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Il mio viaggio alla scoperta della ‘Ndrangheta in Liguria

Immagine di copertina

Polo strategico per i latitanti oltre-confine in Francia e per il business dello smaltimento dei rifiuti. Mimmo Lombezzi ha seguito le tracce della 'Ndrangheta in Liguria

INCHIESTA DI MIMMO LOMBEZZI, SAVONA — La ‘Ndrangheta in Liguria non lascia tracce. I titolari di bar, negozi e laboratori artigianali incendiati dalle cosche imbiancano e tacciono.

S&D

Per trovare un segno visibile della presenza della ‘Ndrangheta bisogna andare a Borghetto Santo Spirito, in provincia di Savona, e risalire uno sterrato circondato dalla foresta che porta a uno dei luoghi più inquietanti della Liguria, un luogo ideale dove far sparire una persona scomoda o nascondere un latitante.

La chiamano la “Cava dei veleni”. Nel 1992, in seguito a una frana, si scoprì che qui, ai bordi del bosco, erano stati interrati 12.500 barili di rifiuti tossici oltre a esplosivi e detonatori.

La Cava era gestita dalla famiglia Fazzari, vicina – secondo gli inquirenti – alla cosca Raso-Gullace-Albanese. Ci fu un’inchiesta sui rifiuti tossici che durò fino al 2012, ma Francesco Fazzari, padre-padrone della “Cava dei veleni”, morì prima della fine del processo e Filippo, uno dei figli, fuggì in Spagna e fu condannato a quattro anni e mezzo per disastro ambientale.

Di fianco alla Cava c’è ancora oggi una villa abbandonata, dove tutto sembra rimasto come al tempo in cui era abitata dalla famiglia Fazzari. Dalle porte spalancate si vedono credenze, divani, scarpe, vestiti, giocattoli, libri di religione e riviste porno. 

All’ingresso del cortile sbuca dalle frasche un teschio di cemento, dove un tempo si trovava la grotta che accoglieva la Madonna di Polsi, la divinità tutelare della ‘Ndrangheta.

La villa, dichiarata abusiva nel 1992, non fu mai abbattuta. L’unico funzionario del comune di Borghetto che segnalò l’abuso fu duramente emarginato. Bonificare quella cava costò ai contribuenti una fortuna: 20 miliardi di vecchie lire.

VIDEO – (Qui sotto un breve estratto video realizzato da Mimmo Lombezzi, autore di questa inchiesta, nei pressi della “Cava dei veleni”, vicina alla villa dei Fazzari; il pezzo continua dopo il video) 

Dalla “Cava dei veleni” esce una scheggia impazzita che si chiama Rolando Fazzari. Lo raggiungo sulle colline di Balestrino, provincia di Savona, al termine di una strada solitaria. Mi aspetta al centro di una cava dove lavora con un solo operaio in mezzo ai suoi camion, che sono stati bruciati più volte.

Rolando è uno dei quattro figli di Francesco Fazzari che, oltre a essere stato il capo della “Cava dei veleni”, era anche suocero del ‘vicerè’ di Toirano Carmelo Gullace, il quale oggi vive agli arresti domiciliari in una splendida villa che domina il paese e gran parte della costa.

“Nella sua prima vita Carmelo Gullace è considerato un operativo delle cosche”, mi spiega Matteo Indice, autore, con Marco Grasso, del saggio A meglia parola, Liguria terra di ‘ndrangheta.

“È indagato per un omicidio, è indagato per un sequestro di persona, accusa dalla quale uscirà in maniera miracolosa grazie a una testimonianza apparsa misteriosamente durante il processo, dopodiché inizia la sua seconda vita quando si trasferisce nel ponente ligure, dove gestisce in prima persona traffici di droga milionari e per questo viene arrestato in Francia durante un’altra indagine. Nella sua terza vita accede a quella dimensione manageriale che lo farà finire in una retata inerente agli appetiti dei clan sui cantieri della Tav”.

Alto come un armadio e forte come un toro, Rolando è l’Edipo della ‘Ndrangheta, l’eroe di una doppia ribellione: contro suo padre e contro il clan. Quando aveva 16 anni, in Calabria, racconta che gli misero una pistola in mano e gli dissero di andare a uccidere qualcuno. Lui rifiutò.

Rifiutò anche quando gli chiesero di presidiare una cava che in Calabria aveva subìto un attacco: “Se entra qualcuno che non conosci, mi dissero, sparagli e seppelliscilo”.

“Quel mondo io lo conosco, ci sono cresciuto e so che ha due sole vie d’uscita: il cimitero o la prigione. Per me e per i miei figli non volevo quel destino”, conclude.

