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Mosse e contromosse verso l’impeachment della presidente brasiliana Rousseff

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L'analisi di Paolo Manzo dell'ISPI su TPI

Domenica 17 aprile 2016, la Camera dei deputati del Brasile ha votato a favore della messa in stato di accusa della presidente Dilma Rousseff.

S&D

Entrando nel merito dell’impeachment, teoricamente i problemi di Rousseff derivano dalla bocciatura dei conti dello stato del 2014 da parte della Corte dei conti brasiliana (Tcu), avvenuta lo scorso ottobre. Un evento raro, se si pensa che solo una volta è accaduto in passato, nel lontano 1937.

Alla base della bocciatura del Tcu ci sono quelle che in Brasile i media hanno ribattezzato “le pedalate fiscali” di Dilma, ovvero l’aver deciso di prendere in prestito circa 35 miliardi di euro da banche statali con semplici decreti presidenziali e senza passare per l’approvazione del parlamento, il tutto per “truccare” il bilancio di fine 2014.

Un crimine fiscale che – “se reiterato” – è sanzionabile con la “messa in stato d’accusa” della presidente, come prevede chiaramente la Costituzione. Questo almeno sulla carta perché, a onor del vero, anche Lula tra il 2003 e il 2010 e, prima ancora, Fernando Henrique Cardoso, da presidenti avevano “pedalato”, seppure con un centesimo dell’intensità “ciclistica” di Rousseff.

Per questo, mentre i suoi avversari l’accusano di ogni malefatta, per i supporter del partito dei lavoratori, il Pt di Dilma e Lula, il tentativo di impeachment in atto è solo un “golpe parlamentare”, sull’esempio di quanto accadde nel 2012 in Paraguay, quando Fernando Lugo fu costretto a lasciare il potere in meno di 24 ore.

Il caso brasiliano è però assai differente, a cominciare dalla tempistica. Il “golpe” contro Lugo si decise in una notte, mentre in Brasile è dall’ottobre scorso – dopo la bocciatura del Tcu – che è iniziato l’iter contro Rousseff.

Il voto per l’impeachment deve ancora arrivare al Senato e, prima di quest’ulteriore votazione, è pressoché certo che l’Avvocato generale dell’Unione (Agu) José Eduardo Cardozo si rivolgerà ancora una volta al Supremo tribunale federale (Stf) per chiedere l’annullamento di tutto l’iter “per giusta causa”, adducendo che le “pedalate” di Dilma non sono state “reiterate”.

La richiesta di sospensione fatta il 14 aprile da Cardozo – adducendo irregolarità nell’analisi del relatore della Commissione sull’impeachment alla Camera, approvata qualche giorno prima con 38 voti a favore e 27 contrari – è stata insomma un “preliminare”, al fine di testare gli umori dello Stf e confondere media e opinione pubblica.

Questo possibile e nuovo scenario – un colpo di scena che potrebbe annullare la procedura della Rousseff a prescindere dal voto della Camera – lo descrive bene l’ex magistrato Walter Maierovitch, presidente dell’Istituto Italo-brasiliano Giovanni Falcone, secondo il quale, tuttavia, “l’ideale per la democrazia brasiliana sarebbe indire elezioni anticipate”.

Solo che per farlo sarebbe necessaria la cassazione di Dilma e del suo vice Temer da parte del Supremo tribunale elettorale (Ste), istituzione che da mesi sta analizzando se la loro ultima campagna elettorale vincente (del 2014) sia stata finanziata in modo illegale, con denaro riciclato dalle tangenti Petrobras.

Lo Ste dovrebbe pronunciarsi entro la fine di maggio e, dovesse decidere per la cassazione della “coppia” Dilma-Temer (oggi più che altro un’”ex coppia”, vista la tensione tra i due), necessariamente il Brasile tornerà a votare entro novanta giorni, poco dopo le Olimpiadi di Rio.

Una soluzione che nel caos politico-istituzionale del Brasile di oggi potrebbe davvero essere – come sostenuto da Maierovitch – la più democratica.

— L’analisi è stata pubblicata da Ispi Online con il titolo “Brasile: le incognite dell’impeachment” e ripubblicata in accordo su TPI con il consenso dell’autore. 

* Paolo Manzo, analista esperto di America Latina 

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