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Vi spiego perché l’idea che la cittadinanza sia una questione di sangue non ha nessuna logica

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Saif Raja spiega a TPI perché la cittadinanza di un paese dovrebbe basarsi su criteri come la lingua, la compatibilità con i valori e le norme condivisi, l'inclusione socio-culturale, e non ha nulla a che vedere con la "purezza del sangue"

Sono arrivato in Italia dal Pakistan quando avevo undici anni, ma il mio viaggio per venire qui, in qualche modo, è iniziato un paio di anni prima: mia madre e i miei fratelli si sono trasferiti prima di me – vi è dietro una lunga storia burocratica, noiosa e poco interessante, su cui non mi fermo; a nove anni, cominciai a pensare a come sarebbe stato trasferirmi in un paese totalmente diverso dal mio, iniziai ad assaporare il cibo italiano nella mia mente, ad immaginare il diverso modo di vestirsi, di vivere e così via.

S&D

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Uno dei miei primissimi ricordi, legati all’Italia, è aver conosciuto una ragazza. Ero imbarazzato, traumatizzato, agitato e nervoso: non ero abituato a parlare con le ragazze della mia età, soprattutto perché in Pakistan, a scuola, le classi non sono miste. Ora, quella ragazza è una delle presenze più significative nella mia vita, un pilastro fisso. 

Prima ancora che me ne accorgessi, l’Italia mi aveva già adottato: parlavo con le ragazze tranquillamente. Avevo interiorizzato un aspetto culturale, senza nemmeno rendermene conto. Sono nato in un paese in cui il solo pensiero della non esistenza di Dio è condannato, in cui non c’è lo spazio per la laicità.

Un paese, una cultura in cui non si discute se Dio esista oppure no. Esiste, punto. Oggi, a ventitré anni, non ho nessun problema a discutere sulla eventuale non esistenza di Dio. Ho interiorizzato un altro aspetto culturale del paese che mi ha accolto; questa volta, però, ne sono pienamente consapevole. 

In questo periodo, leggo moltissimi commenti a favore e contro lo ius soli e mi sono chiesto se io sia italiano o pakistano. Prima di arrivare alla risposta, bisogna capire effettivamente cosa sia un paese? Che relazione c’è fra un paese, la sua cultura e il suo popolo? Sono indipendenti fra di loro? Assolutamente, no.

Un paese non esiste se non grazie alla sua storia e alla sua cultura. È la storia che costruisce la memoria collettiva di ciascun paese, e quest’ultima, a sua volta, influenza ampiamente la memoria individuale di ogni suo abitante. La cultura, che è in continuo mutamento perché il popolo è in continuo cambiamento, è l’insieme delle norme, delle tradizioni, dei valori condivisi dagli abitanti di un paese. Quindi: cosa serve avere per essere totalmente italiani?

Questa è una domanda le cui risposte possono essere tante, senza, però, arrivare ad un’effettiva conclusione. Ad esempio: molte volte, sento alcune persone dire che per essere italiani bisogna essere nati in Italia, da genitori italiani. Conta, perciò, il sangue puramente italiano.

Ora, al di là della assurdità di questo concetto – perché il voler creare una stirpe pura, sotto ogni aspetto, è una ideologia comprensibile solo se siamo personaggi di un qualche romanzo fantasy, Voldemort, ad esempio – nella realtà dei fatti, nella quotidianità, questa fantasia malata è insensata: non esiste il sangue italiano puro, almeno per due motivi:

– Il sangue degli italiani non ha caratteristiche biologiche diverse dal sangue dei francesi, dei tedeschi, dei marocchini, degli americani 

– L’Italia, come la maggior parte dei paesi del mondo, è stata teatro di spettacoli diversi: barbari, arabi, tedeschi, per citarne alcuni, sono passati per la penisola italiana, influenzando il paese non solo culturalmente ma anche geneticamente: la storia è piena di donne schiave che venivano violentate e che, in seguito, rimanevano incinte. Quindi, il voler basarsi su criteri genetici per un eventuale titolo di appartenenza ad un paese è semplicemente illogico. 

La cittadinanza di un paese deve avere caratteristiche logicamente concrete: possono essere la lingua, la compatibilità con i valori e le norme condivisi, l’inclusione socio-culturale, per esempio. Caratteristiche che i bambini nati in Italia, da genitori stranieri, assimilano senza nessuna fatica ed inconsciamente, così come qualsiasi bambino nato da due genitori italiani. Un piccolo esempio è l’accento che si sente nel parlato di questi bambini: è il tipico della loro regione di provenienza.

Occupandomi di bambini e della loro educazione, ne ho incontrato diversi, nati in Italia ma da genitori stranieri, che hanno un marcato accento veneto, ad esempio, perché sono nati in quella regione.

Io stesso, avendo sempre vissuto a Belluno, ho l’accento bellunese. Spesso, con i miei amici, parlo in dialetto. Ecco: io, loro, noi, che siamo nati o cresciuti qui, in Italia, abbiamo assunto una caratteristica qualitativa di questo paese. E, a mio avviso, la cittadinanza si deve basare proprio su questi aspetti di tipo qualitativo. 

Un’ultima nota, di cui spesso ci dimentichiamo, è che i paesi e i confini esistono perché è stato l’uomo stesso a tracciarli.

In natura, esiste la terra, esiste il mondo, non il Pakistan, non l’Italia tantomeno qualsiasi altro paese: questi esistono perché noi esseri umani ci siamo messi d’accordo e ci siamo detti: questo è mio, quello è tuo. Quando di mio, di tuo o di suo non c’è niente. È semplicemente tutto nostro.

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