Rolando ha pagato molto cara la ribellione alla famiglia. Emarginato per anni nello sfruttamento della Cava – che alla morte del padre Francesco (avvenuta nel 2009) è passata sotto il totale controllo della famiglia Gullace – ancora oggi riceve minacce di morte. Ma la punizione più dura per Rolando è stata la morte del figlio.

Sotto una parete di roccia vedo dei fiori piantati fra i sassi di una frana. “Lì è successo quello che non doveva succedere. Lì è morto mio figlio Gabriele, ucciso da una frana mentre manovrava un escavatore, a soli 18 anni”, mi spiega Rolando. Gabriele può essere considerato una ‘vittima collaterale’ della ‘Ndrangheta.

Grazie alla “distrazione” degli enti locali, i parenti serpenti di Rolando non hanno mai messo in sicurezza la cava e, quando lui ha chiesto di poterlo fare a sue spese, gli è stato negato il permesso perché ciò avrebbe aperto troppe domande circa il fatto che questa misura non era stata adottata da altri in passato.

Poco tempo fa Rolando si è trovato un capriolo decapitato sulla strada e una croce di ferro piantata fra i suoi camion, ma, dice quasi urlando: “Io non ho paura e non ho bisogno di scorta. Andrò con le mie gambe ovunque debba andare”. 

(Qui sotto: una mappa mostra le infiltrazioni della ‘Ndrangheta in Liguria. Credit: Laura Melissari, TPI) 

“La differenza di qualità tra la ‘Ndrangheta e altre organizzazioni criminali è che in Liguria si tratta di una presenza strutturata”, spiega il colonnello Sandro Sandulli, che guida la Divisione Investigativa Antimafia di Genova.

Sandulli mi spiega che la ‘Ndrangheta in Liguria è “presente dalla metà degli anni Cinquanta se non dal dopoguerra. Nei primi tempi faceva contrabbando di tabacchi e bergamotto con la Francia, anche perché dall’altra parte del confine esistono analoghe presenze della mafia calabrese”.

“Non a caso” – continua Sandulli – “è in Francia che sono stati catturati latitanti della Camorra ma soprattutto della ‘Ndrangheta, tra cui il superboss Paolo De Stefano. Una delle funzioni della ‘Ndrangheta in Liguria è proprio quella di fornire assistenza logistica ai latitanti, anche se il vero core business rimane quello dello smaltimento dei rifiuti e del movimento terra”, conclude.

“Dal 2000 in poi la ‘Ndrangheta in Liguria non uccide più ma applica una violenza a bassa intensità fatta di incendi dolosi”, mi spiega Marco Grasso.

“Nella sola provincia di Imperia si verificano 40 incendi dolosi ogni mille abitanti, una percentuale che nella hit parade della violenza mafiosa la colloca al quarto posto dopo Crotone, Catanzaro e Reggio Calabria. Non si uccide più perché attirerebbe troppa attenzione”.

VIDEO “Qui è tutto amianto” – (Qui sotto un breve video realizzato da Mimmo Lombezzi, autore di questa inchiesta, nei pressi della “Cava dei veleni”, vicina alla villa dei Fazzari; il pezzo continua dopo il video) 

A farmi da guida in questo mio viaggio sulle infiltrazioni della ‘Ndrangheta in Liguria è Christian Abbondanza, creatore del sito La casa della legalità e della cultura.

È lui che ha deciso di portare avanti anche in Liguria la battaglia di Peppino Impastato, segnalando le infiltrazioni della ‘Ndrangheta. Alcune indagini sono partite proprio dalle sue denunce. Questa attività gli è costata diverse minacce di morte. 

“Gli ‘ndranghetisti di Ventimiglia, intercettati, dicevano che: ‘Se mi prendono gli uomini di Carmelo Gullace mi ammazzano’, perché avevo denunciato vari membri dell’organizzazione a partire dalla moglie di Gullace, Giulia Fazzari, e anche i rapporti con le pubbliche amministrazioni, con le istituzioni, con la Massoneria, con settori delle forze dell’ordine”.

Il fenomeno delle infiltrazioni delle cosche in Liguria, che oggi coinvolge intere province, è stato a lungo sottovalutato, non solo dalla politica ma anche dalla magistratura.

Solo nell’ottobre del 2014, nel corso del processo La Svolta, vennero inflitte le prime condanne alle cosche liguri per il 416 bis, cioè per associazione di tipo mafioso.

