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Non sparate, siamo bambini

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Un'operazione militare contro una comunità indigena del Messico occidentale ha causato la morte di un bambino e spianato la strada ai narcotrafficanti

“Non sparate, siamo bambini”, sono le parole scritte su un cartello tenuto stretto da una bambina della comunità di Ostula, nella costa dello stato di Michoacán, in Messico.

S&D

Non è sola. Al suo fianco altri minori reggono altrettanti fogli colorati in cui chiedono di fermare le ostilità. Sono i compaesani di Hedilberto Reyes Garcia. Aveva 12 anni e lo scorso 19 luglio è stato ucciso da una pallottola dell’esercito messicano.

Ostula è una comunità indigena del municipio di Aquila, nello stato in cui nel 2006 ebbe inizio la cosiddetta “guerra al narcotraffico” voluta dall’allora presidente messicano Felipe Calderón. I suoi abitanti, circa un migliaio, vivono grazie all’agricoltura e a progetti di turismo ecologico o alternativo.

Le sue spiagge sono il terreno di conquista ideale da parte di tartarughe marine e surfisti. Il suo entroterra fertile e ricco di risorse minerario è invece da tempo al centro degli interessi privati, non di rado collusi con i gruppi criminali locali. Inoltre, Ostula è uno dei crocevia dei traffici di droga. 

Nel 2009, ben prima che esplodesse il caso dei gruppi di autodifesa nel Michoacán, la popolazione di Ostula e dei villaggi circostanti rivendicò il diritto a provvedere alla propria difesa, protestando contro la mancanza di un’adeguata protezione da parte delle autorità.

Nelle due settimane dopo l’approvazione del Manifesto di Ostula – il documento con cui furono di fatto introdotte le polizie comunitarie – gli abitanti recuperarono ben 700 ettari di territorio illegalmente occupati da privati negli anni Sessanta.

Da allora sono stati numerosi i tentativi da parte degli odierni cacicchi – nome con cui venivano chiamati i capi indigeni dell’America latina in epoca coloniale – di riappropriarsi di questi territori e di indebolire le forze comunitarie. Dal 2009 trentadue persone sono state assassinate e sei sono state fatte sparire nel nulla.

La tensione nella regione aumentò ulteriormente a seguito della rapida ascesa di un nuovo gruppo criminale: i Caballeros Templarios. Presentatisi inizialmente come gruppo di autodifesa contro l’efferato cartello degli Zetas, i Templarios provenivano in realtà da una scissione interna all’altro cartello egemone nella regione, la Familia Michoacana.

L’interruzione della pax mafiosa che aveva garantito in passato una relativa stabilità condusse in breve tempo a un’escalation di violenza e a un sempre maggior coinvolgimento della popolazione, spesso vittima di estorsioni, sequestri e altri abusi.

La risposta della popolazione locale si manifestò attraverso l’intensificarsi delle attività delle polizie comunitarie, le cosiddette autodefensas, verso le quali il governo mantenne a lungo un comportamento ambiguo.

Se da una parte condannava ogni forma di gestione autonoma della giustizia, dall’altra si servì di loro per arginare il potere dei cartelli. Solo all’inizio del 2014 si giunse al riconoscimento delle polizie comunitarie e alla cacciata dei Templarios da Ostula e dai territori limitrofi. Il 2014 sembrò essere l’anno della rinascita.

E’ questo il contesto in cui ha avuto luogo l’operazione militare che ha condotto alla morte di Hedilberto e a un possibile ritorno dei Templarios in città. Nella mattinata di domenica 19 luglio, fuori da un bar di Santa María Ostula, l’esercito messicano ha arrestato il capo dell’autodifesa locale Semeí Verdía Zapeda.

A carico di Zapeda, che in passato era già scampato a diversi tentati omicidi da parte dei Templarios, non c’era alcun mandato di cattura. Le accuse di detenzione illegale di armi da fuoco e di boicottaggio delle elezioni dello scorso giugno – quando alcune urne elettorali vennero date alle fiamme – sono state formulate solo in un momento successivo all’arresto.

L’operazione è avvenuta in quella che appare come una palese violazione degli accordi di gennaio 2014 e ha provocato l’immediata reazione della comunità di Ostula, che ha deciso di bloccare il ponte di Ixtapilla, che collega l’importante porto di Lázaro Cárdenas alla città di Colima. L’intento è quello di ottenere l’immediata liberazione del leader indigeno.

I momenti che hanno seguito l’occupazione del porto sono stati molto concitati. Cittadini di Ostula e membri dell’esercito si sono affrontati prima verbalmente, poi fisicamente. Un veicolo della comunità è stato dato alle fiamme, sono partiti i gas lacrimogeni, c’è stata una sparatoria. 

Alcuni proiettili hanno colpito un negozio che distava un centinaio di metri dal ponte. Heldilberto, che era lì per comprare i pannolini per suo cugino, è morto sul colpo. Altre quattro persone sono rimaste gravemente ferite. Fra queste c’era Jeini, una bambina di 6 anni. Si trovava lì per guardare i cartoni animati poiché a casa sua non c’era la televisione.

In una conferenza stampa successiva alla morte di Hedilberto il comandante Felipe Gurrola ha dichiarato che l’esercito ha sparato in aria a solo scopo intimidatorio. Secondo Gurrola, i colpi ad altezza uomo sarebbero stati sparati da civili nascosti ai bordi della strada.

A questa versione non crede Augustín Vera, uno dei leader comunitari di Ostula, il quale accusa l’esercito di aver sparato per uccidere. Vera afferma di aver chiaramente sentito alzarsi da un veicolo militare il grido “lunga vita ai Caballeros Templarios”.

La speranza che le morti di Edilberto e di Jeini troveranno giustizia è flebile e si regge sulle dita minute dei loro coetanei, scritta su fogli colorati. Si affianca a quella di innumerevoli casi analoghi, tra cui quello dei sette giovani scomparsi lo scorso 7 luglio nel municipio di Calera de Victor Rosales, alla periferia della città di Zacatecas, in cui il probabile coinvolgimento di militari è stato ammesso perfino dalla Secretería de Defensa Nacional. 

Tutto questo avviene mentre si avvicina il 26 settembre, giorno in cui cadrà l’anniversario della sparizione dei 43 studenti di Ayotzinapa divenuto l’emblema della violenza del narco-stato messicano. Uno stato interno allo Stato, i cui confini restano ancora sconosciuti e le cui radici affondano su un numero sempre più insopportabilmente alto di morti innocenti.

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