in Italia la sua laurea come assistente sociale, il che le ha consentito di iscriversi all’apposito albo.

Quando esce il bando del programma nazionale di asilo, nel 2001, lei si reca dal sindaco di Sezze per chiedere di poter partecipare. Lui accetta e a luglio Marie Terese apre un centro per donne sole con bambini nella città.

La cooperativa fondata da Marie Terese si chiama Karibu e si occupa di accoglienza ai migranti. Ora dà lavoro a 159 persone (assistenti sociali, psicologi, mediatori culturali) di cui 147 italiani.

“Abbiamo quattro SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, ndr) e abbiamo altri progetti sulla formazione dei giovani”, racconta. “Stiamo sensibilizzando i paesi africani per fare in modo che, se i ragazzi tornano nei loro paesi o in paesi vicini, abbiano un rimpatrio dignitoso”.

Quando chiediamo a Marie Terese cosa pensa dell’attuale clima politico usa solo una parola: “un disastro”.

“Si crea una guerra tra poveri. L’Italia sta rischiando di diventare razzista, un paese che non sopporta il diverso”, spiega. “È un clima pesante per chi fa questo lavoro e per i nostri ospiti. Ma dico anche di più: venendo dall’Africa mi sento offesa, come africana, come nera. Non si può continuare a offendere l’Africa e gli africani”, dice.

“Su Facebook ci sono tanti insulti. Alcuni dei ragazzi, i più vulnerabili, hanno anche paura di uscire, perché si sentono odiati. Io sento l’ostilità”.

Niente di paragonabile a quando, alla fine degli anni Novanta, gli abitanti di Sezze che conoscevano Marie Terese si sono impegnati con una raccolta firme per chiedere un permesso di soggiorno per lei. “Era bellissimo vedere che le persone erano pronte ad andare in prima persona a chiedere un documento per me, perché non capivano come mai avessi un figlio di via”.

“Oggi è impossibile che accada qualcosa del genere”, dice. “Normalmente si pensa che il razzismo derivi dall’ignoranza, invece oggi persone che non sembrano ignoranti sono razziste, e questo diventa pericoloso”.

“C’è da far tornare uno spirito di pace”, aggiunge, “Se chi è arrivato qua deve tornare nel suo paese, facciamolo tornare, ma diamogli un know how, che gli consenta di riformulare il suo progetto di vita. L’Africa sta crescendo, bisogna trovare una soluzione adatta a questo momento. Non quella colonialistica, in cui i paesi europei hanno preso tutto. Ora serve uno scambio reciproco, che sia positivo per l’Europa e per l’Africa”.

La cerimonia di premiazione alla presenza dell’ex presidente della Camera Laura Boldrini
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