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Home » Esteri

L’Europa non conta più: restare uniti è una scelta egoistica

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La nuova dichiarazione firmata dai leader europei conferma che agendo singolarmente i paesi membri sarebbero tagliati fuori dalle dinamiche mondiali

Perché facciamo così fatica a credere nell’Europa? C’è sicuramente una discrepanza tra l’idea che abbiamo di noi stessi e la realtà dei fatti: dopo una storia che ci ha visti protagonisti del destino mondiale per un migliaio di anni, con tutte le nostre risse, oggi non siamo più un giocatore della partita.

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Dopo aver dato al mondo una forma che ci fosse gradita oggi dobbiamo limitarci ad essere degli spettatori. Molti di noi questo non l’hanno ancora capito e continuano a ragionare come se l’Europa fosse il centro del mondo, come se dalle nostre lotte intestine dipendesse ancora l’ordine mondiale: questi sono gli antieuropeisti.

Ma come abbiamo potuto recedere al rango di osservatori impotenti? La ragione, a mio modo di vedere è semplice, ci siamo talmente tanto depotenziati a vicenda che oggi non abbiamo più un peso. Siamo passati dall’essere i colonizzatori e le potenze industriali a quelli che dicono agli altri di non fare le guerre e di non inquinare il pianeta.

Ora, giustamente, il mondo che per tutto questo tempo è stato assoggettato ai nostri capricci, si ribella.

Tutto questo può avere una sua giustizia etica, riequilibrare la situazione: chi ha subito per anni la nostra dominazione, i paesi emergenti, ora può svilupparsi autonomamente e proporre la propria visione del mondo, contrapposta alla nostra.

Per questo, di là da tutto il moralismo, la scelta europea è una scelta egoista: vogliamo continuare a far parte di una zona del mondo che conti sul piano internazionale.

Questo concetto lo troviamo espresso nella dichiarazione firmata dai leader europei la mattina del 25 marzo 2017 a Roma: “L’unità è sia una necessità che una nostra libera scelta. Agendo singolarmente saremmo tagliati fuori dalle dinamiche mondiali. Restare uniti è la migliore opportunità che abbiamo di influenzarle e di difendere i nostri interessi e valori comuni”.

Più avanti il testo prosegue: “per il prossimo decennio vogliamo un’Unione sicura […] che abbia la volontà e la capacità di svolgere un ruolo chiave nel mondo e di plasmare la globalizzazione”.

Questo ruolo non lo meritiamo per niente ma vogliamo comunque continuare ad essere importanti anche se abbiamo avuto la nostra possibilità e l’abbiamo sprecata. 

Oggi però l’Europa, quest’unico modo che il nostro continente ha, ancora, di contare, corre un grave rischio di fallire.

A sessant’anni esatti dalla firma dei trattati di Roma invece di esserci consolidati dobbiamo quasi ripartire da zero. Forse nella nostra quotidianità non ce ne rendiamo conto ma la partita europea la stanno vincendo le forze che vorrebbero tornare agli Stati nazione.

Il concetto è stato reso molto efficacemente da Enrico Letta: dopo Brexit e Trump siamo due a zero per le forze della disintegrazione ma Scozia e Olanda hanno ripreso la palla passandola a Germania e Francia, che hanno l’occasione del pareggio, ma il gol decisivo dovrà essere segnato dall’Italia.

Nonostante questo, nella dichiarazione firmata questa mattina a Roma “i leader dei 27 Stati membri e delle istituzioni dell’UE” si dicono “orgogliosi dei risultati raggiunti dall’Unione europea” di quest’unione “fondata sui diritti umani e lo stato di diritto, una grande potenza economica che può vantare livelli senza pari di protezione sociale e welfare”.

Questa mattinata potrebbe rappresentare il canto del cigno per l’Europa, sono state pronunciate bellissime parole ma potrebbero essere le ultime se i cittadini che la compongono non si rendono conto che il nostro futuro è nelle mani di tutti noi. Si è detto che la nostra Unione è “indivisa e indivisibile” – forse più una speranza che un dato di fatto.

Per i prossimi anni il programma di Roma impegna gli Stati membri realizzare: un’Europa sicura, prospera e sostenibile, sociale e, infine un’Europa più forte sulla scena mondiale. Ma, forse, il punto più rilevante non è stato veramente toccato: l’Europa ha bisogno degli europei.

Gli europei si creano dandogli valori comuni e facilitandone la comprensione e la partecipazione ai processi. L’Unione europea resta distante, anche oggi che i leader a Roma si incontrano nei palazzi, tra alte uniformi, bei palazzi e discorsi di fronte ai giornalisti.

Proprio nello stesso giorno, a Milano, il papa fa una messa in piazza del Duomo di fronte a migliaia di fedeli, usa il gabinetto chimico messo a disposizione di tutti e si riposa in una cella del carcere di San Vittore. 

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