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Home » News

Siamo una coppia gay, padri di due gemelli e vi diciamo che il legame biologico non conta nulla

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La storia di Riccardo e Antonio, una coppia omosessuale di Milano che, ricorrendo alla maternità surrogata in California, ha realizzato il proprio sogno di paternità

Due gemelli di 18 mesi. Una donatrice, che ha dato i suoi ovuli e una mamma biologica, che ha portato avanti la gravidanza. E due papà, che sono la loro famiglia. È la storia di Riccardo e Antonio, una coppia gay di Milano, sposata dal 2014, unita civilmente in Italia a marzo 2017, e dei loro due gemelli, Gaia e Leonardo, nati nel settembre del 2015. (Tutti i nomi usati in questo pezzo sono nomi di fantasia, per tutelare la privacy della famiglia).

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Le coppie gay che vogliono avere un figlio oggi possono ricorrere alla surrogazione di maternità, detta anche gestazione per altri, in cui una donna (madre portante) si assume l’obbligo di provvedere alla gestazione e al parto per conto di una singola persona o una coppia (eterosessuale o omosessuale), e che una volta partorito, rinuncia ai diritti genitoriali sul nascituro. In Italia la surrogazione di maternità è vietata dalla legge.

Abbiamo chiesto a Riccardo di raccontarci la loro esperienza con la madre portatrice, una donna californiana cattolica e devota alla causa lgbt, che ha accettato di portare avanti la gravidanza per loro conto. 

Ci racconti com’è che avete deciso di avere un figlio?

Eravamo lontani dall’idea di avere un figlio. Sia io che il mio compagno avevamo l’aspirazione di diventare genitori, ma è una di quelle cose che avevamo messo nel cassetto e tolto dalla lista dei sogni. Tu sei gay e questa cosa non ti potrà mai accadere, e allora ti metti l’anima in pace.

Poi mi è capitato di conoscere amici del mio compagno che attraverso la gestazione per altri hanno avuto due gemelli, che oggi hanno 5 anni. Ne abbiamo parlato e ci siamo avvicinati all’idea.

Io ero uno che aveva moltissime riserve, anche perché quando lo avevano fatto questi nostri amici ancora non se ne parlava molto o se ne parlava in maniera dispregiativa, facendo riferimento al cosiddetto utero in affitto.

Nel 2014 abbiamo deciso di fare un primo viaggio in California in una struttura che si occupa di fertilità, dove vanno prevalentemente coppie eterosessuali. Lì abbiamo iniziato questo percorso, alla fine del quale sono nati i nostri due gemelli, che ora hanno 18 mesi.

Chi sono le donne che hanno reso possibile la vostra aspirazione di diventare genitori?

Loro sono nati grazie a due donne. Una donatrice, che una ragazza di 25 anni di Seattle che fa la giornalista a Los Angeles e una donna sposata, che ha già due figli che fa l’agente immobiliare a Los Angeles.

La donatrice, Sarah (nome di fantasia), voleva fare questa cosa per filantropia, come esperienza d’amore e perché è legata alla causa Lgbt. Motivazione simile ha guidato la nostra portatrice, Megan (nome di fantasia). In questo caso è stata lei che ha scelto noi.

Il primo giorno che eravamo in clinica un’infermiera ci disse che era appena arrivata una ragazza che si proponeva di fare la portatrice per altri, ma che ancora doveva fare tutti gli esami e gli screening psicologici. Ce la fece conoscere.

Quando si dice che le portatrici si scelgono da un catalogo, in realtà non è che ti danno un catalogo stile postal market. Ti danno una fototessera con le informazioni complete di queste persone, che magari vivono lontano dal luogo della clinica ed è logisticamente impensabile che si possano conoscere sempre di persona. In quel caso Megan era lì presente il primo giorno.

All’inizio c’è stato un grandissimo imbarazzo. Dopo le prime domande, chi sei, cosa fai, dove vivi, arrivi alla domanda: “Ma perché vuoi farlo?”. Pensare che quella persona porterà in pancia i tuoi figli per nove mesi è difficile da comprendere.

Il motivo per cui lo faceva era perché lei ha un fratello che con la moglie ha difficoltà ad avere figli e ha un cugino che è anche il suo migliore amico e testimone di nozze che è gay. È molto vicina a entrambe le cause.

