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L’intervento del Regno Unito nel conflitto iracheno del 2003 non era necessario

Immagine di copertina

Lo ha annunciato John Chilcot, presidente della commissione d'inchiesta istituita nel 2009 per stabilire le responsabilità sull'entrata in guerra del paese

Mercoledì 6 luglio sono stati pubblicati i risultati del rapporto Chilcot sul coinvolgimento della Gran Bretagna nel conflitto iracheno del 2003. Dopo sette anni di attesa e milioni di dollari spesi, oggi ha visto la luce la colossale relazione sul ruolo del paese nella guerra contro Saddam Hussein. 

Il rapporto è stato presentato nella tarda mattinata a Londra da John Chilcot, il presidente della commissione d’inchiesta istituita per indagare sulla partecipazione del Regno Unito nella guerra irachena nel marzo di tredici anni fa.

Nel suo intervento, Chilcot ha sottolineato a più riprese che la decisione presa all’epoca dal governo britannico, guidato dall’allora premier laburista Tony Blair, di affiancare gli Stati Uniti nella guerra contro Saddam Hussein “non era così necessaria”. 

Secondo il presidente della commissione d’inchiesta, i piani su cui l’attacco si fondava erano completamente inadeguati, come inadeguate erano sia la preparazione delle forze inglesi sia l’attività di intelligence svolta in vista dell’operazione. In poche parole, Chilcot ha sostenuto che l’intervento militare è stato un perfetto fallimento su tutta la linea.

Non solo, l’affermazione che l’invasione fosse giustificata dal possesso di armi di distruzione di massa da parte del regime di Baghdad venne fatta con “una certezza ingiustificata”, poiché quelle armi non furono mai trovate. 

Nel corso della conferenza stampa, Chilcot ha poi sottolineato come l’intervento armato non fosse affatto l’ultima e unica risorsa a cui ricorrere, ma che si potevano valutare altri rimedi alternativi e pacifici per raggiungere il disarmo. Sarebbe stato meglio ricorrere a una strategia di contenimento e proseguire con le ispezioni e il monitoraggio, visto che nel 2003 Saddam Hussein non rappresentava una minaccia immediata. 

Secondo Chilcot, le basi giuridiche su cui si pretendeva di fondare l’attacco erano “lontane dall’essere soddisfacenti” e le disastrose conseguenze che la guerra ha provocato sulla stabilità dell’Iraq sono anch’esse riconducibili alla scarsa lungimiranza dell’ex premier Blair. 

(Qui sotto l’intervento di Chilcot: “L’azione militare non era l’ultima e unica risorsa”)

La replica di Tony Blair

Non si è fatta attendere una prima replica dell’ex premier laburista: “La relazione dovrebbe mettere a tacere le accuse di malafede, bugie e falsità. Che la gente sia d’accordo o meno con la mia decisione di intraprendere un’azione militare contro Saddam Hussein, comunque l’ho presa in buona fede e credendo che fosse nell’interesse del paese”.

Nella nota diffusa, Blair ha precisato poi che la relazione “rileva chiaramente che non c’è stata la falsificazione o l’uso improprio dei dati forniti dalle attività di intelligence. Inoltre, non c’è stato nessun inganno da parte del governo e, soprattutto, non esisteva nessun impegno segreto per la guerra”. 

Tuttavia, ha proseguito nella nota, “il rapporto formula critiche alla preparazione e alla pianificazione dell’operazione, oltre a stigmatizzare il rapporto con gli Stati Uniti. Queste sono gravi critiche che richiedono risposte serie. Mi prenderò le mie responsabilità, senza alcuna scusa”.

Blair ha poi concluso con un omaggio alle forze armate britanniche, esprimendo il suo profondo rammarico per la perdita di innumerevoli vite umane. 

Nella guerra contro l’Iraq, il Regno Unito ha perso 179 militari britannici impegnati nelle operazioni. 

Che cosa è il rapporto Chilco

L’indagine sulle responsabilità del Regno Unito nel conflitto iracheno è stata istituita nel 2009 dal successore di Blair, Gordon Brown. L’idea iniziale era che il rapporto dovesse essere completato entro un anno. Ma così non è stato. Difatti, i continui ritardi sono stati oggetto di numerose critiche da parte di entrambi gli schieramenti politici. Senza contare che uno dei membri del comitato d’inchiesta nel frattempo è morto. 

Ci sono voluti sette anni di attesa e costi esosi per realizzare il rapporto “Iraq Inquiry” costato al contribuente britannico 10.375.000 sterline. Il rapporto è composto di 12 volumi – circa 33 volte più lungo del primo romanzo di Harry Potter e quasi quattro volte e mezzo più grosso di Guerra e Pace di Lev Tolstoj. 

Il rapporto è acquistabile al costo di 767 sterline e per coloro che non vorranno sobbarcarsi milioni di pagine da leggere è possibile avere una sintesi di 300 pagine per 30 sterline. 

“L’Iraq Inquiry” è stato commissionato al fine di esaminare “il modo in cui le decisioni sono state formulare e le azioni intraprese” prima e durante la guerra in Iraq, per poter  stabilire nella maniera più accurata e affidabile possibile che cosa è successo e quali azioni sono state intraprese entro quel preciso contesto. 

A tredici anni di distanza molti politici attuali nel Regno Unito hanno apertamente dichiarato che la decisione di entrare in guerra è stata un errore, anche se il ruolo militare del paese è durato dal 2003 al 2009. Ma il rapporto copre anche il periodo compreso tra l’estate del 2001. 

Le manifestazioni di protesta 

Decine di manifestanti si sono radunati martedì e mercoledì 6 luglio di fronte al “Queen Elizabeth Centre”, vicino a Westminster dove era in corso la conferenza stampa di Chilcot, per protestare contro Tony Blair.

I manifestanti hanno chiesto a gran voce che l’ex premier laburista sia incriminato per crimini di guerra commessi nel momento in cui ha deciso di partecipare a un conflitto che non aveva alcuna base legale. 

Sui cartelli che hanno sventolato è comparsa la scritta “Bliar”, un gioco di parole ottenuto unendo il cognome dell’ex leader laburista con la parola “liar”, ovvero bugiardo in inglese.

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