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Home » Esteri

La star siriana perseguitata dal regime di Assad che ora recita a Hollywood

Immagine di copertina
Jay Abdo è nato nel 1962 a Damasco, in Siria

Era una delle star più famose del Medio Oriente. Ma da quando ha criticato il presidente siriano Assad, la sua vita è cambiata

Prima di fuggire da Damasco, in Siria, Jay Abdo non poteva immaginare che sarebbe diventato un’altra volta un rifugiato.

Lo era già stato nel 1967, quando con i suoi genitori era scappato dalle alture del Golan dopo l’arrivo dell’esercito israeliano durante la Guerra dei sei giorni. Né si sarebbe immaginato che, dopo aver toccato il fondo, avrebbe recitato al fianco di Tom Hanks e Nicole Kidman.

“Ieri quando l’ho incontrata agli Oscar mi ha detto: ‘Oh, ecco la mia guida!’”, racconta a TPI via Skype dalla sua casa luminosa di Los Angeles, dove oggi vive insieme alla moglie Fadia.

Jay sorride mentre parla. Ha ancora lo sguardo di chi si stupisce delle piccole cose, anche se prima di rialzarsi e recitare di nuovo di fronte a una telecamera ha percorso migliaia di chilometri, perdendo tutti i privilegi di cui aveva goduto per anni. Ricominciando da zero e cambiando persino il suo nome, Jihad.

“Quando sono arrivato negli Stati Uniti ho capito che se volevo avere un futuro dovevo cambiare nome. Quando mi presentavo la gente rimaneva esterrefatta e mi chiedeva se credvo nella jihad”, dice con un velo di ironia. “E pensare che mi chiamo cosi perché mia mamma non voleva darmi un nome religioso e ha scelto quello di uno dei suoi migliori amici, Jihad, un avvocato siriano e cristiano”. 

Nel 2011, prima di scappare da Damasco, dove è nato e cresciuto, Jay era uno degli attori più famosi di tutto il Medio Oriente. Aveva recitato in 43 film, una trentina di spettacoli teatrali e più di mille episodi di serie tv, tra cui Bab al Hara, una produzione siriana che dal 2006 intratteneva cinquanta milioni di telespettatori durante i mesi del Ramadan. Un vero e proprio fenomeno culturale che andava dal Marocco alla Striscia di Gaza, dall’Egitto all’Oman.

“Avevo una bella vita, mi conoscevano tutti”, racconta Jay. “Per anni non avevo fatto altro che andare sempre più in alto e costruire un impero”.

Una carriera nata per caso

La carriera da attore di Abdo era arrivata per caso, mentre studiava ingegneria in Romania, come molti dei giovani arabi che negli anni Ottanta volevano oltrepassare i confini nazionali.

Durante una festa universitaria si era improvvisato attore e il preside della facoltà, dopo averlo visto, gli aveva detto: “Adesso tu ti laurei, ma quando hai finito torni in Siria e fai la scuola di recitazione. Di ingegneri ce ne possono essere mille nel mondo, ma di attori no”.

Jay racconta di aver seguito alla lettera questi consigli, laureandosi all’accademia di Damasco con una tesi su Dario Fo.

Durante le Primavere Arabe, mentre le proteste di piazza iniziarono a far vacillare i governi del Nord Africa e del Golfo, Abdo stava recitando nella soap opera Wilada min al-Khasira, nel ruolo di un dottore che aveva scoperto le torture del mukhabarat, i servizi segreti di Assad.

Per decenni, la Siria è stata una vera e propria industria cinematografica famosa per produrre serie tv dai temi controversi come la corruzione, il terrorismo o le questioni di genere. Tanto dal conferire un’aurea di tolleranza al regime che dal 2011 non ha risparmiato nessuno. Compreso Abdo.

“Quando è iniziata la rivoluzione credevo che le cose sarebbero cambiate, che sarebbe nata una democrazia”, continua Abdo. “Ma mi sbagliavo, e se devo essere sincero avevo molta paura. Da subito ho iniziato a ricevere le chiamate dal sindacato degli artisti, dai grandi produttori, dalle televisioni. Mi dicevano di andare in piazza per sostenere Assad, ma io posticipavo sempre. In Siria non puoi dire di no e per essere famoso devi sostenere il regime. Non è un fatto di religione, ma di lealtà”.

Poco dopo la polizia ha iniziato a incarcerare e reprimere gli artisti. Come l’attore Zaki Kordillo, che è stato arrestato insieme al figlio e che, da quel momento, è scomparso. O Ali Ferzat, uno dei vignettisti più famosi del paese, che è stato picchiato nel suo atelier mentre lavorava.

Poi ad agosto è arrivato il turno di Jay, dopo aver fatto una mossa sbagliata.

Abdo era a Beirut per mandare soldi a sua moglie, che nel frattempo aveva vinto una borsa di ricerca Fulbright negli Stati Uniti. Lì aveva incontrato Ellen Knickmeyer, una giornalista del Los Angeles Times che voleva avere qualche notizia sulla Siria. “Le dissi subito che non potevo parlare apertamente, ma mi rispose di non preoccuparmi e spense il registratore”, racconta Jay. “A quel punto io raccontai tutto quello che avevo visto”.

La fuga dalla Siria

Il giorno dopo, il Los Angeles Times ha pubblicato un articolo che cominciava così: “Ogni notte, mentre le truppe siriane e i carri armati assaltano i manifestanti, un uomo siriano che si chiama Jihad Abdo accusa apertamente le forze di sicurezza di corruzione e tortura”.

