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Home » Esteri

Siria, la Russia accusa i ribelli di usare armi chimiche

Immagine di copertina
Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov / AFP PHOTO / Kirill KUDRYAVTSEV

Secondo il ministro Lavrov, gli insorti stanno progettando provocazioni che possano fornire un pretesto alla coalizione internazionale per ricorrere alla forza contro Damasco

La Russia accusa i ribelli siriani di progettare provocazioni con l’uso di armi chimiche per fornire alla coalizione internazionale, guidata dagli Stati Uniti, un pretesto per ricorrere alla forza contro la capitale del governo siriano, Damasco.

S&D

Lo ha detto il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov oggi, mercoledì 14 marzo 2018, in una conferenza stampa con il suo omologo turco, Mevlüt Cavusoglu.

“Provocazioni che prevedono l’uso di armi chimiche sono in preparazione, anche nella Ghouta orientale“, ha dichiarato Lavrov, riferendosi all’enclave ribelle alle porte di Damasco, assediata da circa un mese dal regime siriano.

Secondo Mosca, questa “messa in scena” di un attacco chimico sarà “un pretesto per la coalizione (guidata da Washington) per usare la forza, anche contro la capitale siriana”.

“Non c’è motivo di dubitare che almeno alcune persone nei centri dirigenziali degli Stati Uniti cerchino di assicurare la loro presenza a lungo termine, se non per sempre, in Siria e puntino a contribuire al collasso dello stato siriano”, ha detto il capo della diplomazia russa.

Lavrov ha fatto esplicito riferimento alla presenza delle truppe americane sulla sponda orientale del fiume Eufrate e nella Siria orientale.

Ieri, martedì 13 marzo 218, il capo dello Stato maggiore delle forze armate russe, Valery Gerasimov, ha affermato di possedere “informazioni affidabili riguardanti il progetto dei ribelli siriani di mettere in scena un attacco chimico da parte delle truppe governative contro la popolazione civile”.

“Nel caso in cui ci sia una minaccia per le vite dei nostri militari, la Forza armata russa prenderà misure di ritorsione”, ha aggiunto il generale Gerasimov.

Il giorno prima, lunedì 12 marzo 2018, gli Stati Uniti avevano presentato una nuova risoluzione alle Nazioni Unite per un immediato cessate il fuoco in Siria.

L’ambasciatrice statunitense presso l’Onu, Nikki Haley, aveva denunciato l’atteggiamento della Russia e del governo di Damasco, che “non hanno mai avuto intenzione di applicare una tregua” e aveva avvertito che Washington è “pronta ad agire, se necessario”.

Secondo Haley, “quando la comunità internazionale non riesce ad agire, ci sono momenti in cui gli Stati sono costretti a farlo”.

Le tensioni internazionali si stanno concentrando in particolare sull’enclave ribella della Ghouta orientale, dove vivono circa 400mila abitanti, alle prese con gravi carenze di cibo e medicine.

L’area alle porte di Damasco da circa un mese è bersaglio di una potente offensiva da parte del regime siriano.

Il 24 febbraio 2018 il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato all’unanimità una risoluzione che prevedeva una tregua di 30 giorni del conflitto siriano, inclusa l’enclave della Ghouta.

Tuttavia il cessate il fuoco non è stato di fatto mai applicato e i combattimenti sono proseguiti. Nelle ultime due settimane, nella Ghouta orientale, i bombardamenti hanno provocato la morte di oltre mille civili.

Altro fronte caldo in Siria è quello di Afrin, nel nord-est del paese.

La città, controllata dalle milizie curde dell’Unità di protezione del popolo (Ypg), è l’obiettivo principale dell’offensiva di Ankara in Siria, lanciata il 20 gennaio scorso sotto il nome di operazione “ramoscello  d’ulivo”, che punta a sottrarre al controllo curdo i territori settentrionali della Siria, ossia quelli più vicini al confine meridionale della Turchia.

Ieri, martedì 13 marzo 2018, l’esercito di Ankara ha dichiarato che la città è circondata.

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