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Che fine hanno fatto i ragazzi dello zoo di Berlino

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TPI torna sulle tracce dei protagonisti di una delle storie di droga più famose al mondo, con le interviste a Sabine, Peter, Ralf, Klaus e Teddy

A quasi quarant’anni dall’uscita del bestseller Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, dell’allora sedicenne Christiane F., TPI torna sulle tracce dei protagonisti di una delle storie di droga più famose al mondo.

Berlino non ha smesso di far parlare di sé come di un luogo in cui la vita sulla strada, la cultura underground e il consumo di droga sono ancora realtà. Qui i coetanei di Christiane F. fanno i conti con l’avanzare dell’età e con un passato che ha segnato le loro vite.

Tra gli altri, c’è Sabine, che ha conosciuto Christiane F. e i ragazzi dello zoo di Berlino nella famosa discoteca S.O.U.N.D. di Berlino Ovest; Ralf, che nel 1982 ha pubblicato un libro autobiografico in risposta a quello da cui è stato tratto il celebre film; e Teddy, che era un bambino abbandonato ed è stato accolto qualche volta da Christiane F.

Sabine

Sabine ha 57 anni. Ha iniziato con l’eroina a 15, nel 1975, e ha smesso nel 1989, iniziando una terapia sostitutiva con il Polamidon, che ancora oggi continua.

Ha cominciato a sperimentare le droghe nella famosa discoteca S.O.U.N.D. di Berlino Ovest, dove ha conosciuto Christiane F. e il resto dei cosiddetti ragazzi dello zoo di Berlino. Sabine era a pieno titolo una di loro.

Ora vive nel quartiere di Kreuzberg, nei pressi di Kottbusser Tor, dove negli ultimi dieci anni si è fatta degli amici tra i vecchi junkie. Con quelli che frequentava ai tempi dello zoo non ha più contatti. Molti sono morti, e chi è ancora vivo spesso non vuole più sentire parlare di quella storia.

Sabine ha fatto la prostituta per 25 anni. Prima per comprarsi la droga, come molte altre donne ai tempi dello zoo, poi per mantenersi. “È un peccato che quando lo facevo io il mestiere non fosse legale” , dice (lo è diventato in Germania solo nel 2001 ndr). “Altrimenti avrei potuto pagarmi i contributi e adesso avrei una pensione”. Per Sabine questo è un grande motivo di inquietudine.

Le chiedo se non avesse pensato di fare un altro lavoro. “Con un altro lavoro non avrei mai guadagnato mille marchi a notte”, risponde sorridendo. “Peccato che andassero tutti spesi in droga”.

Adesso riceve una pensione di invalidità per i danni fisici derivanti dalla dipendenza, più un altro piccolo sussidio dallo stato. Quanto basta per sopravvivere.

Vive sola. Si commuove al pensiero del figlio che avrebbe potuto e voluto avere, quando aveva 28 anni, ma che ha abortito. “Non avrei mai voluto mettere al mondo un bambino tossicodipendente”, dice. “L’eroina ha completamente distrutto il mio corpo. Specialmente perché negli ultimi anni mi facevo di cocktail, eroina e cocaina insieme, più alcool”.

Ha smesso dopo una grave trombosi a una gamba, della quale ancora adesso si vedono le conseguenze. Sabine è l’unica tra i frequentatori di Kotti a stare seduta su una grossa sedia, che qualcuno le porta fino in piazza. Le gambe gonfie le rendono difficile camminare.

“A chi è oggi nella situazione in cui io mi trovavo trenta o quarant’anni fa direi di cercare di pensare al futuro, di mettere da parte qualche soldo, anche se è difficile, quasi impossibile se si spendono cento euro al giorno in droga”, conclude Sabine. “La mia vita ormai è andata. Certo, è stato divertente all’inizio farsi di roba così pura come era quella che si trovava negli anni 70, ma non è valsa la pena”.

Peter

Peter ha 55 anni. Anche lui ha iniziato con l’eroina al S.O.U.N.D., nel 1978, ed è stato dipendente per 15 anni. Da allora è in terapia sostitutiva con il metadone, che riceve una volta a settimana dal suo medico.

“Cerchi ex ragazzi dello zoo di Berlino? Sei nel posto giusto”, mi ha detto quando mi sono avvicinata al muretto dove era seduto, a Kottbusser Tor. “Siamo tutti qua. Almeno qui abbiamo qualcuno con cui parlare”.

