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Everest, la pellicola che porta il Festival di Venezia ad alta quota

Immagine di copertina

Everest, il film che apre la 72esima edizione del Festival di Venezia, affida a una cordata di alpinisti il compito di tenere gli spettatori con il fiato sospeso

“Non serve competere tra noi, l’unica competizione qui è tra noi e la montagna”. Non importa che sotto le giacche a vento e le tute termiche ci siano gli attori Jake Gyllenhaal o Jason Clarke, Everest è la storia della lotta dell’uomo contro la natura. Il film che stasera inaugurerà la 72esima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, affida a una cordata di alpinisti il compito di tenere gli spettatori con il fiato sospeso.

Se Venezia 70 ha sperimentato l’assenza di gravità con l’attore George Clooney astronauta, e l’uomo uccello della pellicola Birdman ha aperto la scorsa edizione della Mostra, il film del regista islandese Baltasar Kormákur racconta un altro vuoto. E abbassa le temperature. 

Il tappetto rosso non è ancora stato srotolato, ma gli attori statunitensi Jake Gyllenhall e Josh Brolin, già sbarcati al Lido, fanno le prove dello smoking e, complice un’aria condizionata gelida nella sala e gli occhiali 3D, il viaggio dall’umida laguna veneta ai ghiacciai dell’Himalaya è breve.

Il film ricostruisce la spedizione sul monte Everest del 1996, quando un’improvvisa bufera di neve sorprese una cordata, uccidendo otto alpinisti. Una storia vera, con tanto di foto finale dei protagonisti.

Come dichiara durante la conferenza stampa di presentazione del film il direttore del Festival di Venezia Alberto Barbera, “molte delle pellicole di questa edizione traggono ispirazione dalla realtà, da fatti di cronaca”.

“Non è mancanza di fantasia, ma necessità di riflettere su un mondo di cui abbiamo perso il controllo”, aggiunge.

Quando ci si trova a scalare la vetta più alta del mondo si perde certamente il controllo, infatti come sentenzia uno degli alpinisti sopravvissuti alla spedizione del 1996, “l’ultima parola spetta sempre alla montagna”.

Degli scatti originali di quello stesso anno, la cosa che colpisce di più è l’incredibile somiglianza tra l’attore statunitense Michael Kelly e il personaggio che interpreta: Jon Krakauer, il giornalista-alpinista autore del libro Aria Sottile da cui è tratto il film.

Il monte Everest non è altro che la vetta più alta e famosa della Terra con i suoi 8.848 metri. Dal 29 maggio del 1953, ovvero da quando il neozelandese Edmund Hillary e il nepalese Tenzing Norgay sono arrivati in cima, oltre 5mila persone sono riuscite a scalarla, mentre più di 220 hanno perso la vita tentandoci.

Tra queste anche alcuni dei protagonisti del film di Kormákurambientato nel mese di maggio del 1996, quando in otto morirono su quelle vette, travolti da una mastodontica bufera di neve. A ricordare quei giorni in cui persero la vita anche l’esperta guida neozelandese Rob Hall e l’americano Scott Fischer ci pensò uno dei sopravvissuti – Krakauer.

Verso la metà degli anni Novanta prese piede il trend delle spedizioni sull’Everest profumatamente pagate – circa 60mila dollari a testa – e con una chiara postilla ben visibile sul contratto: “a rischio della vostra vita, firmate qui”.

Ipotermia, edema cerebrale, carenza di ossigeno o un semplice malore. I morti scivolano giù in un attimo e non fanno neanche in tempo ad urlare. “Perché lo fate allora?” domanda durante il film Krakauer ai compagni di cordata. Una risposta non c’è. Ognuno ha la sua. Il viaggio è “sofferenza pura”, l’arrivo è estasi, ma l’importante alla fine è riuscire a tornare a casa.

Girato alle pendici dell’Everest in Nepal e nell’Alto Adige italiano, negli studi di Cinecittà a Roma e nei Pinewood Studios del Regno Unito, il film arriverà nelle sale cinematografiche il 24 settembre.

Prima però c’è ancora una prova che gli attori-alpinisti Gyllenhaal, Brolin e Clarke devono superare: il red carpet di stasera. Chissà che conquistare il pubblico non si riveli più difficile che conquistare la vetta.

(il trailer ufficiale del film Everest)

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