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Il monologo contro il razzismo di Favino al Festival di Sanremo 2018

Immagine di copertina

Pierfrancesco Favino conquista il pubblico del Festival della canzone italiana interpretando il monologo contro il razzismo "La notte poco prima delle foreste" Bernard-Marie Koltès di

La sessantottesima edizione del Festival di Sanremo si è conclusa con la vittoria del duo Ermal Meta e Fabrizio Moro con la canzone Non mi avete fatto niente. Ma ieri sera il vero protagonista della finale è stato l’attore conduttore Pierfrancesco Favino con la sua interpretazione del monologo “La notte poco prima delle foreste”, l’atto unico del drammaturgo francese Bernard-Marie Koltès del 1977.

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Lo stesso giorno del corteo antirazzista di Macerata, che ha riunito manifestanti da tutta Italia una settimana dopo il raid contro gli immigrati, Favino porta sul palco dell’Ariston un drammatico assolo con un tema politico e attuale contro il razzismo.

L’attore interpreta un uomo, uno straniero, che con un crescendo emotivo, dà libero sfogo alla sofferenza e alle difficoltà a cui deve far fronte un immigrato. Il personaggio si sente incompreso, non voluto e “sempre più straniero” in un paese dove ti accolgono dicendo “Ti dobbiamo mandare via”.

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La scena è vuota, al buio, c’è soltanto Favino sul palco seduto su una sedia. La scelta è intenzionale per rappresentare al meglio la solitudine e l’esclusione che prova il protagonista del brano e l’interpretazione risulta vincente senza il bisogno di aggiungere sovrastrutture materiali ed espressive.

Il dolore è palpabile, la voce è spezzata e gli occhi faticano a trattenere le lacrime dello sfogo: “voglio poter urlare anche se poi mi sparano addosso”.

Pierfarancesco Favino ha riproposto il brano che ha già avuto occasione di recitare al teatro Ambra Jovinelli a Roma, ma nella serata nazionalpopolare cattura e conquista un pubblico molto più ampio.

Dopo la toccante interpretazione dell’attore Fiorella Mannoia e Claudio Baglioni si riprendono la scena e, ricollegandosi al tema, hanno cantato “Mio fratello che guardi il mondo” di Ivano Fossati.

Il video

Il testo del monologo “La notte poco prima delle foreste”

Bisognerebbe stare dall’altra parte senza nessuno intorno, amico mio
quando mi viene di dirti quello che ti devo dire, stare bene tipo sdraiati sull’erba, una cosa così
che uno non si deve più muovere con l’ombra degli alberi.
Allora ti direi: ‘qua ci sto bene, qua è casa mia, mi sdraio e ti saluto’.
Ma qua, amico mio, è impossibile, mai visto un posto dove ti lasciano in pace e ti salutano.
Ti dobbiamo mandare via, ti dicono, vai là, tu vai là
vai laggiù, leva il culo da là
e tu ti fai la valigia, il lavoro sta da un’altra parte,
sempre da un’altra parte che te lo devi andare a cercare,
non c’è il tempo per sdraiarsi e per lasciarsi andare, non c’è
il tempo per spiegarsi e dirsi ‘ti saluto’.
A calci in culo ti manderebbero via, il lavoro sta là, sempre più lontano, fino in Nicaragua.
Se vuoi lavorare, ti devi spostare, mai che puoi dire ‘questa è casa mia e ti saluto’
tanto che io quando lascio un posto ho sempre l’impressione che quello sarà casa mia,
sempre di più di quello in cui vado a stare.
Quando ti prendono a calci in culo di nuovo, tu te ne vai di nuovo
là dove te ne vai sei sempre più straniero, sempre meno a casa tua.
E quando ti prendono a calci in culo, tu te ne vai di nuovo
quando ti giri a guardarti indietro, amico, è sempre il deserto.
Fermiamoci una buona volta e diciamo ‘Andate a fanculo’
io non mi sposto più, voi mi dovete stare a sentire
se ci sdraiamo una buona volta sull’erba e ci prendiamo tutto il tempo
che tu racconti la tua storia, quelli venuti dal Nicaragua
che ci diciamo che siamo tutti, più o meno stranieri
ma che adesso basta, stiamo a sentire, tranquilli, tutto quello che ci dobbiamo dire
allora sì che capisci che a loro non gliene frega un cazzo di noi.
Io mi sono fermato, ho ascoltato, mi sono detto: ‘Io non lavoro più’
finché non ve ne frega un cazzo di me.
A che serve che quello del Nicaragua viene fino qua e che io vado a finire laggiù
se da tutte le parti la stessa storia.
Quando ho lavorato ancora, ho parlato a tutti quelli presi a calci in culo che sbarcano qua
per trovare lavoro e loro mi sono stati a sentire.
Io sono stato a sentire quelli del Nicaragua che mi hanno spiegato com’è da loro
Laggiù c’è un vecchio generale, che sta tutto il giorno e tutta la notta al bordo di una foresta
gli portano da mangiare perché non si deve spostare
che spara su tutto quello che si muove
gli portano le munizioni quando non ce ne ha più.
Mi parlavano di un generale coi suoi soldati che circondano la foresta
tutto quello che si muove diventa un bersaglio
tutto quello che compare al bordo della foresta
tutto quello che notano che non c’ha lo stesso colore degli alberi
e che non si muove allo stesso modo
Io sono stato a sentire tutto questo e mi sono detto che da tutte le parti è la stessa cosa
più mi faccio prendere a calci in culo e più sarò straniero
loro finiscono qua e io finirò laggiù
laggiù dove tutto quello che si muove sta nascosto nelle montagne
Io ho ascoltato tutto questo e mi sono detto: “Io non mi muovo più, se non c’è lavoro non lavoro
se il lavoro mi deve far diventare matto e mi devono prendere a calci in culo, io non lavoro più
Io voglio sdraiarmi, una buona volta, voglio spiegarmi, voglio l’erba
l’ombra degli alberi, voglio urlare, voglio poter urlare, anche se poi mi sparano addosso.
Tanto è quello che fanno. Se non sei d’accordo, se apri la bocca,
ti devi nascondere in fondo alla foresta. Ma allora meglio così
almeno ti avrò detto quello che ti devo dire.

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