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ESCLUSIVO: “Ho lavorato sotto copertura negli allevamenti intensivi. Ecco cosa ho visto”

Immagine di copertina
Credit: MARCO BERTORELLO

Cuccioli di maiale strappati alle madri, maltrattati e abbandonati a morire. Un investigatore che lavora sotto copertura negli allevamenti intensivi racconta quello che ha visto con i suoi occhi

Angelo è il nome di fantasia che abbiamo dato a un investigatore sotto copertura dell’associazione Animal Equality Italia, che si batte per i diritti degli animali.

S&D

Lo abbiamo incontrato nella nostra redazione un pomeriggio di fine maggio, dopo che ha deciso di raccontare in esclusiva a TPI quello che ha visto con i suoi occhi negli allevamenti intensivi in cui ha lavorato.

Non può dirci il suo vero nome, né mostrarci il suo volto, perché altrimenti la sua copertura salterebbe. Può raccontarci, però, quello che ha visto.

ATTENZIONE: il video contiene alcune selezionate immagini girate negli allevamenti, che per alcuni utenti potrebbero risultare forti

Con una telecamera nascosta, Angelo ha filmato alcuni dei video pubblicati da Animal Equality Italia nelle sue inchieste sugli allevamenti intensivi del nostro paese, dove ogni anno vengono allevati tra atroci sofferenze oltre 10 milioni di maiali.

Questi animali nascono dalle madri inseminate artificialmente all’interno dei capannoni degli allevamenti, e terminano sui ganci dei macelli: un’altra terribile fase della vita di questi animali che l’associazione ha documentato in passato.

Angelo ha filmato quel che accade dentro gli allevamenti e lo ha fatto a suo rischio e pericolo. A TPI ha raccontato del giorno in cui una scrofa di 150 chili gli è caduta su un piede, o di quello in cui si è iniettato un vaccino nel polso (e per fortuna era uno di quelli innocui per gli esseri umani), ma anche delle piaghe sulle mani dopo nove ore a spalare letame.

Sono rischi normali per chi lavora negli allevamenti. “Anche queste persone sono vittime del sistema, non hanno avuto scelta”, sottolinea Angelo, “Però non li giustifico, molti di loro sono frustrati e sfogano la loro frustrazione sugli animali”.

Quello che non si vede nei video girati da Angelo, che Animal Equality ha fornito a TPI, si vede nei suoi occhi.

Dentro gli allevamenti ha visto scene che paragona alla guerra: c’è sangue, sporcizia, e un odore nauseabondo che, soprattutto i primi giorni, gli si attaccava addosso e gli impediva persino di mangiare.

L’investigatore di Animal Equality racconta soprattutto alcuni episodi che gli sono rimasti impressi nella mente. Ricorda quando ha visto un cucciolo di maiale abbandonato alla morte in un corridoio, perché le cure necessarie alla sua sopravvivenza sarebbero state troppo costose per l’allevatore.

Racconta anche di quando una scrofa si è messa a “ruggire” mentre lui e altri le strappavano i cuccioli dalle mammelle per mandarli all’ingrasso.

Parla anche degli effetti che ha avuto su di lui lavorare negli allevamenti: le scene che aveva visto a lavoro gli si presentavano la sera, prima di dormire, o la notte. A un certo punto aveva anche “allucinazioni sonore” quando, ad esempio, le grida dei bambini che giocavano tra loro diventavano per lui gli strilli dei cuccioli di maiale maltrattati.

Perché sottoporsi a tutto questo?

“In Italia grazie alle nostre investigazioni siamo riusciti a convincere vari appartenenti alla grande distribuzione organizzata a non rifornirsi più dagli allevamenti in cui le galline erano allevate in gabbia”, spiega Matteo Cupi, direttore esecutivo di Animal Equality.

“Cambiare questo sistema in maniera radicale è veramente difficile”, dice Angelo. “Siamo noi investigatori, e poche altre persone, gli unici anelli di quella catena che possono spezzarla, perché ne facciamo parte dall’interno”.

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