Prima della droga Peter faceva l’apprendista pittore edile, poi con la dipendenza non ha più lavorato. Da quando ne è uscito ha solo fatto qualche lavoretto in nero. Vive in una casa popolare con assistenza sociale, pagata dall’agenzia statale che gli da anche un piccolo sussidio di disoccupazione.

“È un bene che abbia questa casa, ma è una cosa sicura fino a un certo punto, perché si può stare dentro fino a massimo due-tre anni”, dice. “E poi le costruiscono in quartieri sempre più periferici, in modo che la gente normale non debba avere a che fare con noi. Anche se non vuoi, un passato come il nostro ti esclude tremendamente dalla società”.

Peter passa il suo tempo a Kottbusser Tor “da un’eternità”, anche se non è più propriamente attivo sulla scena della droga. Pensa che Kotti stia diventando un’attrazione per turisti e questo non gli piace. Prende in giro chi si fa i selfie vicino all’insegna blu della metropolitana, magari con una canna in mano.

“Buona domanda”, risponde quando gli chiedo perché sia ancora qui dopo tutto questo tempo. “Non ho un buon titolo di studio, e oggi tutto è difficile se non ce l’hai. So che alcuni di quelli dei tempi dello zoo sono riusciti a rifarsi una vita, a trovare un lavoro, ma sono davvero la minoranza. Io credo di aver perso la mia occasione per fare il salto dall’altra parte: l’ho persa e basta”.

Peter ha un figlio di 34 anni, con cui ha perso i contatti da tempo. Ogni tanto ci pensa, e se ne dispiace, ma crede che se ne debba fare una ragione, specialmente con un passato come il suo.

Nel 1978 Peter non si immaginava che la sua vita avrebbe preso un corso così definito. “Non ci pensavo, non ci ho mai pensato”, conclude. “All’epoca era tutto uno sperimentare e rischiare. È andata così”.

Ralf

Ralf ha 63 anni. È entrato nella scena dell’eroina di Berlino Ovest nel 1971, a 17 anni, sempre intorno alla discoteca S.O.U.N.D. Del gruppo di sei amici con i quali ha condiviso le prime esperienze con l’eroina, lui è l’unico ancora vivo. Gli altri sono morti di overdose e per malattie legate alla droga.

Si è disintossicato completamente nel 1980 e dal 1995 lavora come tecnico informatico in un’azienda.

Nel 1982, sull’onda del successo del libro di Christiane F. e in polemica con questo, ha pubblicato un libro autobiografico sui suoi anni allo zoo di Berlino intitolato Foto allo Specchio – Una risposta ai ragazzi dello zoo di Berlino. La sua intenzione era di ispirare positività e di instillare nei giovani tossicodipendenti la speranza di poter avere una vita piena nonostante la droga.

Dopo la disintossicazione Ralf ha trovato un nuovo slancio nella religione e ha intrapreso la missione di aiutare chi si trovava imbrigliato nei giri della droga a Berlino. È uno dei fondatori dell’associazione cristiana Teen Challenge, che tuttora gestisce il caffè SehnSucht a Kottbusser Tor, dove tre giorni a settimana vengono distribuiti pasti gratuiti.

“Sono stato tre mesi in prigione: ho picchiato, ho scassinato auto per avere i soldi necessari a comprarmi la droga”, racconta. “Negli anni Settanta servivano molti soldi per essere tossicodipendenti. Ora le cose sono cambiate”. Anche lui, come gli altri, menziona tra i fattori il maggior grado di purezza delle sostanze disponibili allora rispetto a oggi.

Il passato di Ralf allo zoo di Berlino e la sua uscita repentina dalla scena lo hanno reso piuttosto intransigente sulle droghe, anche quelle leggere. “Chi fa campagne per la legalizzazione della marijuana non pensa alle conseguenze che l’uso di sostanze può avere sulla società intera”, dice.

Klaus

Klaus ha 46 anni. Si è trasferito a Berlino da Friburgo nel 1991 e ha vissuto nella zona dello zoo per due anni, prostituendosi. Ammette che il libro e il film tratti dalla storia di Christiane F. hanno avuto un ruolo nel convincerlo a cercare una vita avventurosa a Berlino.

“Nel 1991 Berlino era qualcosa di incredibile”, racconta. “Subito dopo la caduta del muro c’era molto movimento nella cultura giovanile, sulla scena della droga e non solo. Tutto era avventura: mi ci sono buttato”.

Klaus non è stato tossicodipendente, nonostante abbia provato tutte le droghe e sia stato per lungo tempo in contatto quotidiano con la scena dell’eroina. Quello che cercava allo zoo di Berlino erano incontri con altri uomini.

