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Convivere con la depressione

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La testimonianza, unica, di un insegnante che ha avuto il coraggio e l'umiltà di raccontare la sua esperienza di vita, da depresso

È lunedì mattina e sono seduto nella sala d’attesa del mio medico, sperando disperatamente di non essere riconosciuto. Non è questo il momento in cui voglio sentire un cordiale “Buongiorno maestro” da un bambino euforico.

S&D

Fisso lo schermo dello studio medico e provo in tutti i modi a impormi di non pensare a nulla, perché è l’unico modo per superare questo momento.

Dopo un’attesa agonizzante, sento chiamare il mio nome. Tiro un sospiro di sollievo per il solo fatto che il mia anonimato rimane intatto ancora per un momento. Nella sala visite, l’infermiera mi pone una semplice domanda: “Come sta, signore?”.

“Non molto bene”, ammetto a voce alta per la prima volta, e immediatamente scoppio in lacrime. A questo punto, l’infermiera ha già letto la mia cartella clinica e ha visto che questa non è la prima volta che la vita ha preso il sopravvento su di me. Poi chiama un dottore.

Il dottore mi chiede come vanno le cose e il mio flusso di coscienza diventa incontenibile. Gli dico quanto bevo; quanto poco stia dormendo e quanto poco stia mangiando. Gli dico che il mio matrimonio è allo sfascio; che riesco a malapena a lavorare; e che durante il weekend sono crollato nuovamente.

Il dottore sorride e annuisce, facendo un cenno di comprensione, e dice: “Sembra che lei abbia bisogno di aiuto. Non sono sicuro che dovrebbe lavorare in questo momento”.

A queste parole mi sono sentito mancare la terra sotto i piedi. Ho supplicato il dottore di non congedarmi in quel momento, ma solo allora ho realizzato quanto fossi diventato emotivamente instabile, e così smisi di lamentarmi. Lasciai lo studio medico con una ricetta, un certificato di malattia e un senso di totale smarrimento e impotenza.

La depressione è un termine di cui molto spesso si abusa: la gente lo butta lì per descrivere la sensazione che qualcosa non torna. I reality show, il meteo, la politica — sono tutte cose deprimenti. Lo ho fatto anche io: in passato ho avuto un certificato medico che alludeva a sintomi di depressione e una prescrizione per alcune pillole della felicità. Ma non appena la vita mi era sembrata un po’ più luminosa, ho smesso di prenderle nonostante il medico mi avesse raccomandato di fare il contrario.

Questa volta, tuttavia, qualcosa era diverso. Ero arrivato così in basso che sapevo di dover prendere il problema più seriamente. Avevo un effetto totalmente devastante sulle persone intorno a me. C’erano volute diverse settimane di analisi prima che venissi folgorato sulla via di Damasco e che finissi per cercare l’aiuto di un medico. Non si trattava di una brutta influenza — era qualcosa di molto più serio.

Sono stato un po’ con i miei genitori per capire quello che mi stava accadendo. Ho passato del tempo con il mio migliore amico, che mi ha fatto quel tipo di domande imbarazzanti che solo i migliori amici si possono permettere. Ho passato un paio di settimane in uno stato di stordimento mentre le medicine facevano effetto e, quando è passato, mi sono reso conto di quanto tristi fossero gli effetti che il mio stato mentale aveva causato.

Nelle settimane seguenti, le cose sono andate di male in peggio. La prima seduta di terapia di coppia mi ha ridotto in lacrime mentre mia moglie diceva che, dopo 16 anni, non era più sicura di voler essere sposata con me. Spaventata per se stessa e per i nostri bambini, si assicurò preventivamente di avere un luogo alternativo dove stare qualora ne avesse avuto bisogno.

Io avevo anche dovuto sottopormi a una perizia psichiatrica, dopo che avevo ammesso di aver pianificato di mettere fine alla mia vita. Ero diventato una minaccia per la salvaguardia dei miei figli.

Oggi, sono seduto nel mio ufficio dopo aver passato con successo una visita d’ispezione medica a scuola, la scorsa settimana. Mia moglie e io abbiamo finito le sedute di terapia due settimane fa, e alla fine lei mi ha regalato l’anello nuziale di suo padre per sostituire quello che avevo perso. Ci siamo innamorati di nuovo.

La mia casa è di nuovo piena di gioia e risate, e i miei figli mi definiscono felice, non più scontroso. Ho visto mia sorella un paio di settimane fa. Mi ha chiesto come stavo e ho potuto rispondere onestamente. Mi ha detto che era contenta della mia risposta perché, negli ultimi tre anni, sapeva che c’era qualcosa che non andava con suo fratello. È per lei, per i miei genitori, per mia moglie, per i miei figli e per i miei colleghi di lavoro che devo stare bene.

Dicono che il primo passo verso la guarigione sia ammettere che esiste un problema. Ora posso ammettere che, sì, ho un problema mentale. Non so come mai sia fatto così, ma senza la mia dose quotidiana di antidepressivi smetto immediatamente di essere l’uomo che dovrei essere. Mi servono per bilanciare uno squilibrio chimico nel mio cervello. Eppure, ho smesso di chiedermi il perché: lo accetto e basta. Soffro di depressione e, proprio come soffro d’asma, è qualcosa con cui devo imparare a convivere.

Con il fervore evangelico di chi si è appena convertito, oggi mi guardo intorno e vedo colleghi che quest’anno hanno difficoltà nelle scuole, e mi preoccupo per loro. Mi preoccupo per i loro matrimoni, per le loro famiglie, per il loro benessere. Quando le cose si mettono male, tendiamo a saltare alla conclusione che i maestri siano “stressati”, e liquidiamo la questione così.

Ma troppo spesso vedo somiglianze tra quello che io ho passato e ciò che loro stanno passando. Mi chiedo se, come nel mio caso, non ci sia qualcosa che viene ignorato, sottovalutato, o negato.

Vi chiedo un favore: se sentite che la vita sta prendendo il sopravvento su di voi, smettetela di ignorare quella sensazione. Non cercate di giustificarla o razionalizzarla, o di trovare scuse. Accettate il fatto che siete in difficoltà. Una volta fatto questo, cercate un aiuto serio. Perché finché non lo farete, non ne uscirete.

Oggi non sto più combattendo contro la mia depressione, ma ci sono volute quattro sessioni di psicanalisi, sei sessioni di terapia di coppia, una perizia psichiatrica e diverse prescrizioni mediche per arrivare a questo punto. Il tutto, senza neanche menzionare il sostegno e l’amore degli amici, della famiglia e dei colleghi. Dunque, non siate la prossima vittima, per il bene di chi amate e di chi vi ama.

The Secret Teacher è il nome di un blog anonimo pubblicato regolarmente su The Guardian dove gli insegnanti possono dire la loro senza giri di parole. L’articolo originale, tradotto in italiano, è stato pubblicato qui.

(Traduzione di Flavia Guidi)

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