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Home » Esteri

Continua l’ondata di repressione in Turchia

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Un'ondata di arresti ha decapitato il vertice del partito filo-curdo Hdp, il quale ha comunicato che non parteciperà più ai lavori del parlamento di Ankara per protesta

In Turchia non si arresta l’ondata repressione. Dopo una settimana in cui tredici giornalisti del quotidiano turco Cumhuriyet sono stati arrestati e un decreto presidenziale ha stabilito che d’ora in avanti tutti i rettori verranno nominati da Erdogan, ora tocca al partito filo-curdo Hdp.

S&D

La polizia ha arrestato tra il 4 e il 5 novembre 14 parlamentari della formazione politica filo-curda a cui fanno riferimento la maggior parte dei 15 milioni di curdi nel paese, con l’accusa di avere legami col gruppo armato Pkk. Fra questi, i due leader Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdağ, senza i quali il partito è di fatto decapitato.

Fra gli altri politici interessati, due si trovavano all’estero mentre tre sono stati rilasciati con limitazioni alla loro libertà di movimento. Il parlamentare dell’Hdp İdris Baluken, che invece rimane nelle mani della polizia, ha apostrofato gli agenti incaricati del suo arresto: “toglietemi le mani di dosso! Rappresento migliaia di elettori, non potete spintonarmi e trattarmi in questo modo!”, ha detto.

Durante la giornata di sabato 5 novembre a Diyarbakır, la capitale non ufficiale dei territori curdi di Turchia, il comitato di direzione centrale si è riunito per decidere come gestire la fase di crisi. Lo ha comunicato l’ufficio stampa del partito a TPI, poco prima di annunciare che l’Hdp non parteciperà più ai lavori del parlamento di Ankara per protesta.

Quello che si sta consumando in queste ore è il momento apicale di un crescendo di repressione anti-curda nel paese. Nelle ultime settimane il governo aveva già fermato ufficiali minori dell’Hdp, privato di internet il sud-est del paese e intensificato la presenza di esercito e polizia nelle città curde.

Una decina di giorni fa erano già stati fermati i co-sindaci di Diyarbakır, Firat Anli e Gultan Kışanak, anch’essi accusati di commistione col Pkk. Al loro posto Erdogan ha inviato da Ankara un “amministratore fidato”.

—LEGGI ANCHE: L’APPELLO DI UN ATTIVISTA FILOCURDO SULLA REPRESSIONE IN TURCHIA: “LA LIBERTÀ È A RISCHIO”

Il governo difende il proprio operato invocando l’uguaglianza di tutti davanti alla legge: “la Turchia è uno stato di diritto”, ha detto il Primo Ministro Binali Yıldırım, ricordando che i parlamentari arrestati non si erano presentati quando convocati dalla polizia per testimoniare sui propri legami col Pkk.

Analogo il commento del ministro della giustizia Bekir Bozdağ, che chiede provocatoriamente: “vi mette forse a disagio l’uguaglianza? la legge vale anche per i legislatori”.

All’inizio dell’estate scorsa l’Akp di Erdogan aveva ottenuto che i deputati venissero privati della propria immunità parlamentare, in modo da poter procedere a incriminarli.

Nella mattinata di venerdì 4 novembre, dopo che la notte precedente era cominciata l’ondata di arresti contro gli esponenti Hdp, un’autobomba è esplosa a Diyarbakır uccidendo nove persone nei pressi di una caserma di polizia. In un primo momento le autorità hanno attribuito l’attacco al Pkk, interpretandolo come una reazione immediata agli arresti, ma poi è arrivata una rivendicazione dell’Isis. Sull’evento non è ancora stata fatta chiarezza.

In tutto il paese, e non solo nelle zone curde, internet e i social network funzionano a singhiozzo. Persino Whatsapp e Skype si bloccano di frequente, a causa di quelle che il Primo Ministro Yıldırım ha definito “misure di sicurezza temporanee”.

Nella capitale Ankara l’accesso alla via dove sorge la sede centrale dell’Hdp rimane sorvegliato da agenti di polizia armati, con tanto di “water cannons” pronti a disperdere eventuali proteste. A Istanbul, nel quartiere di Sisli, una manifestazione è stata dispersa dalle forze dell’ordine con gas, idranti e proiettili di gomma.

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