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Home » Esteri

Brexit, l’Ue apre al Regno Unito ma senza fare sconti

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Credit: Daniel LEAL-OLIVAS

L'uscita del Regno Unito dall’Unione europea lascia poche alternative a Bruxelles, che punta a salvaguardare il suo mercato interno

Maurizio Carta, inviato a Londra – Se la prima parte delle trattative conclusasi a dicembre appare ormai lontana, ci si aspetta che entri nel vivo la seconda, quella in cui si discuteranno in maniera più dettagliata i termini del ritiro del Regno Unito dall’Unione europea, il possibile periodo di transizione post- Brexit e si inizierà a delineare un quadro all’interno del quale partiranno i negoziati sulle future relazioni fra le due entità in futuro.

Da parte dell’Unione europea, appare chiaro che la voglia di concedere sconti e agevolazioni troppo generose è stata messa in soffitta – per non dire rottamata – già da tempo. L’Ue lo ha ripetuto più volte per bocca dei suoi pesi massimi.

E lo hanno rimarcato anche il Presidente della Commissione europea Juncker, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e da ultimo Guy Verhofstadt, ex premier belga incaricato alla Brexit per il Parlamento europeo che ha potere di veto sull’eventuale patto d’uscita.

Di una chiarezza cristallina è stato Michel Barnier, terminale della squadra europea per parte Brexit, quello che siede al tavolo di fronte alla sua controparte britannica David Davis.

L’Unione europea ha di recente mostrato quanto, in sede di trattative, sia sempre poco disposta a lasciare troppo terreno sul campo al contraente. Sarebbe ingiusto fare un parallelo con la vicenda della Grecia qualche anno fa per le differenze abissali fra i due paesi sotto tutti gli aspetti, ma concede sicuramente uno spunto di riflessione su come Bruxelles operi nei tavoli negoziali.

Sarebbe inoltre non leale presentare all’opinione pubblica un quadro in cui fuori dall’Unione europea non ci sia vita e chi ne esce sarebbe destinato alla rovina.

Le cose non stanno certo in questo modo, ma è corretto allo stesso tempo rimarcare il fatto che, nonostante il mondo sia sempre più globalizzato e con un click si possa virtualmente arrivare dall’altra parte del pianeta, bisogna ancora tenere presente che il mondo ha sempre funzionato per sfere d’influenza.

Nel commercio in primis, appare logico avere accordi commerciali con partner che sono geograficamente vicini, piaccia o no. Al netto delle politiche di Trump, stanno in un’area di libero scambio il Canada con il Messico e gli Stati Uniti, anche se questi ultimi vorrebbero rivedere diversi aspetti. La recente politica sulle tariffe fa scuola in materia.

Stanno in un vasto accordo i paesi sudamericani con il Mercosur, oltre a tutti i relativi accordi di associazione che hanno con i vicini che non ne sono membri  sempre nell’ America latina.

Stanno nello stesso blocco commerciale i paesi europei, dai quali però il Regno Unito vuole uscire per agire da “battitore libero” nell’oceano del commercio mondiale. Allo stesso tempo però, da Bruxelles escludono a priori che con l’Ue si possa avere lo stesso trattamento di comodo fra l’essere un paese “estraneo” e l’essere membro.

Nei suo discorsi di Lancaster, Firenze e da ultimo al Mansion House di Londra, la premier Theresa May ha ribadito la volontà di rispettare l’esito del referendum e di volere uscire inoltre sia dall’unione doganale che dal mercato unico. Simultaneamente però punta ad un accordo che garantisca il commercio libero e l’assenza di controlli alle frontiere per le merci, con i vicini irlandesi che tirerebbero un forte sospiro di sollievo. In poche parole, Londra vorrebbe le frontiere da gestire per i cittadini ma aperte per l’economia.

Inoltre, come dichiarato dal recente discorso del ministro dell’Economia Philip Hammond, si punta a tenere il libero accesso per i servizi (settore bancario e finanziario su tutti, il vero fiore all’occhiello dell’economia d’oltremanica).

L’Unione ha già detto no, e lo ha fatto con fermezza. Nessun trattato che l’Ue ha con paesi terzi consente l’accesso libero al settore dei servizi. Londra non sarà un eccezzione.

La stella polare dei paesi del blocco, con Francia e Germania in testa, è che l’accordo con l’Unione europea non dev’essere vantaggioso quanto il farne parte. Sarebbe deleterio per la stabilità, la concorrenza interna e politicamente dannoso, magari diventando invitante per qualche paese membro a seguire la pista britannica e abbandonare l’Unione scegliendone solo le sue parti migliori, cogliendo le rose senza includere le spine.

Il 22 e 23 Marzo ci sarà il Consiglio europeo, dove i restanti 27 membri firmeranno le linee guida per i negoziati a cui Michel Barnier dovrà attenersi. L’Unione europea, considerando le decisoni di Londra, sembra intenzionata a offrire per il futuro un accordo di libero scambio simile a quello che ha con il Canada, Sud Corea e Giappone, che ovviamente tiene  fuori il settore dei servizi e contiene dei paletti per la salvaguardia del settore agricolo europeo, dove impiega quasi il 40% del suo budget.

In tutte le trattative solitamente parte avantaggiato chi presenta per primo una bozza di contratto, perchè è su quello che si discute e si plasma l’accordo finale. Il Regno Unito una sua versione di trattato non ce l’ha.  Non ce l’ha perchè non è unanime il pensiero all’interno dell stesso governo, nel parlamento, nel partito conservatore, nelle nazioni decentrate e nell’opinione pubblica.

Una bozza di accordo, invece,  l’Ue l’ha già redatta, 120 pagine in cui la soluzione al divorzio sarebbe un nuovo matrimonio depotenziato, con lo stesso partner che una volta era coniuge. Il tutto da concludere entro Ottobre 2018 per dare il tempo agli stati membri di ratificarlo al loro interno entro la fatidica data del 29 Marzo 2019.

Visto l’intreccio legislativo, politico e commerciale che il Regno Unito e l’Unione europea hanno tessuto insieme negli ultimi 40 anni, Pascal Lamy,  uno che di commercio mondiale se ne intende essendo l’ ex numero uno dell’Organizzazione mondiale del commercio, ha detto che “rimuovere il Regno Unito dall’Ue è difficile tanto quanto estrarre un uovo dall’omelette”.

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