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Home » News

Perché in Puglia si vogliono espiantare centinaia di ulivi secolari

Immagine di copertina

Comitati, comuni e consiglio regionale pugliese si stanno opponendo alla costruzione del gasdotto che dal Mar Caspio dovrebbe trasportare il gas fino in Europa

Un villaggio di pescatori e agricoltori, poche centinaia di abitanti, un mare cristallino e una terra disseminata di ulivi secolari: San Foca, provincia di Lecce, Puglia. Questo è lo scenario delle proteste che da oltre una settimana stanno mettendo al centro delle cronache nazionali un luogo fino a oggi sconosciuto ai più.

S&D

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Chi protesta e perché

Cittadini, comitati, comuni e l’intero consiglio regionale della Puglia si stanno opponendo, in modo sempre più deciso, alla costruzione del gasdotto che dal Mar Caspio in Azerbaijan, dove è situato il grande giacimento di Shah Deniz. Il gasdotto traspoe il gas naturale fino in Europa e dovrebbe transitare anche in quella striscia di terra compresa nella provincia di Lecce.

Il nome del gasdotto, come da progetto, è Trans Adriatic Pipeline (Tap) e con un percorso di quasi 900 chilometri di lunghezza e 400 chilometri di tubi attraversa sei paesi. Tra i principali azionisti di Tap ci sono le più importanti società del settore energetico: Socar, Snam, Bp, Fluxys, Enagßs e Axpo.

Il progetto è stato presentato nel 2012, mentre nel 2013 è stato inserito nell’elenco della Rete nazionale dei gasdotti. I lavori sono cominciati nel 2016. Il metanodotto attraverserà la Grecia settentrionale, l’Albania e l’Adriatico, per 110 chilometri, per approdare sulla costa salentina, in particolare sulle coste di San Foca di Melendugno e collegarsi alla rete nazionale Snam.

I lavori che interessano il tratto salentino per 60 chilometri sono cominciati lunedì 20 marzo e riguardano le eradicazioni di oltre 200 ulivi secolari che si trovano nella piccola frazione di San Basilio di San Foca, dove dovrebbe sorgere il microtunnel del gasdotto Tap. Gli ulivi sradicati, sempre secondo il progetto, dovrebbero essere reimpiantati.

Già dalle prime luci dell’alba di lunedì, attivisti e ambientalisti hanno bloccato a più riprese le eradicazioni: chi sedendosi per terra davanti ai camion, chi in automobile procedendo a passo d’uomo per rallentare e bloccare l’avanzata dei mezzi. 

Il 28 marzo 2017 le forze dell’ordine in assetto antisommossa hanno circondato il cantiere di San Foca e forzato per tre volte i sit-in messi in atto dai manifestanti, mentre un elicottero della polizia sorvolava la zona, presidiata da circa 300 persone, tra cui anche una cinquantina di studenti di scuole medie superiori, accompagnati da docenti. 

Al momento risultano eradicati solo 34 degli oltre 200 ulivi presenti, proprio in virtù delle pressioni delle proteste dei manifestanti. Dopo il presidio gli attivisti si sono spostati in Procura per sollecitare il sequestro dell’area e chiedere lo stop alle eradicazioni.

Oltre le preoccupazioni riguardanti gli sconvolgimenti sociali e paesaggistici e l’effettiva possibilità di reimpiantare gli ulivi una volta estirpati, esistono altre motivazioni alla base delle proteste.

Il progetto è protestato dal comune di Melendugno e dalla regione Puglia, i quali sostengono che il gasdotto violi la direttiva Seveso contro i i rischi di incidente rilevante. Si indica anche che la conduttura dovrebbe passare attraverso una pineta che ha subito incendi, e quindi il rischio di scoppio delle tubature vanno ad aggiungersi a quelli già presenti per un territorio così arido.

Secondo le proteste il cantiere del Tap è stato aperto fuori tempo massimo e non è stato osservato alcun principio di precauzione, senza vagliare alternative possibili al tragitto.

La sentenza del Consiglio di Stato

Con la sentenza n. 1392, pubblicata il 27 marzo 2017, però, il Consiglio di Stato ha dato il via libera alla realizzazione del Tap, respingendo gli appelli proposti contro la sentenza del Tar dalla Regione Puglia e dal comune di Melendugno.

“Tutte le procedure amministrative siano state svolte correttamente, riconoscendo l’avvenuto rispetto del principio di leale collaborazione tra poteri dello stato nel superamento del dissenso espresso dalla Regione alla realizzazione dell’opera”, si legge nella sentenza.

Sulla vicenda è intervenuto più volte anche il governatore della regione Puglia, Michele Emiliano, che dalla sua pagina ufficiale Facebook ha difeso la richiesta di spostare il tragitto del gasdotto.

“Personalmente in Commissione parlamentare antimafia ho spiegato l’incongruità dell’approdo del Tap tanto a sud da costringere alla costruzione di un gasdotto terrestre di 55 km per la riconnessione alla dorsale Snam, che dovrà essere realizzato a carico della tariffa gas dei cittadini italiani, pur essendo al servizio di un’opera privata sia pure di interesse pubblico”, scrive il governatore Pd.

E in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale sulle richieste della Regione annuncia: “Ho specificato inoltre che in quell’area l’inutile tratto aggiuntivo del gasdotto terrestre avrebbe costretto allo spostamento di migliaia di alberi di ulivo. Ma tutto questo purtroppo sino ad oggi non è servito a nulla. In attesa della pronuncia della Corte Costituzionale, che ove accogliesse le nostre richieste ci consentirebbe di ridiscutere l’approdo Tap, abbiamo deciso di impugnare la nota del Ministero dell’Ambiente del 27 marzo 2017”.

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