In quei giorni, in tribunale, venne registrata una sequenza sconvolgente: Vincenzo Marcianò – figlio del presunto boss di Ventimiglia Peppino Marcianò (che negli anni Ottanta procurava i voti ai socialisti) – dalla gabbia degli imputati minacciò i giudici dicendo: “È meglio se da qui non mi fate più uscire, perché se esco vi taglio la gola a tutti”. Fu condannato a 13 anni.

Sempre in quell’occasione, fu rivolta a Christian Abbondanza una minaccia personale: “Dal gabbio Marcianò mi urlò: ‘Tu ridi perché sono qui dentro, se fossi fuori non rideresti!’”.

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A un’ora di auto da qui, sulle alture di Lavagna, la Squadra mobile di Genova sta scavando in una grande discarica posta sotto sequestro, che custodiva anche armi e munizioni.

Il cartello Vietato l’ingresso ai non addetti ai lavori qui veniva rispettato con rigore perché gli “addetti ai lavori” erano impegnatissimi in un’attività davvero particolare: mescolare la spazzatura con i rifiuti speciali (vedi video qui sotto).

Avevano due obiettivi. Primo, aumentare il volume e quindi le fatture dei viaggi dei rifiuti verso un’altra discarica, quella di Scarpino, a Genova. Secondo, farsi pagare due volte: dai privati e poi dal comune.

VIDEO – (Qui sotto un breve video realizzato da Mimmo Lombezzi, autore di questa inchiesta, nei pressi della discarica di Lavagna, in Liguria; il pezzo continua dopo il video)

Monitorando il traffico dei rifiuti con telecamere nascoste, la Squadra mobile ha calcolato che ogni mese venissero fatturate dalle 60 alle 100 tonnellate di spazzatura in più.

La gestione dei rifiuti di Lavagna, che costava più di due milioni di euro l’anno nel suo complesso, era affidata a due famiglie di rispetto: i Nucera e i Rodà. Secondo quanto mi ha riferito il capo della Squadra mobile di Genova Annino Gargano, il sindaco Giuseppe Sanguineti sapeva bene con chi stava trattando. A giugno 2016 è finito agli arresti domiciliari.

“Il gruppo Nucera che giunge dalla Calabria” – spiega il colonnello Sandulli – “ha avuto alterne vicende di tipo penale, soprattutto nel settore del traffico degli stupefacenti […] perché a Lavagna si è sempre saputo, sotto il profilo informativo, che era esistente un locale di ‘Ndrangheta”.

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A Bordighera e Ventimiglia, rispettivamente nel 2011 e 2012, due giunte di centrodestra sono state sciolte per infiltrazioni mafiose. A Vado Ligure nel 2011 è stato arrestato e condannato Roberto Drocchi (Pd), ex capo del settore lavori pubblici del comune, che, in veste di presidente di una squadra di basket, aveva ricevuto una sponsorizzazione per centinaia di migliaia di euro da Pietro Fotia, un grosso imprenditore a cui aveva garantito un ruolo privilegiato nell’assegnazione di appalti pubblici.

Ma allora le infiltrazioni toccano tutti i partiti, sia a centrosinistra che a centrodestra, e in che percentuali? “Credo che non sia una questione di percentuali: la ‘Ndrangheta cerca il contatto con la politica”, sostiene Sandulli.

“Non dimentichiamo che nel 1982 ci fu una sorta di prima Tangentopoli, in cui il presidente della Liguria – il socialista Alberto Teardo, ndr – fu arrestato e altre 18 persone furono rinviate a giudizio per associazione mafiosa, reato poi derubricato. In quell’inchiesta si dimostrò che c’era stata una compravendita di voti con la famiglia dei Marcianò”.  

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Il remake de Il Padrino, il film che anticipò la ‘normalizzazione’ della mafia, oggi andrebbe girato in calabrese nella provincia di Imperia, la Calabria del Nord.

Mezzo secolo dopo che i primi picciotti sono stati mandati in Liguria in soggiorno obbligato, è come se si fosse creato uno sdoppiamento, una delocalizzazione spazio-temporale.

A sud restano le Anime Nere che esportano morte e importano cocaina. A nord invece avanzano i colletti bianchi che riciclano i capitali insanguinati, affidando alle seconde e alle terze generazioni il compito di trasformare la malavita in impresa, in classe dirigente, in politica. 

* (L’inchiesta di Mimmo Lombezzi per TPI è tratta da un servizio girato per Rete4; qui sotto un grafico mostra quali sono i paesi europei dove sono presenti infiltrazioni della Ndrangheta. Credit: Laura Melissari, TPI)

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