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La storia del mostro di Firenze

Immagine di copertina
La scena del crimine del delitto degli Scopeti, compiuto dal mostro di Firenze nel 1985

Il 9 settembre 1985 venivano scoperti i corpi delle ultime due vittime del mostro di Firenze, il serial killer che per quasi 20 anni terrorizzò la Toscana

Il 9 settembre 1985 un ragazzo che cercava i funghi nel bosco degli Scopeti, nel comune di San Casciano in Val di Pesa, a pochi chilometri da Firenze, si imbatté in due corpi senza vita, di un ragazzo e di una donna.

S&D

Quei due corpi non erano dei morti qualsiasi: erano le ultime due vittime del mostro di Firenze, il serial killer che terrorizzò la Toscana e l’Italia intera tra il 1968 e il 1985, uccidendo 16 persone in otto duplici omicidi.

Questi delitti sono accomunati da alcuni fattori: la pistola, una Beretta calibro 22 – la stessa in tutti gli omicidi e finora mai trovata – e la dinamica di colpire coppie appartate in auto in atteggiamenti romantici (tranne in un caso, in cui, forse per errore, colpì due ragazzi e un altro in cui colpì una coppia in tenda), sempre nella provincia di Firenze.

Un altro tratto, forse il più macabro, sono le escissioni che il mostro ha compiuto sul cadavere femminile in quattro casi su otto: nei due delitti del 1981, il mostro escisse il pube delle ragazze uccise, mentre nel 1984 e nel 1985 tagliò anche il seno sinistro dei corpi delle donne.

Come detto da Mario Spezi, giornalista de La Nazione che ha seguito il caso in prima persona, l’Italia si trovò per la prima volta a fronteggiare un serial killer da quando esiste questo concetto nel senso moderno del termine e con un’attenzione nazionale sul caso.

Durante i delitti del mostro, la polizia seguì diverse piste investigative: prima quella legata al mondo dei guardoni, un fenomeno molto diffuso nelle campagne fiorentine, e arrestò Vincenzo Spalletti, un voyeur che aveva visto i cadaveri di Giovanni Foggi e Carmela Di Nuccio, i ragazzi uccisi dal mostro nel 1981, e aveva raccontato l’episodio alla moglie prima che questo fosse riportato sui giornali.

Spalletti venne scarcerato dopo che, nell’ottobre del 1981, il mostro uccise Stefano Baldi e Susanna Cambi mentre lui si trovava ancora in galera.

L’altra pista seguita dagli inquirenti fu la cosiddetta “pista sarda”: nel 1982, infatti, si credeva che il primo delitto del mostro fosse quello del 1974, in cui furono uccisi Stefania Pettini e Pasquale Gentilcore. Un delitto di probabile matrice maniacale isolato nel tempo, precedente di sette anni rispetto a quello del 1981, anno in cui il mostro inizierà a colpire con cadenza annuale.

Tuttavia, nel 1982, dopo il delitto di Antonella Migliorini e Paolo Mainardi, gli inquirenti notarono che già nel 1968, a Signa, una coppia clandestina, Barbara Locci e Antonino Lo Bianco, era stata uccisa da una Beretta calibro 22 mentre era appartata nella propria macchina. Nel veicolo era presente anche il figlio della Locci, Natalino Mele, di appena sei anni, che non ricordò nulla riguardo l’accaduto.

Ritrovati i proiettili del delitto del 1968, gli inquirenti si accorsero che il tipo e la marca erano gli stessi usati dal mostro e dai segni lasciati dalla pistola ebbero la conferma che a sparare fu la stessa Beretta calibro 22 degli altri delitti.

Tuttavia qualcosa rese ancora più intricato il tutto: per quel delitto era stato condannato Stefano Mele, un manovale sardo trasferitosi in Toscana, marito della Locci, il quale si trovava in carcere ai tempi dei delitti successivi. Questo significava due cose: o a compiere il delitto del 1968 non era stato Mele, oppure la pistola era rimasta nell’ambito della famiglia di quest’ultimo.

La polizia indagò quindi su Francesco Vinci, sardo anche lui, amante di Barbara Locci, e decise di metterlo intanto in stato di fermo per maltrattamenti verso la moglie, così da poter intanto cercare di raccogliere elementi di prova sul sospettato.

