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“Stabilizziamo la Libia invece di respingere i migranti e fare accordi con le milizie”: Emma Bonino boccia il piano Minniti

Immagine di copertina
Emma Bonino.

Lara Tomasetta di The Post Internazionale (TPI) intervista Emma Bonino sul tema dei flussi migratori, delle Ong, dei nostri rapporti con la Libia, del piano del ministro Minniti e di Regeni

“Abbiamo messo un tappo ai migranti in Libia e tutti abbiamo tirato un sospiro di sollievo. Sono tutti più tranquilli, io un po’ meno”.

Così Emma Bonino, ex ministra degli Esteri, affronta in un’intervista con TPI il tema della gestione dei flussi migratori, degli hotspot africani e della complessa posizione italiana sullo scacchiere internazionale.

Nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, il presidente della Commissione europea Juncker ha voluto rendere omaggio all’Italia per la sua perseveranza nel Mediterraneo, che salva l’onore dell’Europa. Lei come giudica l’operato dell’Italia in tema di migrazione?

Se ci riferiamo a salvare vite umane, le Ong, l’Italia e la Guardia costiera hanno fatto il massimo che potevano, dobbiamo esserne orgogliosi.

Diverso è il discorso se parliamo dell’integrazione di queste persone una volta sbarcate in Italia, o del tappo messo alla Libia per fermare i loro arrivi. Bisogna capire che fine fanno, chi se ne occupa.

Certo, ci mancherebbe che gli stati membri dell’Ue, non avendo fatto praticamente nulla, non riconoscano perlomeno lo sforzo compiuto dall’Italia in questi mesi.

Come vede gli accordi con la Libia? Il presidente del Copasir Giacomo Stucchi ha ribadito che gli accordi sono con i capovillaggi e non con i trafficanti, eppure anche l’inchiesta di AP, di cui si è parlato molto poco, testimonia il contrario…

Nel concreto è indubbio che il controllo del territorio, a Tripoli ovest come a est, sia tenuto da bande di miliziani – di cui anche i sindaci locali si avvalgono – spesso colluse con trafficanti, o con parte delle varie Guardie costiere. È chiaro quindi che l’accordo sarà pure con il governo del premier libico Sarraj, ma lo stesso governo deve fare accordi con altre entità, con quelli che hanno il potere reale nel territorio.

Gli accordi possono essere di vario tipo, i trafficanti hanno anche altri settori molto redditizi: i traffici di petrolio, armi e droga rendono molti soldi. L’accordo potrebbe aver barattato un parziale silenzio su questi traffici, in cambio di un blocco degli sbarchi.

Il motivo per cui non sono particolarmente entusiasta di questo accordo riguarda soprattutto l’aspetto umanitario: esistono prove molto forti confermate da filmati e rapporti che testimoniano le condizioni dei migranti nei centri di detenzione libici. Bastano i rapporti emersi dai controlli nei 10 dei 30 centri visitabili, oltre alle testimonianze dei profughi, per sapere benissimo cosa sta succedendo. Possiamo far finta di non sapere cosa accade, ma lo sappiamo benissimo.

Cosa pensa degli hotspot africani per “smistare” i migranti?

Sono tutte idee poco realistiche. Gli hotspot in Ciad o in Nigeria implicano una protezione, serve un monitoraggio con il ministero degli Esteri, anche per la sicurezza dei funzionari europei e locali. Si sa che i migranti sono una merce molto appetibile per i gruppi di milizie e per il narcotraffico.

È chiaro in ogni caso che la gestione di questi eventuali hotspot deve prevedere una supervisione internazionale per essere credibile. Supervisione che, attualmente, non esiste.

Se da un lato si tira un sospiro di sollievo sul numero degli sbarchi in diminuzione, dall’altro le Ong confermano che le partenze continuano. Come vede la loro posizione nel Mediterraneo?

Non è tanto il nuovo codice di condotta per le Ong a rendere le cose complicate, quanto piuttosto la zona rescue che prevede un’estensione gigantesca anche di diverse miglia in cui è diventato pericolosissimo operare.

Ritiene che alcune Ong siano colluse con i trafficanti?

Non lo so, non ho la palla di vetro. Quello che so è che dopo tutta la bufala di quest’estate, ad oggi è aperta una sola inchiesta, una, dalla procura di Trapani. Dopodiché queste Ong così discreditate orano tornano utili per lenire le sofferenze nei centri di detenzione, a mani nude. Ma chi li difende? Chi li protegge?

È sempre così: tutte le volte che la politica inciampa e crea disastri umanitari che non si possono nascondere si fa ricorso al reparto umanitario. L’ho visto ovunque e dopo un po’ di tempo scoppia sempre la polemica. La storia si ripete come se non avessimo nessuna memoria, mi sembra infatti che a volte vengano prese decisioni senza esperienza.

Qual è dunque la sua soluzione alla gestione dei flussi migratori?

Prima di tutto forse mi occuperei di stabilizzare la Libia. Per il momento abbiamo messo un tappo ai migranti e questo vuol dire anche dare più forza alle milizie, sia dal punto di vista di potere contrattuale che della presentabilità politica, e questo non facilita certamente a medio termine la stabilizzazione del paese, già molto frammentato.

Come d’abitudine italiana, abbiamo adottato una soluzione emergenziale, nel frattempo i costi di questo tappo li pagano i migranti, su di noi grava solo il prezzo, con un po’ di contributo della Commissione europea.

Il lavoro del nuovo inviato speciale dell’Onu non sarà facile: troppe riunioni creano solo confusione. Tutti ora sembrano tirare un sospiro di sollievo sul tema migranti, io un po’ meno.

Cosa pensa del modello Minniti in Italia?

Mi auguro che Minniti segua la linea del piano nazionale per l’integrazione che era previsto per giugno e che sarà reso noto, si spera, tra qualche giorno.

Confidiamo che abbia preso molte idee della nostra campagna “Ero Straniero” (qui il video). Finalmente dopo tanti mesi in cui la parola integrazione era un tabù, mi pare sia stata sdoganata. È un primo passo.

La campagna “Ero Straniero” promuove la legge d’iniziativa popolare “Nuove norme per la promozione del regolare permesso di soggiorno e dell’inclusione sociale e lavorativa di cittadini stranieri non comunitari”. Di cosa tratta?

Si vuole l’abolizione del reato di clandestinità, l’introduzione di un permesso di soggiorno temporaneo, valido 12 mesi, per la ricerca di occupazione, la reintroduzione del sistema dello sponsor (sistema a chiamata diretta), anche da parte di singoli privati, per l’inserimento nel mercato del lavoro del cittadino straniero e, infine, la regolarizzazione su base individuale degli stranieri “radicati” che si trovino in situazione di soggiorno irregolare, dove sia dimostrabile l’esistenza in Italia di un’attività lavorativa o di legami familiari.

Caso Regeni: che ruolo sta giocando l’Italia?

Sulla questione Regeni ho sempre avuto una posizione molto diversa: non avrei mai ritirato l’ambasciatore, anzi, avrei rafforzato l’ambasciata. Ai tempi del caso Shalabayeva tutti volevano che io cacciassi l’ambasciatore kazako da Roma, la qual cosa avrebbe avuto come diretta conseguenza che i kazaki cacciavano il mio ambasciatore.

A mio avviso, specie durante il periodo di crisi, avrei rafforzato l’ambasciata con funzionari che parlano arabo ad esempio. Il mio sentore era che saremmo finiti contro un muro.

In secondo luogo forse sarebbe stata utile una campagna europea su tutte le sparizioni che avvengono in Egitto, non solo quella di Giulio Regeni.

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