Klaus fa parte del gruppo degli altri ragazzi dello zoo di Berlino, i giovani uomini che vendevano il proprio corpo sulla strada, all’inizio come risposta allo sdoganamento dell’omosessualità negli anni Sessanta.

Le storie dei ragazzi come Klaus sono state raccontate nel videodocumentario tedesco I ragazzi dello zoo di Berlino (Die Jungs vom Bahnhof zoo, Rosa vom Praunheim, 2011).

Lì Klaus descrive i suoi anni allo zoo come un periodo sicuramente duro, ma in parte anche molto divertente, di avventura, sperimentazione e bei soldi guadagnati. Lui, a differenza di altri, non era costretto a prostituirsi per finanziarsi l’acquisto di droghe o per mantenere la famiglia.

“Dopo due anni per strada non ce la fai più”, spiega Klaus. “Alcune persone non riescono a farsi una vita nuova dopo aver sperimentato questo genere di cose, ma io ne ho sentito il bisogno”.

Dopo l’uscita dalla scena Klaus ha lavorato come gestore di un negozio e come guida turistica in Thailandia. Di nuovo a Berlino è tornato allo zoo, ma stavolta come inserviente nella Bahnhofsmission, la principale associazione no-profit tedesca appartenente alla chiesa evangelica, che si prende cura dei senzatetto distribuendo pasti e vestiti nelle principali stazioni ferroviarie del paese.

Teddy

Teddy ha 47 anni. È nato a Berlino Ovest. Lasciato dalla madre in un istituto quando era piccolo, ha cominciato a scappare quando aveva gli otto anni, trovandosi spesso nella zona dello zoo.

Lì qualche volta è stato raccolto da Christiane F., che lo faceva dormire a casa propria. “È diventata un po’ come la mia madrina”, racconta Teddy. “Ancora oggi ogni tanto ci incontriamo per strada e ci riconosciamo”.

Dopo un periodo in una famiglia affidataria in Baviera è tornato definitivamente a Berlino nel 1991, a 21 anni, ed è finito subito dalle parti dello zoo. È rimasto in zona, senza casa, per otto anni.

“Era un enorme punto di ritrovo: tutti erano lì, e mi sono fatto degli amici tra i drogati e gli sbandati che giravano intorno al S.O.U.N.D., che all’epoca esisteva ancora”, spiega Teddy. “Grazie a dio non mi sono mai dovuto prostituire per la droga, a differenza di altri che conoscevo. Semplicemente chiedevo l’elemosina”.

Teddy in ogni caso non è mai stato eroinomane: la sua più grande dipendenza è sempre stata l’alcol, oltre alla marijuana. Ha vissuto una breve fase di dipendenza dalle droghe sintetiche, da cui si è disintossicato.

“Berlino è sempre stata così con le droghe: facile. Perché è tutto più economico qui, lo è sempre stato”, spiega. “Conoscevo una farmacia dove potevo rifornirmi di pastiglie di tranquillanti per due marchi. Mi è capitato di andare a venderle ad Amburgo, dove costavano di più, e guadagnarci qualcosa. Nell’epoca d’oro dello zoo di Berlino non c’erano i giornali di strada come il Motz, dunque era molto difficile per chi viveva per strada fare abbastanza soldi. Era pazzesco vedere ragazzini di tredici, quattordici anni prostituirsi per strada. Ragazzi che si fingevano gay per poter andare con uomini, ragazzine quindicenni infettate dall’Hiv”.

Dal 1995, anno della fondazione del giornale di strada Motz, Teddy lo vende quotidianamente sulla metropolitana, guadagnandosi i soldi per la giornata (fino a 50 euro). Solitamente è in giro dalla mattina alle quattro del pomeriggio. TPI l’ha incontrato a Nollendorfplatz, dove il giornale viene distribuito a chi vuole venderlo. Dice che questo lo ha salvato. L’affitto del suo appartamento nella periferia est di Berlino, dove vive con il suo cane Lula, lo paga grazie al sussidio statale che riceve.

“Certo, avrei voluto una vita diversa, ma non ne ho avuto la possibilità”, conclude. “Ho lavorato come meccanico di biciclette un paio d’anni ma non avendo un diploma ho sempre avuto difficoltà a trovare lavoro. Dopo i miei anni allo zoo la mia priorità era solo avere un tetto sopra la testa e non vivere più per strada, il resto è sempre stato secondario”.

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