Tuttavia, nel 1983, mentre Vinci era in carcere, il mostro colpì di nuovo, uccidendo a Giogoli, presso Scandicci, due ragazzi tedeschi (forse scambiati per una coppia, visti i lunghi capelli di uno dei due), Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rusch.

Questo fatto scagionò dunque anche Vinci, e nonostante l’insistenza di alcuni inquirenti anche la pista sarda verrà accantonata, dopo il delitto del 1984 in cui furono uccisi Pia Rontini e Claudio Stefanacci, che fece uscire dall’indagine altre persone legate alla pista che erano state sospettate.

Nel 1985, nel bosco degli Scopeti, il mostro compì il suo ultimo delitto, uccidendo due turisti francesi che si erano accampati nella zona con la loro tenda: Michelle Kraveichvili e Nadine Mauriot. L’insolita scelta di due stranieri in una tenda si spiegò facilmente quando, poco dopo il ritrovamento dei corpi, la pm che seguiva il caso, Silvia Della Monica, ricevette un brandello del seno della Mauriot all’interno di una busta a lei indirizzata.

Il mostro, dunque, aveva probabilmente scelto due turisti per evitare che le famiglie delle vittime denunciassero la scomparsa dei ragazzi, nella speranza che il brandello di seno potesse arrivare agli inquirenti prima che questi trovassero i corpi.

Ancora oggi non è chiaro se il delitto sia avvenuto il 7 o l’8 settembre, per via delle larve presenti sui corpi. Proprio in occasione dei 30 anni dal delitto, il regista Paolo Cochi ha realizzato un documentario sulla vicenda.

Dopo anni di indagini, i pm individuarono, quando i delitti ormai si erano fermati, un nuovo sospettato: Pietro Pacciani, un contadino di Mercatale, frazione di San Casciano in Val di Pesa, con fama di guardone e di uomo violento, che già era finito in carcere per aver ucciso nel 1951 l’amante della sua fidanzata e aver costretto quest’ultima a fare sesso con lui vicino il suo cadavere.

Inoltre, Pacciani, nel 1985, in corrispondenza con la fine dei delitti del mostro, era stato incarcerato per violenza sulle proprie figlie.

Nel 1993 Pietro Pacciani venne dunque arrestato con l’accusa di aver ucciso le otto coppie. Da questo momento ebbe inizio un nuovo, lungo e complesso capitolo della vicenda: la fase processuale.

Nel 1994, infatti, Pacciani venne condannato per 7 degli 8 duplici omicidi, tutti ad eccezione di quello del 1968, ma tuttavia nel 1996 venne assolto in appello. Contro Pacciani, infatti, mancavano prove che dimostrassero evidentemente la sua responsabilità, prima tra tutti la pistola.

Il processo in appello, tuttavia, venne annullato in seguito alla confessione di Giancarlo Lotti, un amico di Pacciani che sostenne di aver partecipato insieme al contadino e a un altro loro amico, Mario Vanni, a 4 degli 8 omicidi.

Questo gruppo di persone è noto alle cronache come “compagni di merende”, nome dovuto al fatto che Mario Vanni, sentito in un processo, alla domanda del giudice “che lavoro fa lei?” rispose “io e il Pacciani si faceva delle merende”, ribadendo per tutta l’udienza che il suo rapporto con Pacciani era limitato alle merende.

Il nuovo processo a Pacciani non ebbe luogo, poiché il contadino morì nel 1998 d’infarto mentre si trovava nella propria abitazione. Ebbe quindi luogo il processo ai soli “compagni di merende”, basato sulla testimonianza di Lotti e conclusosi con la condanna di quest’ultimo a 26 anni e di Mario Vanni all’ergastolo.

Anche questo processo, però, non seppe rispondere a tutti gli interrogativi: Lotti era affetto da oligofrenia e incline alla mitomania, e la sua testimonianza aveva molti particolari che non convincevano a pieno. Inoltre, continuava a mancare la prova regina: la pistola.

Nuove successive indagini, basate su alcune dichiarazioni di Lotti, fecero pensare agli inquirenti l’esistenza di un secondo livello di mandanti, che avrebbe commissionato a Pacciani e ai compagni di merende i delitti per avere in cambio i feticci, le parti del corpo escisse alle vittime.

Nessuna delle persone indagate o processate, tuttavia, venne condannata e riguardo questa possibilità anche il magistrato Piero Luigi Vigna, che aveva seguito le indagini, nel 2010 si mostrò scettico sulla possibile esistenza di un secondo livello.

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