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Home » Esteri

La storia dell’isola giapponese dove le donne non sono ammesse

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L'area che si trova nel tratto di mare che divide il Giappone dalla Corea del Sud è stata inserita nella lista dell'Unesco

Sulla cartina geografica, l’isola di Okinoshima è situata nel tratto di mare che separa il Giappone dalla Corea del Sud, al largo della costa meridionale di Kyushu. L’isola è considerata uno dei principali siti di interesse culturale, sia per la sua storia plurisecolare sia per il suo paesaggio naturale incontaminato.

Per queste ragioni, il governo giapponese ha proposto di recente l’inserimento di Okinoshima nell’elenco dei siti patrimonio dell’umanità dell’Unesco. La decisione spetterà al Comitato del Patrimonio Mondiale dell’Unesco che si riunirà a Cracovia, in Polonia. Il verdetto finale sarà reso pubblico nel mese di luglio.

Tuttavia, c’è un altro aspetto che ha contribuito a rendere nota questa piccola isola, la quale si estende per poco meno di un chilometri quadrato: l’area è interdetta in modo rigoroso alle donne.

Le ragioni di questo divieto sono essenzialmente di natura religiose. Qui sorge un santuario considerato nella religione scintoista un “Shinto kami“, ossia un luogo sacro. Il santuario è frequentato solo da sacerdoti scintoisti, anche se una volta all’anno alla fine di maggio viene aperto a un pubblico selezionato in occasione di un festival. Quest’anno sono stati ammessi sull’isola 200 uomini.

L’aspetto ancora più particolare è che nel santuario di Munakata Taisha, situato nel mare di Genkai (che nei secoli passati costituiva l’antica rotta commerciale tra Giappone e la Corea), i sacerdoti rendano omaggio a tre imperatrici scelte per prendersi cura e assicurare la protezione della nazione. Inoltre, da più di 600 anni, sull’isola si svolgono rituali di preghiera necessari per assicurare la protezione delle navi che solcano il mare e benedire i successi in campo diplomatico del Giappone in Asia.

I pescatori e i naviganti rivolgono le loro preghiere alle tre divinità femminili conosciute come Tagorihimi-no-Kami (che rappresenta la nebbia marittima), Tagitshuhime-no-Kami (che rappresenta la marea intensa e violenta) e Ichikishimahime-no-Kami (gli atti di culto degli dei).

Nonostante il culto verso divinità femminili, le donne non sono ammesse. Non vi è nessuna spiegazione precisa che spieghi il divieto imposto a queste ultime. Alcuni chiamano in causa i precetti della religione scintoista che ritiene il sangue mestruale impuro. Altri invece ritengono che il lungo viaggio verso l’isola era considerato piuttosto pericoloso, e che alle donne non era consentito correre dei rischi.

Oltre al santuario sacro, sull’isola sono stati rinvenuti oltre 80mila reperti archeologici e ornamenti, che costituiscono gran parte del tesoro nazionale del governo giapponese. “I pescatori locali hanno venerato l’isola di Okinoshima fin dall’antichità e hanno pregato i suoi dei affinché li proteggesse”, ha raccontato Tadahiko Nakamura al Japan Times, il capo della cooperativa di pesca di Munakata. Egli ha poi aggiunto di essere onorato se l’isola verrà riconosciuta patrimonio mondiale dell’umanità dall’Unesco.

Non tutti sono concordi su questo punto, in particolare i sacerdoti scintoisti che negli anni si sono succeduti impegnandosi a proteggere l’isola da qualsiasi interferenza esterna. Il timore è che una volta riconosciuto come sito di interesse mondiale, ciò incentivi un crescente numero di persone a voler visitare l’isola. “Non vogliamo che i turisti inondino l’isola, avvicinandosi agli dei senza una debita e profonda fede”, ha commentato ancora Nakamura.

I sacerdoti scintoisti continuano pertanto a preservare severamente l’isola di Okinoshima, imponendo misure rigide per quanto concerne la visita sull’intera area. Ai pochi visitatori ammessi è fatto divieto assoluto di impossessarsi di un piccolo sasso raccolto da terra, o di una foglia strappata dagli alberi. Tutto ciò per preservare anche l’ambiente. Non a caso, l’isola giapponese si contraddistingue anche per le sue bellezze naturali, caratterizzata da rigogliose foreste vergini.

Tuttavia, anche i pochi uomini che vengono ammessi sull’isola devono eseguire dei rituali ben precisi prima di poter rivolgere le loro preghiere agli dei: essi devono spogliarsi dei loro abiti ed eseguire un rituale di purificazione, prima di poter mettere piede a Okinoshima. Infine, a questi non è permesso raccontare i dettagli del loro viaggio, né sono tenuti a portare via con sé alcun oggetto.

L’unico giorno in cui le visite sull’isola sono consentite è il 27 maggio, durante l’annuale festival organizzato “per confortare gli spiriti dei caduti giapponesi e russi morti durante la battaglia navale del 1905 vicino a Okinoshima”. Nel corso dell’anno, solo i sacerdoti hanno l’autorizzazione a vivere sull’isola.

In Giappone esistono altri siti religiosi che non ammettono la presenza femminile. Tra questi c’è il Monte Sanjo che si trova nel Parco Nazionale di Yoshino-Kumano, nel centro di Honshu, scelto come sito patrimonio mondiale dell’Unesco, dove vige il divieto di accesso per le donne.

L’ipotesi che Okinoshima figuri fra qualche tempo tra i siti patrimonio dell’umanità non è piaciuta granché ai sacerdoti scintoisti, ma è stata rigettata in toto dai membri della società universale dell’induismo statunitense, che ha invitato l’Unesco a non approvare il sito, secondo quanto riportato dalla rivista Eurasia Review. “Dove sono venerate delle divinità femminili, gli dei sono appagati. Dove non lo sono, allora nessun rito darà il frutto sperato”, questo il commento del presidente del gruppo, Rajan Zed, che ha citato alcuni passaggi dell’induismo.

A tal proposito, occorre precisare che il divieto imposto alle donne è un precetto religioso e non una legge. Ciò significa che se una donna dovesse raggiungere l’isola, questo non sarebbe considerato un reato punibile.

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