Tornato a Damasco, Jay ha iniziato a essere minacciato. Gli dicevano che doveva andare in televisione per chiedere scusa e glorificare il presidente e, qualche giorno dopo, gli ruppero il finestrino della macchina sotto casa, in uno dei quartieri più ricchi della città.

“Nonostante cercassi di convincermi che ero una star e che ero intoccabile, avevo veramente paura”, dice l’attore. “E a quel punto mia moglie Fadia mi ha detto di raggiungerla”. In quel momento l’ambasciata di Damasco era chiusa e Abdo non riusciva ad avere il visto per partire.

Così Fadia è andata all’ufficio della Fulbright, dove disse che se non avessero fatto aprire l’ambasciata sarebbe partita per la Siria. Che il suo nome era su tutte le liste della polizia di frontiera e che se appena fosse arrivata, sarebbe stata torturata.

“Il giorno dopo mi hanno chiamato dall’ambasciata e mi hanno detto di recarmi lì portando il passaporto in una busta chiusa”, dice Jay. “Poi sono salito su un aereo, con un po’ di soldi, qualche vestito e qualche dipinto di mia moglie. Credevo di tornare dopo un paio di mesi. Era il 9 ottobre 2011″.

Arrivato a Minneapolis, in Minnesota, Abdo ha subito iniziato a far comizi per raccontare cosa stava succedendo in Siria. Poco dopo ha ricevuto messaggi minatori su Facebook e molti suoi amici, rimasti lì, lo hanno cancellato dalla lista delle amicizie.

Nel frattempo, il regime gli ha congelato il conto in banca, i pochi soldi che si era portato sono finiti e Fadia non riusciva a ottenere il visto di lavoro. Così i due hanno deciso di andare a Los Angeles dove Abdo ha iniziato ad arrabattarsi consegnando pizze e fiori a domicilio e facendo il tassista per Uber.

“È stato davvero difficile: per più di un anno abbiamo vissuto con tre dollari al giorno, bollette della luce e del gas comprese”, racconta l’attore. “Fino a che un giorno una donna austriaca, originaria di Homs, mi ha riconosciuto in un parco dicendomi che non poteva crede che fossi lì”. 

I due si sono scambiati i contatti e hanno iniziato a frequentarsi. Poi, tre mesi dopo, lei lo ha chiamato dicendogli che aveva fatto il suo nome al regista tedesco Werner Herzog, che da mesi cercava un attore di madre lingua araba per il suo film La regina del deserto.

La collaborazione con Herzog

“Herzog ha visto i miei lavori, gli sono piaciuti e mi ha preso. Ancora oggi non posso crederci”, dice Abdo. “È una persona incredibile: dopo che ha saputo della mia storia, Herzog è diventato una sorta di padrino. Credo che abbia visto in me l’artista e l’essere umano che ha subito le stesse sofferenze che lui ha vissuto da bambino. Alla fine del film mi ha ringraziato personalmente di fronte a tutta la troupe. Io l’ho guardato e non sono riuscito a dire niente. Forse avevo voglia di piangere: non ti aspetti di ricevere un riconoscimento del genere dopo che sei stato definito una persona tremenda nel tuo paese”.

Dopo aver recitato nella Regina del deserto al fianco di Nicole Kidman, Abdo ha avuto anche una piccola parte in a Hologram for the King insieme a Tom Hanks. È ufficialmente entrato a far parte nella Associated American Artist (AAA) e, nonostante dica di non essere interessato alla politica, il suo lavoro da attore si confonde sempre di più con la sua identità da rifugiato.

Recentemente, Jay ha recitato in Bon Voyage, un film su una famiglia svizzera che mentre veleggia nel Mediterraneo incontra una barca di rifugiati, e ha letto Sir Tommaso Moro di Shakespeare in un teatro di Los Angeles.

In quest’opera, il drammaturgo britannico ha criticato duramente le proteste anti immigrati che in epoca elisabettiana si erano scatenate dopo che i francesi protestanti chiedevano asilo all’Inghilterra.

“Ho letto il discorso del sindaco di Londra che si era schierato dalla parte dei migranti”, puntualizza Abdo esprimendo tutto il suo disappunto verso gli stereotipi e l’irresponsabilità dei politici occidentali di fronte alla guerra in Siria. Soprattutto adesso che alla Casa Bianca c’è Donald Trump, il presidente che ha bandito i suoi connazionali dall’entrare negli Stati Uniti.

“Io sono solo uno dei milioni di americani delusi da questa nuova amministrazione”, spiega Jay. “Ho lavorato tutta la vita per costruire dei ponti fra le persone e adesso questo nuovo governo non sta facendo altro che divederci. Ma io continuo ad andare nelle università e nelle scuole per spiegare che cos’è un rifugiato. Ho paura delle divisioni, ma rimarrò qui fino a quando potrò”.

Appena tornato dagli Oscar, Abdo è entusiasta che White Helmets, il documentario sui volontari civili che nel caos della guerra siriana estraggono dai detriti centinaia di persone ogni giorno, abbia vinto l’Oscar.

“Questa vittoria è una dichiarazione contro la Russia, l’Iran e i dittatori. Dobbiamo alzarci tutti e cercare di riportare la Siria a dov’era prima che iniziasse la guerra perché per ora, il mondo occidentale ha solo guardato senza fare nulla”, conclude Jay. “Si tratta di un meccanismo della mia mente per sconfiggere la crudeltà della vita e continuare a lottare con passione”. 

Ma nonostante si definisca “deluso, devastato e frustrato”, Abdo vuole anche continuare ad avere lo sguardo meravigliato di un bambino.

A cura di Francesca Caruso e Ghaith Alhallak

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