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Home » Cultura

La poesia in cui Rudyard Kipling spiegava al figlio come affrontare la vita

Immagine di copertina

Nel 1895 il poeta Joseph Rudyard Kipling scrisse la poesia titolata "Se" al figlio per dargli consigli su come diventare un vero uomo forte da affrontare le avversità della vita

Joseph Rudyard Kipling, nato a Bombay, in India nel 1865 e morto a Londra nel 1936, è stato uno degli scrittori e poeti più apprezzati del ventesimo secolo per la sua capacità di raccontare attraverso uno stile semplice e diretto e per la sua capacità di influenzare e coinvolgere i lettori più giovani.

S&D

Premio Nobel per la letteratura nel 1907 per la celebre raccolta di racconti “Il libro della giungla” del 1894 a soli 41 anni, Kipling nel 1895 scrisse la poesia titolata “Se”, contenuta nel libro “Rewards and Fairies” indirizzata al figlio John che morì al fronte durante la Prima Guerra Mondiale per dargli consigli su come diventare un vero uomo, abbastanza forte da potere affrontare le avversità della vita.

I versi in questione erano apprezzati anche dal giornalista Indro Montanelli che ne scrisse una traduzione, come fece tempo prima nel 1916 anche Antonio Gramsci, dove nella rubrica “Sotto la Mole” che teneva su L’Avanti, lo storico giornale del Partito Socialista Italiano (PSI), pubblicò la traduzione dei versi di Kipling con il titolo “Se – Breviario per laici”.

Tra le opere più famose dello scrittore britannico: “Il libro della giungla” (The Jungle Book, 1894), i romanzi “Kim” (1901), “Capitani coraggiosi” (1897), le poesie “Gunga Din2 (1892), “Se2 (If, 1895) e “Il fardello dell’uomo bianco” (The White Man’s Burden, 1899).

Ecco le parole in versi, valide ancora oggi, che Kipling ha dedicato al figlio: una serie di consigli su come comportarsi per affrontare al meglio la vita e diventare un vero uomo

Se saprai mantenere la testa quando tutti intorno a te la perdono, e te ne fanno colpa.
Se saprai avere fiducia in te stesso quando tutti ne dubitano, tenendo però considerazione anche del loro dubbio.
Se saprai aspettare senza stancarti di aspettare,
O essendo calunniato, non rispondere con calunnia,
O essendo odiato, non dare spazio all’odio,
Senza tuttavia sembrare troppo buono, né parlare troppo saggio;

Se saprai sognare, senza fare del sogno il tuo padrone;
Se saprai pensare, senza fare del pensiero il tuo scopo,
Se saprai confrontarti con Trionfo e Rovina e trattare allo stesso modo questi due impostori.
Se riuscirai a sopportare di sentire le verità che hai detto distorta dai furfanti per abbindolare gli sciocchi,
O a guardare le cose per le quali hai dato la vita, distrutte, e piegarti a ricostruirle con i tuoi logori arnesi.

Se saprai fare un solo mucchio di tutte le tue fortune e rischiarlo in un unico lancio a testa e croce,
E perdere, e ricominciare di nuovo dal principio senza mai far parola della tua perdita.
Se saprai serrare il tuo cuore, tendini e nervi nel servire il tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,
E a tenere duro quando in te non c’è più nulla se non la Volontà che dice loro: “Tenete duro!”

Se saprai parlare alle folle senza perdere la tua virtù,
O passeggiare con i Re, rimanendo te stesso,
Se né i nemici né gli amici più cari potranno ferirti,
Se per te ogni persona conterà, ma nessuno troppo.
Se saprai riempire ogni inesorabile minuto dando valore ad ognuno dei sessanta secondi,
Tua sarà la Terra e tutto ciò che è in essa,
E — quel che più conta — sarai un Uomo, figlio mio!

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