Ci disse che per lei avere avuto sua figlia era la cosa più bella al mondo e che voleva dare a delle coppie che erano adatte a crescere bambini la stessa opportunità. In particolare voleva farlo per una coppia gay e possibilmente italiana, perché sapeva che su questo tema in Italia vi sono molte resistenze.

Come andò a finire quell’incontro?

Dopo qualche tempo la clinica, che nel mentre ci aveva mostrato altre donne che erano disponibili a fare le portatrici, ci disse che Megan voleva rivederci. Così ci siamo incontrati fuori, lei venne con sua madre e sua figlia e da lì iniziò a nascere una relazione tra noi.

Dopo qualche mese abbiamo fatto l’impianto, gli embrioni hanno attecchito subito e così a settembre 2015 sono nati i nostri gemelli. Abbiamo passato l’ultimo mese di gravidanza e il mese dopo il parto con lei e il marito e con la loro famiglia.

Siamo ancora in contatto con lei, che dopo la gravidanza dei nostri figli ha avuto un altro bambino suo. Lei è molto cattolica e sostiene che quest’esperienza sia un dono di Dio. Siamo sempre in contatto con Megan e la sua famiglia, la zia ci chiama di frequente e noi contiamo di tornare in California quanto prima. Siamo una famiglia allargata, in un certo senso. 

In Italia che riconoscimento legale ha la vostra famiglia?

I due gemelli sono biologicamente uno figlio mio e l’altra del mio compagno. Quindi siamo due papà single per l’Italia, mentre i bambini non sono fratelli. Avevamo già l’idea di intraprendere un percorso legale per vedere riconosciuta la doppia genitorialità, e adesso sulla scorta della sentenza di Trento procederemo sicuramente. Siamo sposati dal 2014 e abbiamo fatto la trascrizione in Italia a marzo 2017. 

Ha senso parlare di legame biologico con un figlio?

Mentre ti dico no, ho i brividi e le lacrime. Gaia, che è figlia biologica del mio compagno è mia figlia a tutti gli effetti. La dovresti vedere quando la addormento la sera e lei mi tira la barba. Non c’è bisogno di una coppia di gay o di lesbiche per dire questa cosa qua.

L’esperienza delle adozioni dimostra che il legame biologico non conta nulla. È chi si sveglia la notte, chi pensa alla sua educazione, al suo futuro, a essere il genitore di un figlio. Non chi mette un seme. 

Come siete stati giudicati dalla società?

La nostra esperienza è abbastanza positiva. Quando andiamo negli Stati Uniti con i gemelli, e ci andiamo spesso perché io lavoro con un’azienda americana, nessuno ci ha mai fatto problemi.

Al supermercato quando i signori di sessant’anni ti vedono con il passeggino, ti fanno i complimenti e poi ti chiedono se li hai adottati o se vengono da “surrogacy”. E te lo chiedono dando a questa parola piena dignità.

E in Italia?

Anche in Italia siamo stati abbastanza fortunati. Viviamo a Milano, che è una città più pronta rispetto ad altre su questi temi. Anche la nostra famiglia è stata sempre dalla nostra parte.

Finora non abbiamo incontrato grandi difficoltà, neanche nelle strutture pubbliche, quando andiamo a fare i vaccini, o dal pediatra, non abbiamo avuto nessun inciampo.

Ho notato inoltre una diversa predisposizione nei nostri confronti nel quartiere da quando sono nati i nostri figli. Viviamo dove abitano molti anziani, e finché eravamo solo io e il mio compagno solo “buongiorno e buonasera”. Da quando sono arrivati i bambini, e per i nostri vicini è stata una sorpresa dato che ci hanno visto scomparire per due mesi e tornare con due gemelli appena nati, sono diventati subito la mascotte del quartiere. 

C’è qualcuno che vi ha mai giudicati come “sbagliati”?

Chi vuole essere dalla tua parte, con un complimento o manifestandoti un atteggiamento accogliente, è più facilitato e ti dice “ah che belli, che bella famiglia, che bei bambini”.

Chi è contrario non ti dice nulla. È difficile che qualcuno venga a dirci “voi siete una famiglia sbagliata”, poi magari lo pensano e lo dicono dietro le spalle. 

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